Sportin’ Life

Sportin’ Life

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Fuori concorso a Venezia 2020, Sportin’ Life di Abel Ferrara è il resoconto multiforme e ragionato di una mente brillante che pensa, esclusivamente e appassionatamente, attraverso il (suo) cinema. Fuori concorso a Venezia 2020.

Respirare cinema

Realizzato all’interno del progetto artistico internazionale Self, curato dal direttore creativo di Saint Laurent, Anthony Vaccarello, Sportin’ Life è un’esplorazione della storia personale, della creatività, della vita stessa di Abel Ferrara. Il regista rivolge uno sguardo intimo e intenso alla propria vita e al proprio mondo rifratto attraverso la propria arte: la musica, il cinema, i suoi collaboratori e le sue fonti d’ispirazione, le prime opere e i sodalizi creativi con Willem Dafoe, Joe Delia, Paul Hipp e i musicisti che lo hanno ispirato. [sinossi]

Comporre inquadrature è come respirare per Abel Ferrara, è un fatto fisiologico, vitale, inevitabile. Non era difficile immaginarlo, ce l’ha in fondo più volte detto nel corso della sua filmografia, spesso orientata verso corporeità “altre, estreme” (i vampiri di The Addiction come la fisicità borderline di Gerard Depardieu/Dominique Strauss-Kahn in Welcome to New York) e negli ultimi anni poi dedicandosi a un cinema autobiografico/autoriflessivo, sia per interposta persona (tramite il suo alter ego Willem Dafoe in Tommaso e Siberia) che mettendo in scena se stesso e il proprio côté familiar/lavorativo (Alive in France, Piazza Vittorio). Ma è proprio nel suo nuovo lavoro, Sportin’ Life, presentato fuori concorso a Venezia 2020, dove Ferrara è stato omaggiato con il premio Jaeger-LeCoultre “Glory to the Filmaker”, che l’autore utilizza questa metafora fisiologica del respiro, per spiegare, di fronte a un giornalista attonito, cos’è per lui fare cinema.

Nato all’interno del progetto artistico Self, curato dal direttore creativo di Saint Laurent, Anthony Vaccarello, Sportin’ Life, è un compendio ragionato, e inevitabilmente disordinato, sull’essere “filmaker” di Ferrara, ma anche musicista, compagno di vita, padre, interprete audiovisivo del nostro tempo. Rigorosamente low fi e girato in parte con lo smartphone, il film accorpa riprese realizzate durante la Berlinale 2020 – l’ultimo festival cinematografico prima della pandemia Covid 19 – in occasione della presentazione del suo film Siberia, a spezzoni di suoi film precedenti (tra gli altri: Tommaso, Pasolini, 4:44, Go-go Tales, The Addiction), riprese di concerti, vita domestica, immagini di Roma e New York durante la quarantena.

Si susseguono così frammenti dei concerti in cui Ferrara da tempo si esibisce, brevi lacerti dei discorsi di Trump sulla pandemia, l’immagine che ha impressionato il mondo del Papa da solo in Piazza San Pietro, sapide riflessioni a due voci con Willem Dafoe sul loro modo di fare cinema insieme, siparietti con i giornalisti presenti alla Berlinale (strepitoso il momento in cui il regista costringe un intervistatore a ripetere, e dunque recitare, la sua domanda), discorsi sul binomio tra arte e vita, e su quella complicità con il proprio gruppo di lavoro che accende sempre in lui la scintilla creativa. O, magari, gli riporta semplicemente alla mente vecchi trucchi del mestiere, utili strumenti di un lavoro quasi da artigiano, da costruttore di film.

E dunque non c’è da stupirsi poi che in questo “documentario sull’atto di fare un documentario” l’autore stesso si accorga che sta “recitando” in maniera più accorata e convincente perché si è accorto che ora sono due le telecamere (di diversi giornalisti berlinesi) accese su di lui. È come dire che il cinema, quell’unica maniera di vivere che Ferrara conosce, è continuamente in grado di modificare anche il suo modo di essere al mondo.

I vari materiali che compongono Sportin’ Life appaiono dunque quali tessere di un mosaico che in più momenti, nel corso della visione, collimano per rivelare, attraverso la “magia” del montaggio, delle riflessioni lucide e lampanti, rivolte prevalentemente a chi il cinema lo ama e non può fare diversamente, anche quando la realtà intorno svanisce, l’industria si ferma, i festival smettono di esistere. In tal senso è forse in 4:44 Last Day on Earth, dove un artista e la sua compagna attendevano l’apocalisse in casa – location che tutti abbiamo frequentato durante il lockdown – facendo l’amore o comunicando via web con gli altri, che è possibile trovare un profetico precursore di Sportin’ Life, della realtà in cui si è trovato a nascere, dalla complessa situazione che tutti abbiamo vissuto, e stiamo vicendo.

Ma è anche un film pieno di cesure Sportin’ Life, dalla natura episodica, e dove non sempre si manifesta tramite il montaggio quell’epifania di senso, pensiero, ragionamento che l’incontro tra le inquadrature di varia natura dovrebbe provocare. E questo Ferrara in parte lo sa già, d’altronde è pronto qui a dichiarare che storie come Mago di Oz o Alice nel paese delle meraviglie, che partono da un punto (la casetta in Kansas, il buco della tana del coniglio) e lì ritornano gli interessano assai poco, il suo obiettivo va oltre lo sviluppo di una narrazione convenzionale, è piuttosto quello di spingersi e spingere i suoi attori e il suo pubblico “out of the comfort zone”.

Meno coeso dunque di altre sue recenti opere di stampo autobiografico/autoriflessivo, Sportin’ Life trasferisce allo spettatore il fluire ragionato e inevitabilmente composito di una mente brillante che pensa, esclusivamente e appassionatamente, attraverso il (suo) cinema.

Info: La scheda di Sportin’ Life sul sito della Biennale.

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