La Fidélité
di Andrzej Zulawski
A venti anni dalla sua realizzazione La Fidélité è un oggetto ancora alieno, quasi impossibile da maneggiare per chi si è lasciato sempre più assuefare dal pensiero medio, dall’idea di un cinema normato, controllato, retto. Le forme incontrollabili della poetica di Andrzej Żuławski in un contesto simile non possono che apparire eretiche e forse addirittura folli. In questa irrequieta potenza sotterranea risiede la loro grandezza, e la loro eterna urgenza. Penultimo dei tredici film del cineasta polacco, La Fidélité è un’opera d’arte.
Le fedi, i voti, l’hockey
Clélia, una fotografa assunta da un giornale scandalistico, sposa per stima e ammirazione (ma non per amore) Clève, proprietario di una piccola casa editrice. Dopo il matrimonio Clélia s’innamora di Némo, un giovane fotoreporter dalla vita oscura e, presa nel pericoloso vortice della passione, finirà per perdere il controllo della situazione. [sinossi]
Andrzej Żuławski è morto a settantacinque anni il 17 febbraio del 2016. Solo pochi mesi prima, nell’agosto del 2015, era stato presentato al Festival di Locarno Cosmos, quello che diverrà purtroppo il suo ultimo film e che segnava il ritorno alla regia del cineasta polacco (ma la Leopoli in cui nacque è oggi parte del territorio ucraino, a una settantina di chilometri dal confine con la Polonia) a quindici anni di distanza da La Fidélité. Sono dunque trascorsi vent’anni oramai da La Fidélité, questa strana creatura che ben poco venne compresa, accolta anzi per lo più da quella duplice tensione che pretende di non sottostimare i film degli autori conclamati ma spaventa per la sua dimensione dichiaratamente ossessiva ed eccessiva. Nel 2000 era già difficile maneggiare una creatura di questo tipo, l’impressione è che nel 2020 questa sia diventata quasi un’impresa titanica. Se Żuławski non si è mai lasciato tentare dal demone della “semplicità” (in questo senso si pensi al modo in cui si affronta l’occupazione nazista della Polonia ne La terza parte della notte, suo film d’esordio, allo stesso tempo giocando con alcuni stilemi del cinema dell’orrore), è anche vero che anno dopo anno il suo approccio alla regia si è fatto sempre più stratificato. Żuławski non tende mai davvero la mano al proprio pubblico, ma se questo avviene non è per un atteggiamento ritroso o sprezzante: nei codici del suo immaginario non c’è spazio per l’ovvio, né per la prassi. Il cinema è già carne prima di essere smaterializzato nell’immagine, e i suoi film grondano umori, sangue, sudore, sperma. C’è nel cinema di Żuławski la netta impressione non di essersi persi, ma di non aver ancora trovato il modo per comprendersi, leggendo le proprie intimità così a fondo da specchiarsi nelle paure più recondite, che non sono quelle provenienti dall’esterno ma riguardano il proprio io, la morale, l’etica, l’essere nel tempo e nello spazio. Lo specchio è d’altro canto la superficie che più d’ogni altra domina le inquadrature de La Fidélité: specchi che riflettono, deformano, opacizzano e rendono meno palese l’evidenza dell’immagine. Immagine che è il motore attorno al quale ruota l’intera vicenda, così slabbrata da meritare (semmai) approfondimenti a latere: Clélia, cui dona la sua sublime presenza scenica Sophie Marceau – alla quarta e ultima partecipazione a un set di quello che allora era ancora il suo compagno di vita –, è infatti una fotografa, così come quel Némo che diverrà il suo oggetto del desiderio. E saranno le immagini a decretare successi, fallimenti e vendette di molti dei personaggi in scena. Ma la trama del film è davvero bizzarra ed espansa, quasi a voler ulteriormente rivendicare quel rapporto con l’umore cui si faceva riferimento in precedenza. Melodramma esagitato ed esagerato, La Fidélité vide ritrarsi spaventati molti critici (gli italiani per lo più all’epoca lo videro al Torino Film Festival, dove venne inserito nella sezione – oggi scomparsa – Orizzonte Europa 2000, accanto tra gli altri a Gocce d’acqua su pietre bollenti che François Ozon trasse da Fassbinder, e Occidente di Corso Salani), pronti a ricorrere all’arma di difesa per eccellenza: la buona educazione contro il “cattivo gusto”.
La Fidélité tracima di questo supposto “cattivo gusto”. Meglio: ne fa una bandiera, un vessillo da bucaniere con cui andare all’arrembaggio di un pensiero comune immiserito, placidamente borghese e pregno di buon senso, ma non per questo di buon gusto. Da questo punto di vista acquista ulteriore forza la scelta di Żuławski di farsi ispirare, per quel che concerne il soggetto, da madame de La Fayette e dal suo La principessa di Clèves. Certo, è solo una vaga affinità visto che della trama in senso stretto non c’è praticamente nulla (anzi, quel poco che c’è è persino ribaltato nel suo sviluppo strettamente narrativo), ma là dove la psicologia attraverso i salotti delle Preziose iniziava a farsi largo nella nascente letteratura francese, nel 2000 c’è bisogno di un movimento antitetico, che vada a liberare completamente l’immaginario, castrato da decenni di onnipresenza borghese. Così come Clélia va ad agire in contraddizione – almeno apparente – ai propri voti matrimoniali, allo stesso modo Zulawski ribadisce la sua contrarietà al voto di castità dello sguardo che il cinema europeo si è dato come nuovo dogma. L’atto del vedere – e il film si muove nei recinti del voyeurismo, un po’ per scelta lubrica dei personaggi un po’ per diktat del padrone che vuole “far fuori” i suoi avversari – non può essere costretto in vincoli troppo asfissianti, ma rischia anche di dimostrare solo il proprio valore superficiale. Il gioco pre-sessuale e già erotico di Clélia e Némo è dominato dalle immagini che riescono a carpire con i loro apparecchi fotografici, per esempio. Se madame de La Fayette faceva della fedeltà un concetto psicologico prima ancora che morale, Żuławski antepone alla lettura etica il principio cinematografico del movimento nell’immagine, e della sua funzione scopica. Protezione dal mondo esterno e luogo di prigionia a un tempo, la fedeltà è un guscio vuoto, apparente come l’immagine che può essere cristallizzata in uno scatto, barocca e autoriale e per questo (a detta di alcuni nel film) “non vera”.
Appassionato e appassionante mélo che esagera a ogni pie’ sospinto, travalicando qualsiasi limite in un profluvio di morti, pianti, urla, amplessi, catastrofi e trionfi, La Fidélité è un oggetto inclassificabile e del tutto abnorme rispetto alla prassi. Żuławski non si lascia sfuggire nessun elemento che possa grandiosamente appesantire la sua creatura, dalla ricercata fotografia di Patrick Blossier all’onnipresente rintocco delle musiche di Andrzej Korzyński. Ma in questo bailamme ciò che non si perde mai – al contrario rispetto a molti film normalizzati e facilmente digeribili dal pubblico di ogni età e ceto – è la ricerca dell’umano, della sua pulsione ultima, foss’anche tragica o deprecabile. Poco cambia. Solo grazie a questa incessante fiducia nell’oggetto della sua speculazione Żuławski può permettersi un finale così soprannaturale eppur reale, concreto, ben più materiale delle vite che con troppa facilità hanno invaso lo sguardo del cinema occidentale ed europeo nello specifico, finendo per apparire come l’unica vertigine possibile dell’occhio. Il problema è che si corre il rischio concreto che non ci sia più un pubblico in grado di entrare in profondità negli anfratti oscuri e riflessi di Żuławski, e che questo comporti una negazione automatica, e netta, del suo modo di intendere il cinema. L’apocalisse della società dei consumi, altra deriva di questo film, è sotto gli occhi di chiunque. Ma quegli occhi sono ancora aperti o, come gli obiettivi di Clélia e Némo, possono soltanto riflettere il vero?
Info
La Fidélité, il trailer.
- Genere: drammatico, melodramma
- Titolo originale: La Fidélité
- Paese/Anno: Francia | 2000
- Regia: Andrzej Zulawski
- Sceneggiatura: Andrzej Zulawski
- Fotografia: Patrick Blossier
- Montaggio: Marie-Sophie Dubus
- Interpreti: Aurélien Recoing, Édith Scob, Guillaume Canet, Guy Tréjan, Jean-Charles Dumay, Magali Noël, Manuel Le Lièvre, Marc François, Marina Hands, Michel Subor, Pascal Greggory, Sophie Marceau
- Colonna sonora: Andrzej Korzynski
- Produzione: France 3 Cinéma, Gemini Films
- Durata: 166'
