Intervista a Radu Jude e Adrian Cioflâncã
Regista e sceneggiatore, esponente del nuovo cinema rumeno, Radu Jude mira con la sua filmografia a ricostruire, tassello dopo tassello, un affresco di storia patria. Aferim!, Orso d’argento per la miglior regia alla Berlinale 2015, è incentrato sulla schiavitù dei gitani nella Valacchia di inizio Ottocento; Scarred Hearts, Premio speciale della giuria a Locarno 2016, ha per protagonista il poeta Max Blecher che ha passato la sua breve vita nei sanatori negli anni Trenta; The Dead Nation abbraccia le vicende storiche del paese dagli anni Trenta fino alla fine della Seconda guerra mondiale e alla liberazione; I Do Not Care If We Go Down in History as Barbarians sulla pulizia etnica del 1941 in Bucovina e Bessarabia. Con Uppercase Print, presentato nella sezione Forum della 70 Berlinale, si dedica all’era socialista di Ceaușescu raccontando dell’episodio di un ragazzo messo sotto attenzione dalla Securitate per le sue scritte sui muri inneggianti a una maggior libertà.
Abbiamo incontrato Radu Jude durante la Berlinale. All’incontro era presente anche Adrian Cioflâncã, storico, archivista della Securitate, collaboratore degli ultimi film di Radu Jude.
Come sei approdato a questa storia, del ragazzo, Mugur Călinescu, che faceva scritte sui muri nel pieno del regime di Ceaușescu, e perché hai lavorato su quest’opera teatrale di Gianina Cărbunariu?
Radu Jude: Ci sono diversi motivi. Uno di questi è il mio desiderio, non del tutto comprensibile, di fare un tipo di cinema che abbia anche degli elementi non cinematografici al suo interno. È qualcosa che in letteratura è già stato fatto. Mi riferisco all’opera teatrale di Peter Weiss L’istruttoria, che ha solo parole tratte dal processo per Auschwitz. Ha preso quei discorsi e ha creato un testo teatrale. C’è una lunga tradizione letteraria nel teatro, ma credo che questa tradizione manchi nel cinema. E io sono interessato nel creare, trasformare in cinema testi, situazioni e materiali che di per sé non sono stati pensati per un film, è qualcosa che mi stimola intellettualmente ogni volta che vedo qualcosa di simile. Il secondo motivo è che si tratta di un caso poco conosciuto in Romania. Sono interessato a come il cinema possa parlare o possa mostrare la Storia, utilizzando i suoi mezzi specifici. E questo è stato uno di quei mezzi, ho trovato un modo per raccontare questa storia, con un linguaggio specifico, non una narrazione, non un film narrativo, ma come lo volevo fare io. Inoltre dopo la rivoluzione del 1989 molte persone si sono scoperte anticomuniste e si proclamavano eroi senza aver fatto nulla di concreto. Ci fu uno scrittore che disse di essersi opposto al regime perché non scrisse alcun testo per Ceaușescu, il che ovviamente è un elemento positivo ma non la si può considerare opposizione, mi dispiace. Quindi puoi fare un montaggio dove vedi questo ragazzo che è molto più coraggioso di tutte queste altre persone che si consideravano degli audaci. Non sto attaccando o accusando queste persone, perché non puoi chiedere a nessuno di essere un eroe, solo a te stesso, però quantomeno dovresti essere in grado di dire: «Abbiamo avuto un eroe», o più di uno, non so.
Finora non avevi ancora trattato, nei tuoi film, la storia della Romania durante il periodo socialista. Come mai hai ora infranto questo tuo tabù?
Radu Jude: Molte persone mi hanno attaccato accusandomi di fare solo film riguardanti il fascismo in Romania, e non sul comunismo, e ora li ho fatti su entrambi. Sto scherzando ovviamente, ma tutto questo è molto divertente. Sulla pagina Facebook di The Exit of the Trains, il film che ho fatto con Adrian Cioflâncã sul massacro degli ebrei a Iași nel 1941, qualcuno ha commentato: «Ancora un film sugli ebrei? Perché non fai qualcosa sul periodo comunista?», e qualcuno ha risposto «Ma Radu Jude ha fatto ora un film sul comunismo» e il primo ha aggiunto «Solo un film? È troppo poco, è praticamente niente!». Quindi ora non so, dovrei fare qualcosa come dieci film per mettermi in pari, non saprei. [Ride, N.d.R.] In verità avevo preso le distanze da questo periodo non perché non lo ritenessi degno di discussione, ma perché dopo la rivoluzione c’era una pletora di film, opere teatrali, libri, memoriali riguardanti i crimini del comunismo, tutti sul turbolento passato comunista. Mi sembrava che non ci fosse altro da aggiungere sull’argomento. Al contrario ero molto interessato al passato fascista, a tutto l’anticomunismo, alle idee fasciste, a queste idee di estrema destra che sono apparse nella società e nessuno ci ha prestato attenzione. Ma ora ho pensato che, avendo trovato la forma giusta, posso parlare di più, posso mostrare qualcosa in più e con un taglio diverso rispetto a quello che si vede di solito sul periodo comunista. Se guardi La bilancia di Lucian Pintilie, è davvero forte, pieno di emozioni pesanti che riguardano il passato. Ma da noi abbiamo un altro tipo di film che forse non è molto conosciuto a livello internazionale, ovvero quello che crea una sorta di eroe religioso, nato tra coloro che si oppongono, o tra quelli che erano in prigione. Non li giudico, ma credo che sia un cinema molto poco freddo, lucido, analitico. Volevo fare questo film, non specificatamente sul periodo comunista, ma su un altro elemento che credo sia molto importante: la polizia segreta, la Securitate, sulla sorveglianza e come tutti noi stiamo vivendo ora in un momento dove questa sorveglianza viene modificata e rinnovata. Perché da quando ero bambino anche le persone del mondo occidentale hanno iniziato a percepire questa sensazione di sorveglianza. Ora ci sono tutti questi congegni, Facebook, i localizzatori, i gps e così via. Volevo mostrare un’altra versione di cosa fosse e significasse la sorveglianza, penso che sia una cosa importante da vedere.
Hai fatto in tempo ad assistere agli ultimi rigurgiti di quel regime. Che ricordi hai?
Radu Jude: Ero piuttosto giovane quando la rivoluzione è iniziata, avevo dodici anni. Vivevo in campagna con i miei genitori, dove queste cose non esistevano davvero, o perlomeno non si percepivano, cosi come nemmeno le festività. Voglio dire, e questo è un mio pensiero e potrei sbagliarmi, ma la Securitate era molto più presente nelle città che nelle campagne. Nelle campagne le persone erano più libere, si poteva accendere la radio per ascoltare i programmi europei a tutto volume e a nessuno importava. Però quando ci siamo trasferiti nella città di Bucarest, tutto a un tratto si percepiva la paura, i miei genitori erano sempre spaventati per qualcosa. Mi venne insegnato a non dire mai il nome di Ceaușescu a scuola, di non dire assolutamente niente a scuola. Mi ricordo molto bene questo clima di terrore. C’era tutta questa pressione dei genitori verso i figli. Fui picchiato da mia madre, e anche piuttosto duramente a un certo punto. Qualcuno mi invitò a casa sua e io dissi che Ceaușescu aveva detto qualcosa, ma non dissi qualcosa di aggressivo o offensivo. E venni picchiato, con frasi del tipo: «Come ti sei permesso di fare il nome di Ceaușescu, magari quella persona era della Securitate». Mi dissero di non parlare mai al telefono, lo controllavano compulsivamente per vedere se c’erano delle cimici. Penso che anche questo fosse il problema. Avevo dodici anni quando iniziò la rivoluzione, non ero neanche un adolescente e non avevo ancora l’età alla quale si inizia a pensare di prendere le proprie decisioni, di opporsi, di farsi rispettare. E ovviamente mi chiedo spesso a come avrei agito, perché tutti noi ci immaginiamo in qualche modo come degli eroi. Ma probabilmente non sarei stato come Mugur, non sarei stato un eroe, non avrei avuto il coraggio, ma chi può dirlo. Non puoi mai sapere come reagiranno le persone in queste situazioni. Come per la tortura, non sappiamo come le persone possano reagire alla tortura, talvolta l’uomo più coraggioso sotto tortura diventa un codardo e talvolta l’uomo più vigliacco può resistere alla tortura. Anche questo è qualcosa che mi dà da pensare.
La figura di Ceaușescu è una figura storicamente complessa e controversa, adulato dal mondo occidentale che l’ha poi prontamente scaricato. Vedendo il film Nicolae Ceausescu: un’autobiografia emergono dettagli bizzarri come la visita di stato negli USA a Disneyland. Qual è il vostro giudizio su Ceaușescu?
Radu Jude: Oserei dire che era un politico estremamente rude. Un uomo molto primitivo. In verità era un ragazzo di campagna, poi un uomo di campagna e lo è rimasto per tutta la sua vita in un certo senso. È uscito da poco un libro sulla donna che puliva la sua residenza durante gli ultimi anni. È piuttosto divertente perché la signora Ceaușescu le mostrava esattamente come utilizzare la scopa, come pulire sotto il letto, lei lo sapeva, era nella sua natura.
Adrian Cioflâncã: Io ho parlato personalmente con quella donna perché ho vissuto nella casa di Ceaușescu per un mese. Era per un incarico presidenziale di studiare la dittatura comunista, un vero incarico direttamente dalla presidenza della Romania. La loro idea era di vivere nell’abitazione di Ceaușescu, nel suo palazzo. E questa donna che aveva lavorato per Ceaușescu nei giorni in cui era lì aveva un sacco di storie da raccontare.
Radu Jude: Inoltre penso che fosse diventato sempre più paranoico a partire dagli anni Settanta. Era come molte persone nella sua posizione, spietato, non aveva compassione. Ci sono degli stenogrammi emanati dal governo all’inizio della rivoluzione, quando iniziò il movimento a Timișoara, dove si legge che volevano eliminare tutti. Ceaușescu chiese anche spiegazioni sul perché non avevano sparato alla folla, fin dall’inizio, per poi mettere in prigione i sopravvissuti. Chiese anche al capo delle forze armate di farlo, ma questi si rifiutò.
Adrian Cioflâncã: Si era trasformato in una specie di macchina negli anni Ottanta. Era molto funzionale, accumulava un sacco di lavoro, forse per provare a uscire da questa sua follia, era molto severo con il suo staff e faceva sorvegliare chiunque all’interno del suo entourage.
Radu Jude: Penso che gli piacesse solo il potere e l’essere in quella posizione. Mi sono sempre domandato se avesse un’amante, delle donne, delle relazioni importanti.
Adrian Cioflâncã: No, nessuna.
Radu Jude: Non beveva, non andava a donne, niente.
Adrian: Era percepito come una minaccia dal suo seguito e il motivo della rivoluzione è stato una sorta di implosione, anche perché la prima cosa e deflagrare è stata la sua cerchia ristretta. Ceaușescu non era più adatto ai loro interessi pertanto non gli conveniva continuare a sostenerlo.
Come sei arrivato a questa struttura, con alternanza di pezzi teatrali con i filmati d’epoca di Ceaușescu e della televisione di stato?
Radu Jude: Ci sono state diverse influenze e idee, ma non mi ricordo bene quando tutto mi è apparso in mente perché è una specie di vecchio progetto che mi portavo dietro da anni. Ha a che fare con la mia scoperta delle teorie di Ėjzenštejn, i pensieri riguardo al montaggio, cosa che personalmente non ritenevo importante. Voglio dire, era importante come mezzo narrativo, ma poco a poco ho scoperto che il montaggio è uno strumento epistemologico perché puoi creare idee, concetti, conoscenze, utilizzandolo. Tutte cose che fece Ėjzenštejn e che in seguito fecero anche Godard, Alexander Kluge, Harun Farocki, rappresentando un filone di cinema che non è quello principale dove invece il montaggio viene utilizzato solo per la narrazione. Oltre a questo per me erano molto importanti anche le idee del filosofo Walter Benjamin, sempre su queste tematiche. Perciò mi son detto: «Ok, voglio fare un montaggio così» e le idee sono venute da sole, non sapevo bene quali immagini utilizzare all’inizio. Stavo pensando di mettere il tutto in un film di fiction oppure di realizzare un documentario come quelli fatti in quel periodo, in particolare quelli nello studio Sahia. Ma poi mi son detto: «Se questa è una storia, la storia di un ragazzo esile, nascosto, sconosciuto, una storia di periferia, devo cercare l’opposto» e quindi avere delle immagini che fossero più ufficiali possibili, quelle con il maggior impatto possibile e che venivano mostrate nell’organo principale della propaganda ossia la televisione di allora. Quindi ho finito per utilizzare praticamente solo immagini dell’archivio televisivo nazionale dello stesso periodo di tempo in cui avviene la storia del ragazzo. Perciò puoi vedere entrambi gli aspetti rappresentati, la rappresentazione della sicurezza e della vigilanza, i documenti segreti e come rappresentano il problema, e poi puoi vedere l’autorappresentazione del potere di fronte ai cittadini, come volevano rappresentare loro stessi.
La parte della rappresentazione teatrale è un teatro filmato, vale a dire hai ripreso l’opera di Gianina Cărbunariu così com’è, magari in un teatro di posa, oppure hai fatto delle modifiche?
Radu Jude: No, ho lavorato in modo totalmente diverso, senza quegli attori, con un set differente e idee differenti. E non perché Gianina Cărbunariu non avesse fatto una buona opera. Era un’ottima performance ma io ho lavorato in modo diverso. Il suo approccio era paradossalmente più cinematografico, con molti movimenti, molte proiezioni, molti cambi di luci. Io invece ho voluto renderlo più teatrale di quanto non avesse fatto lei.
E come mai proprio questo stile teatrale vicino allo straniamento brechtiano?
Radu Jude: Per prima cosa perché credo che i personaggi che appaiono sullo schermo, gli attori che interpretano i ruoli, non sono i “veri” personaggi, sono le tracce lasciate da questi individui nei documenti della Securitate. Perciò non volevo aggiungere nient’altro. Voglio dire, ho sentito le loro parole e volevo tenere tutto di quei discorsi. Quello è ciò che hanno detto, o perlopiù scritto. E poi c’è anche il problema che io penso che il cinema abbia questo grande potere, questa capacità di dare un senso di realtà, di creare un’illusione della realtà. E quindi uno potrebbe prendere un testo e trasformarlo in qualcosa di realistico, ad esempio un film storico, con un set realistico, i costumi d’epoca, la recitazione naturalistica. Ma non volevo fare questo perché la storia non è realtà e la realtà era già stata osservata e ripresa attraverso le lenti di questi documenti segreti. Volevo che il pubblico analizzasse il film, non che si immedesimasse nella storia per poi perdersi al suo interno. Credo che sia questa la ragione principale.
Adrian Cioflâncã: Questo è un modo per focalizzarsi sull’artificialità e l’assurdità del discorso all’interno documenti. È molto strano drammatizzare un argomento come quello della polizia segreta con quelli che diciamo essere strumenti di narrativa classica. L’idea è quindi di attirare l’attenzione sull’atmosfera di assurdità e artificialità delle menzogne dette negli anni Ottanta. Questo ho percepito.
Radu Jude: Questo è anche un film sul linguaggio e sui diversi livelli di linguaggio, su come il linguaggio viene utilizzato. Ovviamente qualcosa si può essere perso con la traduzione. Ad esempio come una parola in particolare veniva utilizzata tutte le volte, la parola rumena corespunzător che significa adeguato, appropriato. La utilizzavano come dei pazzi. «… appaiono in testi adeguati sul muro»: questa era l’espressione. E poi tutto d’un tratto ho trovato alcuni degli archivi dove si parlava di condizioni appropriate, del tipo che puoi fare qualcosa solo in determinate condizioni. Puoi far vedere come questi concetti, queste idee, passano da una situazione a un’altra. Non è ovvio ma ha molto a che fare con il linguaggio, con la terminologia tecnica. È un linguaggio arido e questo invece tocca molto nel profondo. È il rovescio della medaglia, non si può avere tutto, pertanto ci saranno persone che si lamenteranno dicendo che è noioso, che avresti potuto scrivere battute migliori. E sì avrei potuto farlo, ma volevo che proprio queste battute fossero pronunciate, non volevo avere semplicemente un bel copione. Questo è stato il modo in cui è stato fatto il copione, era questo il livello. Non era scritto da Mankiewicz.
Adrian Cioflâncã: Questo è una riflessione su ciò che rimane di una persona in alcuni casi. Talvolta possono essere questi documenti, talvolta delle memorie private e talvolta storie raccontate dall’ufficio di vigilanza riguardo questo ragazzo. Ho avuto questo confronto con un collega di un’istituzione che mi chiedeva perché Radu non facesse lo sforzo di scoprire la vera personalità del ragazzo. Ma a volte questo è tutto ciò che hai, e il film è il risultato del materiale sul quale si è basato.
Radu Jude: Esatto, questo basta ma alcune persone si lamentano sempre.
Nel film Roxanne di Valentin Hotea, il protagonista richiede di poter visionare il proprio dossier negli archivi della Securitate. Sono a disposizione di ogni cittadino che ne faccia domanda?
Adrian Cioflâncã: Credo che abbiamo la miglior legge in est Europa per quanto riguarda i documenti segreti perché tutti possono avere l’accesso per consultarli. Anche richiedere l’accesso a dati personali, ad esempio si può chiedere il permesso per fare ricerca, anche come un ricercatore esterno, e studiarli.
Radu Jude: Ma non si può quindi andare lì e dire ad esempio: «Voglio il fascicolo del signor Cioflâncã»?
Adrian Cioflâncã: Sì, lo puoi fare. È proprio questo il punto, puoi vedere i dati e i documenti di tutti.
Quanti sono questi fascicoli?
Adrian Cioflâncã: Più di quattro milioni. Sono più di 25 chilometri di archivio se messi in linea retta.
Qual è stato il ruolo di Adrian Cioflâncã in questo film?
Radu Jude: Era uno dei consulenti, ci ha procurato i documenti e altri materiali.
Adrian Cioflâncã: Abbiamo iniziato a lavorare a questo dopo il film precedente sul massacro degli ebrei, The Exit of the Trains. Per Uppercase Print lui voleva controllare solo alcuni punti. Il mio ruolo in questo non è stato molto importante.
Radu Jude: Ho discusso a lungo con lui. Quando ci imbattevamo in un caso di rilievo, lui ci dava accesso ai vecchi documenti relativi a quella questione.