Guardiamoli negli occhi

Guardiamoli negli occhi

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Guardiamoli negli occhi è un documentario che Barbara Elese ed Erik Negro hanno diretto e montato per commemorare nel 2015 il settantennale della fine della vittoriosa lotta partigiana; girato nell’alessandrino, uno degli epicentri della Resistenza, è un viaggio fisico e temporale, ma soprattutto esistenziale e sentimentale. Per ricordare ancora, e ricordare sempre.

Dalla Resistenza alla nube (della memoria)

Tre ragazzi del basso Piemonte si avventurano attraverso parole, sguardi e paesaggi per comprendere il senso della Resistenza italiana. [sinossi]

Nella prefazione all’edizione del 1964 de Il sentiero dei nidi di ragno (pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1947) Italo Calvino scrive: «A poco più d’un anno dalla Liberazione già la “rispettabilità ben pensante” era in piena riscossa, e approfittava d’ogni aspetto contingente di quell’epoca – gli sbandamenti della gioventù postbellica, la recrudescenza della delinquenza, la difficoltà di stabilire una nuova legalità – per esclamare: «Ecco, noi l’avevamo sempre detto, questi partigiani, tutti così, non ci vengano a parlare di Resistenza, sappiamo bene che razza d’ideali…» Fu in questo clima che io scrissi il mio libro, con cui intendevo paradossalmente rispondere ai ben pensanti: “D’accordo, farò come se aveste ragione voi, non rappresenterò i migliori partigiani, ma i peggiori possibili, metterò al centro del mio romanzo un reparto tutto composto di tipi un po’ storti. Ebbene: cosa cambia? Anche in chi si è gettato nella lotta senza un chiaro perché, ha agito un’elementare spinta di riscatto umano, una spinta che li ha resi centomila volte migliori di voi, che li ha fatti diventare forze storiche attive quali voi non potrete mai sognarvi di essere!”». Nel romanzo, che Calvino scrisse poco più che ventenne sull’onda d’entusiasmo per la vittoria nella lotta partigiana, a un certo punto si legge: «I sogni dei partigiani sono rari e corti, sogni nati dalle notti di fame, legati alla storia del cibo sempre poco e da dividere in tanti: sogni di pezzi di pane morsicati e poi chiusi in un cassetto. I cani randagi devono fare sogni simili, d’ossa rosicchiate e nascoste sottoterra. Solo quando lo stomaco è pieno, il fuoco è acceso, e non s’è camminato troppo durante il giorno, ci si può permettere di sognare una donna nuda e ci si sveglia al mattino sgombri e spumanti, con una letizia come d’ancore salpate». Si inerpica su per i pendii dei monti e le strade sdrucciole Guardiamoli negli occhi, il lavoro documentale che Barbara Elese ed Erik Negro hanno portato a termine nel 2015, per commemorare il settantesimo compleanno del 25 aprile, la Festa della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo e, nei fatti, l’ingresso del Paese nell’era democratica, in attesa – pochi anni dopo – che venga gettata all’aria anche la morsa monarchica. Si inerpica su per i pendii, questo lavoro, senza timore di guardare l’orrido dall’alto, perché insegue i sogni dei partigiani, le loro memorie, il ricordo di un’epoca in cui tutti gli eroi, in ottica guccianiana, erano giovani e belli.

Guardiamoli negli occhi inizia proprio su un sentiero, un percorso laterale e sperduto, perfino anonimo nella sua naturale semplicità. Subito dopo un’inquadratura dall’alto della montagna della città sottostante. Basta uno stacco di montaggio a dare il senso di un’operazione cinematografica, ma ancora più e meglio e prima a sintetizzare un’indole, un pensiero, un sentimento. La città, oramai liberata e quindi già pronta a dimenticare, è un controcampo rispetto a quello spazio naturale e aperto in cui la meglio gioventù italiana andò a combattere, e spesso a morire, per un ideale, per l’idea di una nazione diversa, sovrana e antifascista. Ricordiamoli sempre, si legge su una lapide nel corso del film, ed è quello lo spirito che ha animato Negro ed Elese (lei sarà ancora al fianco di lui, come montatrice ma anche collaboratrice allo script e presenza in scena, nel successivo e fluviale Non c’è nessuna dark side, altro viaggio sentimentale ma tutto interiore – e non per questo meno politico – che si è visto dapprima in Italia alla Mostra di Pesaro e quindi successivamente a Rotterdam, uno degli ultimi festival a svolgersi prima della totale chiusura europea per colpa della pandemia da Covid-19) nel loro percorso, che è a un tempo fisico, temporale e sentimentale. Il percorso fisico è quello che attraversa i luoghi della Resistenza, cinema perché immagine in movimento, con uno spirito da Walden/Thoreau e un’ombra persistente di Fenoglio o di Calvino; il percorso temporale è quello delle testimonianze di coloro che partigiani lo furono veramente, e che intervengono in prima persona nel film, accettando la sfida dolorosa e dolcissima del ricordo. Il tempo si ricuce, quei settant’anni si frantumano in un attimo che è il secare del montaggio, che crea il senso nel suo legare i tempi, i luoghi, gli spazi, i silenzi e le memorie. Il percorso sentimentale, infine, è quello di Elese e Negro, che vivono luoghi che appartengono loro da sempre, e ne indagano la potenza politica – e quindi umana: i termini si possono invertire senza che il risultato cambi.

La Storia e la storia, nella sua accezione pura di racconto – e cos’è il diario personale se non la forma più immediata, e dunque forse pura, di narrazione –, si fronteggiano e si fondono. Qual è il valore di termini come eroe, martire, staffetta, partigiano, patriota? Parole vuote, che però possono trovare un senso se le si lega all’esperienza, al luogo, allo spazio in cui sono riecheggiate, tra i monti, nelle gole, sotto la pioggia autunnale, tra le foglie morte che preconizzavano un destino di rinascita, nella primavera che trascina con sé la Liberazione. Elese e Negro indagano le terre in cui sono nati e cresciuti, e lo fanno con una semplicità che crea automaticamente stratificazione. Tra un ricordo e una citazione, tra Calamandrei e i CSI dalla cui Guardali negli occhi è stato estrapolato il titolo stesso del film, e che nei cui distici si trovano tracce di alcuni dei più potenti ed eterni canti di lotta, da Il bersagliere ha cento penne a Per i morti di Reggio Emilia, da La Badoglieide all’immancabile Bella Ciao. “Quando poi ferito cade / Non piangetelo dentro al cuore / Perché se libero un uomo muore / Non gli importa di morire”, cade Giovanni Lindo Ferretti, e in quel passaggio c’è tutto il senso di Guardiamoli negli occhi, come in un frammento di Da la nube alla Resistenza di Huillet/Straub, altro film-doppio, altro film che ha il coraggio di ricordare e discutere. E quindi ri-vivere. Vivere anche se si è morti, perché se libero un uomo muore, non gli importa di morire.

Info
I C.S.I. cantano Guardali negli occhi.

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