Zanka Contact

Zanka Contact

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Una corsa a perdifiato che diventa una fuga d’amore a suon di rock’n’roll. L’esordio del regista marocchino Ismaël el Iraki, Zanka Contact (presentato nel concorso veneziano di Orizzonti), è innanzitutto l’affermazione decisa di una libertà espressiva esplosiva fino al parossismo.

Casablanca wild at heart

Larsen Snake è stato un rocker di successo. Sparito da anni dalle scene musicali e diventato eroinomane, a causa di un creditore minaccioso è costretto a tornare a Casablanca, città che detesta, munito solo di giacca, chitarra e stivaletti di pelle di serpente. Poco dopo il suo arrivo, un incidente d’auto gli farà conoscere Rajae, una strabordante prostituta e una donna molto forte, legata a doppio filo al suo minaccioso protettore… [sinossi]

Una corsa a perdifiato che diventa una fuga d’amore a suon di rock’n’roll. L’esordio del regista marocchino Ismaël el Iraki, Zanka Contact (presentato nel concorso veneziano di Orizzonti), è innanzitutto l’affermazione decisa di una libertà espressiva esplosiva fino al parossismo. “Da regista africano rivendico il diritto alla finzione, all’immaginazione, a un territorio di rado occupato da film girati nella mia terra. Il cinema non è l’argomento, né la storia. È un incantesimo di cui diventiamo prigionieri” ha scritto el Iraki per la presentazione ufficiale del suo film. A questa sacrosanta rivendicazione si aggiunge probabilmente anche il desiderio del regista, che da anni vive a Parigi, di esprimere i traumi incubali che l’esser sopravvissuto alla strage del Bataclan ha comportato. Sopraffazione sulle donne, droga, buchi nelle vene, violenza di strada, heavy metal, fuoco e anelli con teschi punteggiano un film che inizia con una sequenza eccellente (la migliore di Zanka Contact), quella di uno scontro tra macchine nei pressi di una moschea (forse la grande Moschea di Hassan II). È così che si incontrano Larsen Snake (Ahmed Hammoud) e Rajae (la star della musica marocchina Khansa Batma): lui è un rocker ormai tossicomane, che ha perso la voce a forza di infilarsi aghi nelle vene della gola, e dopo anni di inattività è costretto a tornare a Casablanca sotto minaccia di uno cui doveva dei soldi; lei è una fiera puttana, che prima di spaccarsi la testa nell’incidente stava raccontando al tassista una barzelletta sulla superiorità morale delle prostitute rispetto ai predicatori religiosi. I due si scontrano, si conoscono, si riconoscono come anime ferite dal dolore della vita e assieme cercano una via di fuga dall’inferno della criminalità di Casablanca, ma soprattutto dal protettore di lei e da clienti senza scrupoli o pietà.

Se una cosa è certa, è che a el Iraki piacciono i western, Rodriguez/Tarantino e sa a memoria Cuore selvaggio di Lynch di cui Zanka Contact fornisce un campionario di palesi citazioni così evidenti e smaccate da oltrepassare l’idea stessa dell’omaggio: il film con Sailor e Lula è una sorta di spirito-guida, di orizzonte possibile su ciò che il cinema è in grado di fare. È l’incantesimo di cui diventiamo prigionieri di cui parla il regista. Così, dalla giacca di pelle di serpente al fuoco, dal taglio in testa di Rajae dopo l’incidente che ricorda quello di Sherilyn Fenn a una baracca fuori Casablanca che fa pensare a quella di Perdita Durango e a tante altre immagini, lo spirito di Lynch ossia il suo furibondo desiderio è dato per assodato dall’inizio alla fine. Dentro a questo ambiente mentale, a questo orizzonte trascendentale, la storia tra i due protagonisti non è però fondata su di una travolgente passione, ma si sviluppa in un lento avvicinamento, attraverso l’affidarsi l’un l’altro da parte di due persone già provate dall’esistenza. Simili nell’aver conosciuto il male, simili nel desiderare una nuova armonia e un nuovo modo di stare al mondo, i due devono voltare pagina assieme. Per farlo però dovranno fuggire da Casablanca dove Rajae è obbligata da un magnaccia che la considera come una cosa di sua proprietà, e attraversare i meandri di una una città raccontata nei suoi bassifondi e nei suoi barazzi, per bordelli e concerti rock, il che è un altro aspetto interessante del film, un’altra rivendicazione sacrosanta del regista. Così come Rajae è una donna forte, secolarizzata e sboccata, la città dell’omonimo film non ha niente di esotico o timido, e se ha qualcosa di romantico è nell’irruenza della sua vitalità: nulla ha a che fare con “l’immaginario” islamico, sia della donna sia degli ambienti, tutto concorre a smantellare ogni pregiudizio.

Zanka Contact è insomma un film straripante, un’esondazione libera. In questo flusso di immagini e sentimenti, alcune cose si smarriscono, come inghiottite dalla piena di un fiume. Ci sono momenti divertentissimi e particolari gustosi come gli adesivi dei Misfits, i vinili, la musica onnipresente o la fantastica canzone Full Contact Love (il grande successo dei tempi andati per Larsen Snake); ci sono sequenze di gran gusto e gestite dal regista con mano ferma come lo strepitoso inizio e la scena nella baracca in mezzo al nulla, in puro stile western. C’è però anche una certa macchinosità nella parte centrale nel portare avanti una vicenda in fondo estremamente semplice (lui e lei si conoscono/ostacoli/fuga/duello finale), come se la si dovesse un po’ sovraccaricare o ingarbugliare inserendo personaggi secondari che in realtà a ben vedere non aggiungono nulla ma fanno ridondanza. Zanka Contact ha qualche problema con la sceneggiatura che, in questa esplosione vulcanica non controllata, talvolta pare non essere neppure tanto importante ma in ogni caso sembra contorcersi senza una ragione reale. A parte questo, nell’esordio di Ismaël el Iraki si percepisce un genuino desiderio di vitalità e di anarchia espressiva, la volontà di non farsi imporre a quale genere di cinema dover corrispondere, richiamando anche la liceità per un regista magrebino di giocare con l’immaginario americano degli anni Novanta senza dover ricoprire per forza un posto già assegnato.

Info
Zanka Contact sul sito della Biennale.

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