Ferie d’agosto

Ferie d’agosto

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Seconda regia di Paolo Virzì dopo La bella vita, Ferie d’agosto infila nel racconto vacanziero le scaramucce corali familiari, integrandole all’era del berlusconismo: così se i Mazzalupi rappresentano la borghesia “bottegaia”, qualunquista e vicina alla destra, Sandro Molino e i suoi amici e parenti sono la sinistra che è già radical chic senza rendersene conto. Paradossalmente quello che all’epoca poteva apparire come un difetto, vale a dire il bozzettismo volutamente semplicista, oggi assume una sfumatura assai più interessante, e una stratificazione all’epoca impensabile. Virzì si dimostra anche ottimo direttore d’interpreti, gestendo con mano sicura un cast ricco che va da Silvio Orlando a Laura Morante, da Sabrina Ferilli a Ennio Fantastichini, passando poi per Piero Natoli, Rocco Papaleo, Paola Tiziana Cruciani, Raffaella Lebboroni, Antonella Ponziani e Gigio Alberti.

Cos’è la destra cos’è la sinistra

È agosto, e nell’isola di Ventotene due gruppi di persone trascorrono le ferie in due case attigue. Uno dei due gruppi familiari fa capo a un giornalista, Sandro Molino, che è lì con la compagna Cecilia e la figlia di lei, di otto anni: sono tutte persone appartenenti al ceto intellettuale, e dichiaratamente di sinistra. L’altro gruppo è composto dalla famiglia Mazzalupi, che gestiscono molti negozi a Roma e, al contrario, non professano nessuna “fede” politica, pur ammettendo di aver votato Forza Italia. Il già delicato e fragile equilibrio si spezza quando un giovane venditore ambulante extracomunitario viene ferito da un proiettile. Chi è stato? [sinossi]

Dopo La bella vita, con cui aveva già attirato attenzioni e buoni riscontri critici, fu Ferie d’agosto a consacrare il nome di Paolo Virzì tra i giovani registi italiani in grado di affrontare il confuso decennio che avrebbe portato alla fine del secolo, e del millennio. Ma prima di approcciarsi, a distanza di quasi venticinque anni, alla lettura critica del film viene naturale pensare a coloro che non ci sono più: Evelina Gori, Ennio Fantastichini, Mario Scarpetta, Piero Natoli, Oumar Ba. Viene naturale pensare a loro per due motivi, vale a dire per la natura intrinseca dell’opera, il suo essere racconto corale e familiare, e perché Ferie d’agosto, nella sua semplice struttura narrativa prossima in alcuni passaggi alla pochade, diventa automaticamente riflessione sul tempo, sia esso cinematografico che “reale”. Così se i pochi giorni raccontati devono servire ad aprire una finestra su vite intere, e sul loro sviluppo affettivo ed emotivo, il film vuole anche essere un’istantanea su un Paese diviso a metà, entrato da poco in quella che viene definita Seconda Repubblica e già stanco, già sfibrato, già in qualche misura sconfitto. Un’istantanea che forse paradossalmente trova molta più ragion d’essere a venticinque anni di distanza, e quando perfino la Seconda Repubblica è divenuta un lontano ricordo. Lo schema di Ferie d’agosto è quello tipico della commedia corale, e si basa sul concetto di specularità tra i personaggi. Così da un lato c’è la tribù di sinistra capitanata idealmente dal poeta e giornalista Sandro Molino (“scrive anche su L’Unità”, come accenna in una lettera che probabilmente non verrà mai spedita Antonella Ponziani, che interpreta un’ex tossicodipendente con cui un decennio prima Molino ha avuto una breve ma intensa relazione), una tribù che è completamente aperta rispetto alla prassi della vita borghese: la loro villa non ha neanche l’elettricità, la sera cantano in circolo Nostra patria il mondo intero di Pietro Gori, fra di loro ci sono mediatori culturali, interpreti, attori, si fuma l’hascisc, c’è una coppia lesbica, ci sono genitori single, e via discorrendo. Davanti a loro, idealmente e fisicamente visto che hanno affittato la villetta attigua (dove però l’elettricità c’è), ci sono Ruggero Mazzalupi, sua moglie, i loro due figli, la sorella della donna con il marito e il loro bambino: nei loro discorsi già filtra l’antipolitica, sono qualunquisti, amano la caccia, le armi, la televisione berlusconiana – la ragazzina guarda Non è la Rai e arriva addirittura a telefonare per partecipare la quiz, la cui risposta le viene però fornita da un ragazzino del “clan Molino”, di cui ovviamente si innamora. Il conflitto è inevitabile, e non può che deflagrare in maniera definitiva per via del più immortale dei casus belli “politici” italiani, vale a dire la visione dello straniero. È un ambulante senegalese, che in patria era laureato in ingegneria, il pomo della discordia: per gioco, si fa per dire, Mazzalupi e il cognato lo feriscono con una pistolettata, e in suo soccorso arriva Molino, che si costituisce parte civile per denunciare l’atto criminale.

Questo schema bipartito, questo faccia a faccia continuo e incessante tra Molino e Mazzalupi, tra la sinistra che si deve riprendere ancora dallo scioglimento del Partito Comunista e la destra forza italiota che ha approfittato dello sbandamento generale dato da Tangentopoli per dominare da subito la scena politica nazionale, è inevitabilmente l’immagine di maggior impatto di Ferie d’agosto, eppure in una certa misura questo livello appare quasi epidermico, come se servisse a creare non tanto le schermaglie – che ruotano attorno a mere questioni retoriche, come dimostra in maniera lampante la discussione a cena che rappresenta forse la scena più citata del film – ma il terreno ideale per approfondire la psicologia e in particolar modo le emozioni dei suoi personaggi. Virzì, coadiuvato in fase di scrittura dal fedele sodale Francesco Bruni, architetta una commedia corale che sfrutta l’ambientazione estiva e la dimensione vacanziera per cercare di fotografare una realtà già prossima alla disgregazione. Lo fa credendo con grande sincerità ai suoi personaggi, provando per loro un affetto che non viene meno dell’aspetto critico (è evidente che Virzì parteggi per Molino & co., ma allo stesso tempo rifugge da qualsiasi semplificazione eccessiva di Mazzalupi e della sua famiglia, che risulta anzi a conti fatti la realtà più interessante da indagare) ma allo stesso tempo si percepisce con grande forza: la macchina da presa accompagna questa miriade di personaggi, li accarezza, cerca di lenire il loro dolore. Perché al di là della patina più goliardica – l’attore in crisi di ruoli che dopo una caduta dal palco della festa cittadina si ritrova praticamente “assunto” dal padre di una ragazza che è l’unica, pare, a riconoscere il talento dell’uomo – Ferie d’agosto è il racconto di una lunga serie di fallimenti. Fallimenti sentimentali, come quelli di Mazzalupi che ritiene di aver sposato la sorella “sbagliata”, e di sua cognata Marisa (Sabrina Ferilli, già protagonista ne La bella vita: tornerà a lavorare con Virzì nel 2008 per Tutta la vita davanti), che non prova alcuna stima per il proprio marito, e vorrebbe tornare ai suoi diciotto anni, con – per l’appunto – tutta la vita davanti. La sequenza in cui tutti i personaggi esprimono i desideri di fronte alla luna piena può apparire fin troppo esibita, ma permette di raccontare una generazione – o forse un paio – insoddisfatte, fallite, prossime alla catastrofe di un Paese che perderà completamente la trebisonda.

Quasi si muovesse in linea con la sociologia di Pierre Bourdieu, Virzì lavora per categorie, sociali ed economiche, suddividendo destra e sinistra in quadri di facile lettura, semplici, immediati per qualsiasi spettatore. Ma così facendo dimostra anche di cogliere con grande acutezza la deriva che entrambi i gruppi stanno prendendo: la sinistra di Molino, per quanto ancora orgogliosamente comunista (lo resterà per poco, e oggi si limiterebbe a dirsi “liberale”), è già elitaria, sfotte con crudeltà l’ignoranza dei vicini, non prova mai a integrarsi, vuole restare chiusa nel suo piccolo mondo antico staccandosi sempre di più dal popolo. D’altra parte la destra prende sempre più piede, perché sembra affrontare (con la rozzezza intellettuale che le è propria) alcuni dilemmi sociali con cui bisognerebbe prima o poi fare i conti. Non c’è molto da salvare umanamente né da una parte né dall’altra, se non la capacità di riscoprirsi fragili, e desiderosi d’affetto, di calore umano. L’esperienza umana va avanti in una società sempre più de-umanizzata, e delle due posizioni arroccate solo una ha veramente una base ideologica alla quale mai rinuncerà. E purtroppo sono i Mazzalupi. Nel frattempo, dopo i parapiglia e le baruffe per via della denuncia per tentato omicidio, l’unico a rimetterci davvero è proprio la vittima, l’ingegnere senegalese che riceve il foglio di via ed è costretto ad abbandonare l’isola col primo traghetto del mattino. Nessuno si muove per evitare questo, al massimo ci si limita a declamare Montale mentre si fa il bagno. “Riviere, bastano pochi stocchi d’erbaspada penduli da un ciglione sul delirio del mare; o due camelie pallide nei giardini deserti, e un eucalipto biondo che si tuffi tra sfrusci e pazzi voli nella luce; ed ecco che in un attimo invisibili fili a me si asserpano, farfalla in una ragna di fremiti d’olivi, di sguardi di girasoli”. Il Paolo Virzì degli esordi ha saputo forse meglio di ogni altro regista della sua generazione cogliere le distonie e l’inutile frastuono di una contemporaneità sperduta, alla ricerca disperata del proprio senso. Sarà così anche in Ovosodo e Baci e abbracci, due delle opere principali dell’intera filmografia del regista livornese. Ma questa è un’altra storia.

Info
Il trailer di Ferie d’agosto.

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