Le verità nascoste

Le verità nascoste

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Le verità nascoste sono quelle che la bella Claire Spencer trova nella sua casa in Vermont, ma sono anche quelle di un cinema hollywoodiano che a mutar di millennio aveva ancora la capacità di dimostrarsi libero, coniugando l’horror al giallo hitchcockiano e testimoniando la purezza della regia di Robert Zemeckis, come sempre impeccabile.

Quella casa accanto al lago

Claire Spencer è felicemente sposata con Norman, docente in una bella università del Vermont. Quando la loro unica figlia Caitlin (in realtà figlia naturale solo di Claire) parte per il college la donna, che è una ex-concertista ora ritiratasi a far la casalinga, inizia a notare la relazione burrascosa che intercorre tra i suoi vicini di casa. Nonostante Norman minimizzi la situazione, Claire si preoccupa quando non incrocia la vicina per alcuni giorni; sospetta infatti che il marito l’abbia uccisa. Per di più dopo una seduta spiritica con l’amica Jody strane cose iniziano ad accadere in casa… [sinossi]

Dopo il successo planetario di Forrest Gump, con quasi settecento milioni di incasso a livello mondiale e l’acclamazione durante la notte degli Oscar – e fa un po’ sorridere, a voler essere gentili, che un’opera che rilegge il Candide voltairiano all’ombra di Hollywood venga di questi tempi vista con sospetto per la rappresentazione che fa dei contestatari sessantottini: è stata infatti inserita tra i titoli “degni” di disclaimer dalla rivista Variety, ciliegina sulla torta di un’epoca storica deprimente –, Robert Zemeckis si ritrovò di colpo tutti gli occhi addosso. Unico vero parente prossimo di Steven Spielberg per ambizione, capacità di piegare l’industria al proprio volere e tensione sempre fertile tra grande impianto spettacolare, profonda consapevolezza autoriale e soddisfazione delle pretese popolari, il regista di Ritorno al futuro e Chi ha incastrato Roger Rabbit divenne il centro dell’attenzione tanto per i tycoon quanto per la cinefilia di stretta osservanza. Da par suo dimostrò subito di non essere facile da classificare e incasellare, producendo l’esordio americano di Peter Jackson (la ghost-story Sospesi nel tempo: a quanto pare i fantasmi lo interessavano) e andando a sondare in proprio l’ignoto spazio profondo, cosmico e umano, in Contact. Quindi si lanciò nell’impresa di affrontare un Robinson Crusoe moderno, nell’era della computerizzazione selvaggia, tornando a girare con Tom Hanks in Cast Away: dato che per contratto l’attore durante la lavorazione doveva perdere una trentina di chili, a testimoniare le privazioni della vita da naufrago nel bel mezzo dell’oceano, era previsto che le riprese si interrompessero per alcuni mesi. La stragrande maggioranza dei registi avrebbe approfittato della pausa per passare le giornate a bordo piscina nella propria villa di Beverly Hills, tra un cocktail e una partita a tennis, invece Zemeckis, fedele all’imprinting spielberghiano, si gettò in una nuova impresa, dirigere una storia di fantasmi in grado di funzionare anche come perfetto thriller hitchcockiano: Le verità nascoste.

Le verità nascoste (What Lies Beneath, “che cosa c’è sotto”, in originale: un titolo un po’ meno aulico ma che ben delinea la detection gialla) è un film che contiene in effetti al proprio interno molte e tra loro diverse “verità”, e non poi così tanto “nascoste”. Racconta, ad esempio, delle enormi ambizioni della giovane DreamWorks, nata dall’incrocio tra sensibilità varie (ovviamente Spielberg e la sua gloriosa Amblin, ma anche il discografico David Geffen, e quel Jeffrey Katzenberg che da capo del reparto animazione della Disney aveva rilanciato l’immagine pubblica della Casa del Topo grazie a titoli di enorme successo come La sirenetta, La bella e la bestia, Aladdin, e Il re leone) e intenzionata a fare la voce grossa a Hollywood; un progetto che troverà un proprio senso in particolar modo fino al 2005, quando verrà meno il rapporto con Universal Pictures a favore prima di Paramount e quindi di Reliance. Racconta poi, l’undicesima regia di Zemeckis, di un cinema hollywoodiano ancora figlio di una disciplina non normata, libero di muoversi a proprio piacimento sia sotto il profilo estetico quanto narrativo, e di giocare con ciò che è apparentemente alto e basso, mescolandoli tra loro. Racconta infine di un cinema ancora in grado di raccontare attraverso le immagini la paura e il desiderio, l’orrore e l’amore senza infingimenti, senza retropensieri, e senza censure preventive. Dall’11 settembre del 2001 in poi, partendo dalla pretesa “difesa della libertà” fino ad arrivare al preoccupante elogio dell’innocuità che è nei fatti la negazione dell’arte, il cinema statunitense si è impoverito, sempre più schiacciato sul livello di una società immiserita nei contenuti, e aggrappata solo all’immagine, all’icona, allo spettro.

Spettro in fin dei conti deriva dal latino spectrum, e vale come “visione”, dato che specere è traducibile con “guardare” e “osservare”. E fantasma risale fino al greco ϕαίνομαι che sta per “mostrarsi”, “apparire”. Il fantasma infatti non è ciò che non si vede, ma quel che non si dovrebbe vedere (o non si vorrebbe vedere) e decide invece di manifestarsi, materializzandosi. Come il cinema, d’altro canto. Zemeckis si mette all’opera sulla bella sceneggiatura di Clark Clegg, ricca di colpi di scena sempre però perfettamente intessuti nella narrazione – pare che il soggetto originale di Sarah Kernochan si basasse su un’esperienza in parte autobiografica, e si svolgesse seguendo traiettorie assai meno orrorifiche –, e costruisce una trama fitta, rifinita nel minimo dettaglio e sempre in grado di sorprendere lo spettatore. Le verità nascoste sono quelle che soggiaciono nella mente dimentica di Claire Spencer, è ovvio, ma non solo: il rimosso della protagonista – splendida Michelle Pfeiffer, in uno degli ultimi ruoli davvero rilevanti della sua carriera, dopo aver letteralmente cannibalizzato gli anni Ottanta e Novanta, tra Scarface e Tutto in una notte, Una vedova allegra… ma non troppo e Ladyhawke, Le relazioni pericolose e Paura d’amare, Batman – Il ritorno e L’età dell’innocenza – è anche il rimosso di un’industria che sta dimenticando l’occhio, la necessità dello sguardo. È spiando (in parte anche involontariamente) i propri vicini che Claire si imbatte nello spirito che abita la sua casa e le intima/ricorda “You Know”. Parte da Hitchcock, Le verità nascoste, e sembra quasi volersi attestare dalle parti di una ricognizione sul tema portante de La finestra sul cortile, con i vicini litigiosi e la scomparsa della donna della coppia nel nulla. È morta? Il marito l’ha fatta sparire? Ma se è vero, come insegnava la silhouette più celebre della storia del cinema e della televisione, mystery o meno che sia, che i migliori crimini sono domestici, Zemeckis cambia la prospettiva: non è guardando nel giardino degli altri che si troveranno gli scheletri nell’armadio della propria esistenza.

Così come la sceneggiatura di Clegg rovescia in continuazione fatti e personaggi, in un incedere rutilante, allo stesso modo Zemeckis svia il proprio pubblico fornendo una serie di false piste: l’indagine sul vicino come potenziale criminale si muove nel campo del giallo, cui fa seguito un’ipotesi di new age avvalorata anche dal personaggio di Jody, l’amica fricchettona di Claire (che avrà per di più un ruolo non indifferente nello svolgimento della matassa), che mette in moto a sua volta dapprima una ghost-story in piena regola, con tanto di fantasma vendicativo, e quindi un thriller in cui il villain di turno appare quasi immortale, nonostante colpi in testa, capitomboli e chi più ne ha più ne metta. Nel cinema, e nei suoi codici, è già possibile trovare l’interpretazione della realtà, e la raffigurazione del vero attraverso le maglie fitte del falso evidente. In una carambola pressoché infinita di situazioni al limitar dello spasmo Le verità nascoste racchiude al proprio interno tutti i segreti della suspense, del cuore in gola, della tachicardia, del colpo di scena in grado di far sobbalzare sulla poltroncina del cinema, o sul divano di casa. È una macchina perfetta, che a sua volta riesce ad andare sempre oltre il limite dell’industria, raccontando di casalinghe disperate, mariti fedifraghi, omicidi di donne e altri crimini, morali o penali, di vario grado ed entità. Nel suo racconto poi di una donna che sa trovare in sé, e senza aiuti esterni (se non soprannaturali, e di un’altra donna per di più) la forza per ritrovare la propria verità – nascosta nell’inconscio, sempre per andare a lezione da Hitchcock – e la propria determinazione non subalterna, il film di Zemeckis spiega con semplicità la differenza che intercorre tra la mera rappresentazione e la capacità di fondere un contenuto all’interno di un meccanismo industriale perfetto, e inattaccabile. Ma questo alcuni – molti, di questi tempi – non lo capiranno mai.

Info
Le verità nascoste, il trailer.

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