Harry Potter e il calice di fuoco

Harry Potter e il calice di fuoco

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Dopo l’inventivo capitolo firmato da Alfonso Cuarón la saga prosegue con Harry Potter e il calice di fuoco, affidato alle cure del britannico Mike Newell, che porta a termine un prodotto solido, che cerca di far filtrare tra le maglie del fantasy granelli di teen movie. Un tentativo riuscito, che cozza purtroppo in parte con una riduzione troppo affrettata e confusionaria del testo di partenza.

Il Torneo Tremaghi

Harry Potter partecipa come spettatore, insieme alla famiglia Weasley e a Hermione Granger alla Coppa del Mondo di Quidditch; durante i festeggiamenti per i vincitori appaiono i Mangiamorte, i seguaci di Voldemort, e lanciano in cielo il Marchio Nero, simbolo dell’Oscuro Signore. Tornati a Hogwarts Harry e i suoi amici conoscono il nuovo professore di Difesa contro le arti oscure (il bizzarro Malocchio Moody), e scoprono che si terrà nella loro scuola il prestigioso Torneo Tremaghi, che vede competere la loro scuola con altri due prestigiosi collegi magici, il francese Beauxbatons e il nordico Durmstrang. Nonostante sia al di sotto dell’età legale per partecipare il Calice di Fuoco estrae tra coloro che dovranno competere anche il nome di Harry… [sinossi]

E così anche nel mondo magico si entra nella pubertà, ci si sente attratti sessualmente, si deve competere per marcare il territorio, secondo un retaggio animale che non tocca a quanto pare solo i babbani. L’ingresso nell’età adulta di Potter, Weasley e Granger non corrisponde, purtroppo, alla maturazione reale della saga cinematografica che ha trasformato in immaginario visibile quello deducibile dai libri di J.K. Rowling. Harry Potter e il calice di fuoco, per quanto permangano aspetti senza dubbio interessanti, rappresenta il giro di vite dell’octalogia – solo al cinema, visto che l’ultimo libro verrà separato sul grande schermo in due parti distinte –, il punto di svolta determinante. Oltre questo film, non a caso spartiacque anche sotto il profilo numerico, nulla sarà come prima, e il potenziale iconico e fantastico dei primi film verrà progressivamente diluito, annacquato, a conti fatti disperso. Si può speculare in lungo e in largo sui motivi che hanno portato le avventure di Harry Potter a rinchiudersi in un baule via via sempre meno spazioso, e con l’aria più asfittica, e va in ogni caso rammentato come nessun film raggiungerà il grado di delusione di Harry Potter e l’Ordine della Fenice, quinto capitolo della serie; ma non si può in nessuna maniera provare a eludere la riflessione più ovvia, e immediata. Una riflessione che ha come oggetto della disamina un solo aspetto: il progetto. Quando la Warner Bros., insieme a Heyday Films di David Heyman e a 1492 Pictures di Chris Columbus, allestì la trasformazione in immagini di Harry Potter e la pietra filosofale, il target di riferimento era chiaro, fin troppo cristallino: organizzare un maestoso fantasy per i più piccoli, in grado di rinverdire e aggiornare alle dimensioni mastodontiche dell’ambizione d’inizio millennio l’immaginario degli anni Ottanta, in cui le avventure per i più piccoli erano all’ordine del giorno a Hollywood. Il fantasy per adulti era appannaggio della trilogia tolkeniana diretta (e prodotta) da Peter Jackson, e c’era uno spazio enorme lasciato parzialmente vuoto, e occupabile. Lo si occupò con l’occhialuto Harry, cresciuto tra babbani ma di stirpe magica nobilissima, con quella cicatrice a forma di saetta sulla fronte a renderlo ancora più simbolico e potente nella sua metafora dell’infanzia ingrigita che può trovare una riscossa. Ma si sbagliò mira, perché si disconobbe o forse si sottovalutò un aspetto in realtà determinante: J.K. Rowling non stava scrivendo una serie di libri fantasy pensati a uso e consumo solo dei più piccoli.

La discrasia tra gli intenti letterari e la riuscita cinematografica si iniziò ad avvertire già con il secondo capitolo, e con la necessità di edulcorare almeno in parte gli aspetti orrorifici insiti nella rappresentazione della Camera dei Segreti, luogo misterico dove riposa – mica poi tanto – il terribile basilisco in grado di uccidere chiunque lo fissi negli occhi. Non è forse del tutto casuale che con l’arrivo alla riduzione per il grande schermo del quarto capitolo esca dal comparto produttivo Columbus con la sua 1492 Pictures; le timbriche dei romanzi in effetti preludevano a passaggi sempre più oscuri, con la morte che diventerà l’elemento principale al punto da rappresentare addirittura il nodo cruciale dell’ultimo libro. Uno sviluppo creativo che trovò impreparata la produzione, e che avrebbe dovuto spingere la Warner Bros. a compiere lo stesso percorso dei personaggi in scena: maturare. Sarebbe stato affascinante affrontare una saga lunga – nella tempistica produttiva – oltre un decennio come un luogo in cui permettere agli spettatori di crescere, di evolvere, di arricchire il proprio tessuto emotivo, di sondare le profondità delle proprie paure. Ma si sarebbe preteso davvero troppo da una major hollywoodiana che vedeva negli incantesimi e nelle bacchette solo un modo per fidelizzare spettatori in grado di garantire profitti sempre maggiori. Questo è Harry Potter e il calice di fuoco: una clamorosa occasione mancata, ancor più deludente se si paragonano gli esiti estetici raggiunti da Mike Newell – il nuovo regista convocato, e che resterà in sella solo per questa occasione – con quelli di Columbus e Alfonso Cuarón. Non che Newell non sia in grado di una messa in scena solida, perfino ispirata in alcuni frangenti. Ottima ad esempio l’intuizione di leggere i rapporti interpersonali tra gli studenti nell’ottica del teen movie, una chiave interpretativa che raggiunge il suo apice nella sequenza del Ballo del Ceppo, ovviamente paragonabile al ballo studentesco di fine anno che rappresenta uno degli elementi topici del genere. Allo stesso tempo la capacità di creare visioni nella messa in scena del Torneo Tremaghi dimostra la qualità tanto degli effetti speciali quanto della raffinata estetica di Newell.

Ma neanche questi aspetti riescono a eludere il problema cruciale, che qui si avverte ancora solo in modo parziale – grazie proprio al mestiere del regista scelto per la bisogna – ma che deflagrerà incontrollato quando lo scettro del comando verrà affidato all’assai più rozzo David Yates, incapace delle finezze espressive che qui ancora riescono a fungere da collante tenendo insieme gli aspetti più disparati della vicenda. In tal senso a involversi sempre di più è anche la scrittura di Steve Kloves, forse colui che più di tutti ha subito un contraccolpo nell’idea che si era fatto della saga. Non viene in suo soccorso una produzione un po’ cieca, che non comprende come non sia possibile ottenere un film coerente di due ore e mezza dovendo ridurre oltre seicento pagine quando con la stessa durata cinematografica a disposizione ci si era confrontati con tre testi neanche lontanamente prossimi alle quattrocento pagine. Con ogni probabilità a partire da Harry Potter e il calice di fuoco si sarebbe dovuto puntare su film divisi in due parti, ognuna attestabile intorno alle tre ore: così agendo sarebbe stato possibile non disperdere il potenziale sia narrativo che intrinsecamente filosofico che si può rintracciare nei testi originali. In questo quarto capitolo tutto si fa più confuso, i personaggi – soprattutto quelli nuovi, che non possono godere della familiarità che il pubblico ha sviluppato con i personaggi centrali – diventano bidimensionali, privi di qualsivoglia profondità che vada oltre la mera azione che devono compiere. Anche un villain come Barty Crouch jr., folle al punto da risultare perfetto quasi più per il cinema che per la pagina scritta, non riesce a bucare davvero l’immaginario del pubblico. Dovendo per di più tagliuzzare a destra e a manca Kloves rende assai caotica anche la progressione degli eventi, negando loro l’aria di cui avrebbero bisogno. A rimanere impresso a fuoco nella mente è dunque soprattutto l’ingresso in scena – finalmente, verrebbe da dire – di Voldemort, che nel finale (uno dei passaggi più riusciti del film) torna a vivere fisicamente. La sua maschera quasi serpentesca, e l’interpretazione di Ralph Fiennes, valgono da soli una visione di questo strano e a suo modo comunque affascinante capitolo, ultimo raggio di luce di una saga che inizierà di lì a poco a inabissarsi. Purtroppo.

Info
Il trailer di Harry Potter e il calice di fuoco.

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