The Father

The Father esplora il rapporto fra padri e figli nel momento della più difficile e dolorosa elaborazione del lutto, quando la razionalità si apre al soprannaturale pur di mantenere acceso un barlume di speranza che allontani per un attimo il dolore. Kristina Grozeva e Petar Valchanov stemperano gli abituali toni drammatici in un’inedita comicità agrodolce di comportamenti irrazionali, equivoci e paradossi, passando attraverso non detti rimasti in sospeso e sensi di colpa, litigi e incomunicabilità, santoni ciarlatani e telefonate dall’aldilà, incidenti e arresti, bugiardi seriali che sbagliano a fin di bene e storture socio-sanitarie della Bulgaria, fino alla catarsi di un ritrovarsi intimo e poetico. In Concorso al 31mo Trieste Film Festival.

La marmellata di mele cotogne

Il giorno dopo la morte di Valentina, Vassil il marito in lutto e il figlio Pavel scoprono che la donna continua a provare a chiamare la zia e vicina di casa al telefono. Appassionato di fenomeni soprannaturali e convinto che la moglie voglia mettersi in contatto con lui dall’aldilà, Vassil parte in viaggio per incontrare un famoso medium, costringendo il distaccato figlio Pavel ad andare con lui per assicurarsi che il vecchio padre, un po’ fuori di testa, non si cacci in situazioni pericolose. Sarà proprio questo viaggio sgangherato e assurdo che li aiuterà ad affrontare il senso di colpa che provano per la persona che hanno perso e a riscoprire la loro relazione. [sinossi]

Nasce da un aneddoto paradossale realmente accaduto alla coppia di registi Kristina Grozeva e Petar Valchanov The Father, ma soprattutto nasce dalla volontà di riflettere sul catartico bisogno di speranza, umanissimo e universale, che ognuno di noi prova anche e soprattutto all’apice del dolore. Erano passate poche ore dal funerale della madre di Valchanov, quando un vicino di casa iniziò a ricevere sul cellulare i messaggi di notifica di una serie di impossibili chiamate senza risposta provenienti, ben dopo la sua sepoltura, dal numero della defunta genitrice del regista. Si trattava ovviamente di un disguido telefonico che solo pochi minuti dopo avrebbe trovato la sua spiegazione perfettamente razionale, ma la circostanza era ormai diventata un seme che, quattro anni dopo, avrebbe fatto scattare la macchina del cinema del duo bulgaro. Non tanto per lo stupore generale dei presenti alla cerimonia funebre di fronte all’orario delle presunte chiamate, quanto per quel brivido soprannaturale di speranza condivisa da tutti, atterrente e al contempo viva, bruciante ben al di là di ogni possibile ragionevolezza, che l’impossibile tentativo di contatto fosse realmente una linea con l’aldilà, un reale barlume di vita dopo la morte, un dialogo realmente ancora aperto con un caro appena mancato. Un’illusione, chiaramente, ma mai così concreta, afferrabile, plausibile, “sentita”. Un qualcosa in cui volere fortissimamente credere, come un bisogno, come una Fede, come una catarsi. Come un tentativo disperato ma necessario di allontanare almeno per un attimo il dolore per riuscire a superare la mancanza. Forse anche quella personale dello stesso (co)regista, che nel rivelare il dettaglio del proprio coinvolgimento autobiografico in quello che sarebbe diventato il punto di innesco della finzione silenziosamente ammette come il film stesso, realizzato a distanza di qualche anno da quel funerale e quegli SMS di servizio ricevuti per colpa dello sbadato operatore telefonico, probabilmente sia l’ultima e decisiva tappa del suo personale percorso di elaborazione del lutto nei confronti di quella figura materna che non c’è più. È probabilmente per questo che The Father, con il suo anziano padre del titolo messo in scena in una storia narrata dal punto di vista del figlio, è in realtà un film che in ogni sua vena poetica tende in realtà a rievocare e omaggiare una madre costantemente presente proprio nella sua assenza, ed è forse per questo che ancora più a monte Kristina Grozeva e Petar Valchanov, dopo The Lesson e Glory, hanno deciso di rinviare temporaneamente l’ultimo capitolo della loro trilogia rigorosa e “reale” Triumph, solo adesso ufficialmente entrato in produzione, per realizzare un lavoro differente dalla precedente filmografia, profondo nei suoi inediti abiti da commedia, (solo apparentemente) più leggero nella sua surrealtà del quotidiano, e verosimilmente ancora più personale in quel protagonista filmmaker impegnato, fra il funerale e le stranezze paterne, in una sessione di color-correction. Un film di rapporti fra padri e figli, un film di razionalità e di ciarlataneschi appigli ai quali disperatamente aggrapparsi per sopravvivere, un film di confusione mentale e di affetto riscoperto, un film di incomunicabilità e di tardive confessioni di innocenti sensi di colpa. Un film di equivoci, paradossi, brillanti spunti comico-sarcastici dal sapore agrodolce con cui ridere nel dramma, ma anche di nostalgia, speranza, lirismo, illusione, intensa umanità.

Presentato nel Concorso Lungometraggi del 31mo Trieste Film Festival dopo essere tornato a casa vincitore dell’ultima edizione del Karlovy Vary, The Father si apre proprio con il funerale della moglie e madre dei protagonisti. Padre e figlio – che presto si scoprirà a sua volta destinato dopo lunghi tentativi a diventare padre, anche se i tempi non sono ancora maturi e la gravidanza è troppo a rischio per annunciarlo al mondo – sono in prima fila, vicini eppure distanti, il cero in mano e le loro personalità sin da subito chiare. Vassil, il padre pittore eccentrico e da sempre narciso, a costo di essere sconveniente chiede all’apice dello strazio di riaprire la cassa per fotografare e poter dipingere l’ultimo volto della moglie, incurante del profondo imbarazzo del figlio e dei presenti di fronte alla sua inelegante richiesta. Per contro a Pavel, il figlio attore e regista proprio in quei giorni perseguitato dal lavoro a forzata distanza sulla postproduzione di uno spot, suona persino il telefonino durante la sepoltura, obbligato a non farsi sopraffare dal dolore e in qualche modo distaccato da un padre artistoide strambo ed egoista con cui il rapporto è sempre stato complesso, ma al contempo premuroso fino al paradosso con una moglie da non stressare al punto di trattenere lo strazio e di mentirle in continuazione, imprevisto assurdo dopo imprevisto assurdo, pur di non disturbarla con il pensiero della morte della suocera. Nella notte, l’irrazionalità di Vassil – non realmente “matto”, ma senza dubbio poco lucido e confuso per lo shock della perdita – inizierà a crescere nella speranza di un contatto impossibile con la moglie appena mancata, fra passi inesistenti che solo il vedovo riesce a udire e la rottura di un vaso da tentare di interpretare come segno di presenza e messaggio. Ricorda l’ultima telefonata interrotta prima che la donna potesse dirgli ciò che voleva, e spera tanto intimamente nell’esistenza di un legame non ancora reciso con il corpo o con lo spirito da decidere, quando il giorno dopo la zia e vicina di casa gli dirà di aver ricevuto una telefonata dalla defunta moglie, di partire alla volta di un noto santone, probabilissimo ciarlatano, con cui tentare il contatto medium per penetrare i misteri del soprannaturale. È l’occasione per viaggio illogico, sgangherato, nel quale un padre all’apice della fragilità psicologica, disposto a dormire nudo nel bosco per «entrare nell’aura» e a fuggire più volte dalla razionalità rubando la macchina al figlio per finirci in un fosso (per poi magari rubare insieme, in uno degli spunti più vigorosamente spassosi del film, un carretto con zucche e cavalli ai locali contadini inferociti), non si può lasciare da solo, ma si può solo assecondarlo e scetticamente accompagnarlo, cercare di farlo ragionare e di fermarlo, e alla fine in qualche modo ritrovarlo. A costo di infilarsi in un tunnel di protezione distorta in cui ritrovarsi ormai obbligati a dover continuare a mentire all’ignara moglie, inventando di sana pianta intoppi lavorativi che prima o poi la faranno inevitabilmente pensare a un inesistente tradimento, e a prometterle mentre è a casa con le sue voglie che al ritorno avrà quella marmellata di mele cotogne che tanto desidera. Una marmellata che Kristina Grozeva e Petar Valchanov trasformano abilmente in grimaldello narrativo e linguistico, in dettaglio ripetuto in diversi contesti con differenti sensi e significati emotivi, in filo rosso cinematografico che da impegno preso da un marito e apparente MacGuffin diventerà prima dialogo irresistibilmente assurdo, poi paradossale tentativo di furto alla polizia e motivo dell’arresto, poi spiegazione razionale con le “telefonate” che si riveleranno essere solo i messaggi vocali lasciati dalla defunta in segreteria prima della sua morte per chiedere di fare la marmellata, e infine la pura poesia del finale, con padre e figlio impegnati a sbucciare e tagliare i frutti per realizzare quella confettura tanto amata dalla madre e moglie, di cui amorevolmente assecondare insieme l’ultima richiesta.

The Father, nella sua progressione di eventi sempre più assurdi e divertenti nell’evolversi del dramma e delle emozioni, mette in scena una lotta generazionale tanto quanto interna, psicologica e individuale fra la testa e il cuore, fra la razionalità e la speranza, fra la logica e l’amore che sopravvive alla morte. Fra pantofole, telefonate, mani (letteralmente) nella marmellata, squallidi buffet a bordo strada, vestiti seminati per il bosco, ricoveri rifiutati su promesse che non saranno mai mantenute, contraddittori stati di shock post-traumatico e forzati autostop in carro funebre quando non c’è più alcuna automobile da guidare, la sceneggiatura della coppia di registi bulgari passa attraverso i sensi di colpa senza che nemmeno ci fosse una reale colpa ma solo un carattere difficile e qualche parola detta ma mai pensata, passa attraverso i litigi, le incomprensioni e le difficoltà di comunicazione fra padre e figlio, e passa attraverso i ricatti verbali ed emotivi di chi gratuitamente rinfaccia e fa del male a chi ha di fronte non per reale volontà di attaccarlo e ferirlo, ma come (in)evitabile scudo verso il proprio dolore, come involontaria fuga in un’apparente insensibilità, in una durezza che rivela tutta la fragilità di un essere umano. Vassil rinfaccia al figlio un mancato pagamento alla madre per un vecchio lavoro da attrice, e Pavel rinfaccia al padre l’abbandono della carriera di attrice da parte della madre a causa del suo egoismo e della sua pigrizia. Vassil, che ancora non sa della gravidanza della nuora, rinfaccia al figlio di non essere in grado di generare figli, e Pavel rinfaccia al padre di non averli saputi crescere. Mentre la Bulgaria contemporanea, come di consueto fotografata da Kristina Grozeva e Petar Valchanov in tutte le sue storture, chiede ormai lauti pagamenti per mettere un banale cerotto in ospedale, e non prevede in alcun modo l’umanità né l’affidabilità né tanto meno la comprensione delle forze dell’ordine, che mangiano e giocano al gratta e vinci mentre di fatto nemmeno ascoltano e rifiutano di accettare una denuncia perché non sono ancora passate le necessarie ore dalla sparizione. Tanto da aggiungere confusione politica e sociale alla confusione personale di chi sta tentando, fra ragione e speranza soprannaturale, di superare un lutto. Tanto da far riflettere i protagonisti sui possibili residuati post-regime ancora nei ruoli di potere ma al contempo da farli di nuovo commuovere di fronte alle canzoni di propaganda comunista che, un tempo, scorrevano sui titoli di coda e sul volto di una madre ancora giovane, proprio come la rivorrebbe Vassil in quella fotografia che non si riesce trovare, proprio come la ricorda Pavel di fronte alla televisione accesa. Rimane un aerografo che per sempre vorrà dire rimorso, rimane un rapporto fra padre e figlio che dall’indifferenza e della freddezza è finalmente rinato nella necessità di superare insieme il dolore, e soprattutto rimane un intero tavolo pieno di mele cotogne, da tagliare pazientemente per trasformarle in marmellata. Quel sapore che rimane come una madeleine proustiana, come una porta verso l’infinito, come il gusto di un passato felice. Come il ricordo indelebile di una moglie, di una madre, di un amore, di una persona che non c’è più, ma che mai se n’è andata del tutto e mai lo farà.

Info
The Father sul sito del Trieste Film Festival.

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