Intervista a Lorenzo Mattotti
Tra i più importanti illustratori e fumettisti italiani, Lorenzo Mattotti è autore di opere quali Il signor Spartaco, Fuochi, Doctor Nefasto, L’uomo alla finestra, Stigmate e Jekyll & Hyde. Per il mondo del cinema ha realizzato i segmenti animati di raccordo tra gli episodi di Eros di Michelangelo Antonioni, Wong Kar-wai e Steven Soderbergh e gli sfondi del Pinocchio di Enzo D’Alò. Ha realizzato il manifesto ufficiale del Festival di Cannes nel 2000 e la sigla animata delle due ultime mostre di Venezia. Suoi film veri e propri sono un episodio dal titolo La Bête nel collettivo Peur(s) du noir (2007) e La famosa invasione degli orsi in Sicilia (2019), tratto dal romanzo omonimo di Dino Buzzati, presentato al Festival di Cannes 2019 nella sezione Un certain regard. Abbiamo incontrato Lorenzo Mattotti a Venezia durante il Ca’ Foscari Short Film Festival 2020 che gli ha dedicato un omaggio. Mattotti è anche autore del manifesto della manifestazione universitaria veneziana.
Guardando i doppiatori de La famosa invasione degli orsi in Sicilia stupisce la presenza di due non attori che hanno dato la voce del Vecchio Orso nelle edizioni francese e italiana. Per la prima è stato il grande sceneggiatore Jean-Claude Carrière, che ci porta a un universo surreale buñueliano, e per la seconda lo scrittore Andrea Camilleri. Come mai queste scelte?
Lorenzo Mattotti: Tutto è partito da Jean-Claude Carrière. Stavamo cercando le voci dei personaggi e avevo fatto già delle prove con delle voci italiane: stavamo pensando proprio a questo e c’era una mezza idea di utilizzare gli stessi attori per le due versioni ma è saltata. Ma questo fatto mi ha aiutato tantissimo perché così ho capito già che voci volevo. Mentre stavamo cercando gli attori francesi passa dalla produzione Carrière per un altro progetto, ci siamo messi a parlare dell’idea, è stato un bellissimo incontro. E quando è andato via con la mia assistente ci siamo detti: «Ma hai sentito che voce?». Glielo abbiamo chiesto ed è stato entusiasta. Lui aveva fatto anche l’attore e il narratore di racconti radiofonici. È stato perfetto perché il Vecchio Orso della caverna è anche un narratore. Lui, il grande sceneggiatore che ha dietro tutta la storia del cinema francese, e ha una voce roca, cavernosa. Poi mi sono chiesto chi potesse essere il corrispettivo italiano. Chiaramente era Camilleri, siciliano, narratore, sceneggiatore, anche lui con la sua voce cavernosa, quindi era automatico. Glielo abbiamo chiesto. All’inizio lui aveva paura di stancarsi molto, era già malato, per cui ha rifiutato. Ma non trovavo altre voci, e così ci abbiamo riprovato. Ho pensato di organizzare una piccola equipe e mandarla da lui, per non farlo venire negli studi di registrazione. A quel punto ha accettato. Abbiamo fatto tutto in un’ora e mezza e alla fine lui ha detto: «È troppo corto». In quel momento lui era già cieco e gli era impossibile accedere a testi e immagini. Gli abbiamo messo una cuffia, la direttrice del doppiaggio gli diceva le frasi che lui ripeteva dopo a memoria. Aveva una grande memoria. Il problema era che a volte era molto lento in alcune frasi che diventavano molto lunghe. Ma il tecnico del suono ci ha lavorato a volte accorciando le frasi, a volte accelerando pochissimo o abbassando la voce. Con la tecnica del suono si può fare. Abbiamo avuto la fortuna che molte voci del Vecchio Orso erano fuori campo. È stato un grande regalo che ci ha fatto, è stato molto emozionante. Qualcuno addirittura mi ha chiesto se il disegno del Vecchio Orso fosse stato fatto sulla base della figura di Camilleri. Abbiamo registrato prima le voci francesi delle animazioni, perciò i labiali sono basati sulle voci francesi.
Rispetto al testo di Buzzati hai creato quelle scene di racconto nella caverna e hai creato nuovi personaggi tra cui quello di Almerina. Si tratta di un omaggio alla moglie di Buzzati?
Lorenzo Mattotti: Non abbiamo creato il personaggio sulla moglie di Buzzati, era un omaggio a lei, glielo abbiamo anche chiesto. Inoltre abbiamo pensato che Almerina fosse un nome bellissimo per un personaggio femminile, per un’eroina.
Queste scene della caverna è come se teorizzassero il passaggio dall’illustrazione all’animazione, con le immagini del cantastorie. Sono importanti per te che affermi spesso di essere un illustratore e non un animatore?
Lorenzo Mattotti: Il luogo dove avviene il passaggio all’animazione è il telone del cantastorie, in questo posto che diventa scatola magica. All’inizio ci sono dei disegni, anche i miei disegni preparatori e poi piano piano si entra dentro il vero paesaggio. Il telone diventa schermo cinematografico, scatola magica e a un certo punto teatro, il posto dell’immaginario. Buzzati ha illustrato il libro con silhouette e disegni relativamente semplici. Ho cercato di prendere il massimo delle idee di Buzzati e di ritrasformarle per il film. De Ambrosis è rimasto quasi identico, l’orco è più grosso e violento ma cercando di mantenere le sue caratteristiche. Abbiamo trasformato i fantasmi perché fossero elastici, più volumetrici. Anche con le ombre abbiamo cercato di dare una profondità. Il lavoro con le ombre è stato fatto da un’equipe specifica, io volevo che ogni personaggio avesse la propria ombra e che le ombre si fondessero con le scenografie nello spazio. Le ombre creano il volume del personaggio e così anche lo spazio. Avevamo poi bisogno di una voce narrante. Nel libro c’è questo continuo rapporto tra Buzzati e il suo pubblico di bambini con frasi continue del tipo: «Come sapete, bambini, una vecchia leggenda delle montagne, vi ricordate, adesso non è che voglio farvi paura». Oppure ci sono delle mamme che dicono che certe cose non si possono raccontare. Volevamo mantenere questo continuo rapporto con il pubblico, fa parte del suo libro. Fare la voce off tutto il tempo ci sembrava un po’ pesante. Creando questa situazione abbiamo potuto avere il prima e il dopo, la storia vista dagli umani e dagli orsi. Poi abbiamo avuto, con la piccola Almerina, la possibilità di commentare da parte del pubblico dei bambini. Nella seconda parte Almerina diventa spettatore. Questo ci ha permesso tutto questo gioco, e anche il gioco del raccontare come si racconta una storia. Gedeone ha le sue regole dal punto di vista professionale. Poi ci ha risolto un altro problema: nel libro non c’era un personaggio femminile. Erano tutti guerrieri, orsi. Con l’escamotage di farla entrare nella storia, come potresti essere tu, abbiamo risolto anche il problema di fare il personaggio adolescente. Abbiamo fatto un gran lavoro con Jean-Luc Fromental e Thomas Bidegain, due grandi sceneggiatori. Lavoravamo tutti assieme, tiravamo fuori tutte le idee e solo alla fine si è arrivati allo storyboard.
Come hai vissuto quindi il passaggio da illustratore ad animatore?
Lorenzo Mattotti: Dietro l’animazione ci sono tanti soldi. C’è un’equipe e devi ascoltare tutti, tutta gente con grandissima esperienza. C’è tutta la parte della gestione dell’immagine e dei movimenti, di colori, musica. Ho avuto difficoltà nel gestire il ritmo cinematografico, nei raccordi. Non sapevo prevedere quanto potessero durare. Fai tutto prima, fai uno storyboard che è fisso. Devi pensare a come si muovono e ci vuole esperienza. C’erano dei momenti che ci sembravano troppo lunghi e invece si rivelavano veloci all’animazione. Avevamo un bravissimo storyboardista, dopo averne passati vari. Metti in discussione tutto perché se fai una storia a fumetti, questa è narrata nello spazio, puoi vedere più vignette contemporaneamente. Il cinema funziona nel tempo, passa una scena e non la rivedi più. Per creare l’immagine fluida ci sono delle regole precise nel linguaggio cinematografico. Col tempo le impari.
Il tuo primo film d’animazione, l’episodio di Peur(s) du noir, è in bianco e nero, con uso del chiaroscuro. Non crei il corrispettivo dei movimenti di macchina del cinema se non con dei brevi carrelli laterali, che è l’idea della lettura del fumetto, dello scorrimento dello sguardo sulla pagina. Con La famosa invasione degli orsi in Sicilia, a colori, aggiungi dei movimenti in profondità, per esplorare quegli scenari naturali. Come mai?
Lorenzo Mattotti: Per Peur(s) du noir ho tentato di limitare al massimo i movimenti per cercare di mantenere il più possibile una certa staticità. Viene dalla mia cultura dell’immagine fissa che è affascinante perché lascia un velo di mistero, il movimento ce lo aggiunge il lettore. Nell’animazione è l’opposto: si svela questo mistero. Allora come creare un altro mistero nell’immagine in movimento? Io ho tentato di mantenerlo con questo movimento. Poi nel caso di Peur(s) du noir non avevo problemi di pubblico, non doveva essere una storia per bambini. Quel primo film è più legato ai miei amori cinematografici, ai miei riferimenti, è molto più mattottiano nel mistero, peraltro un concetto molto buzzatiano. La famosa invasione degli orsi in Sicilia deve essere grande cinema, c’è il mio piacere. Qui i riferimenti riguardano il cinema spettacolare, quello che amavo da ragazzino, che ho assorbito da giovane. Nell’altro in ogni scena avevo dei riferimenti cinematografici, negli orsi è molto più generico. C’è il gioco del grande spettacolo. C’è questo gioco di lavorare sullo spazio, mi sarebbe piaciuto lavorarci molto di più, sulla contemplazione dei paesaggi. Nelle immagini di Buzzati ci sono sempre questi personaggi persi in grandi quadri. Ho cercato di mantenerli. È chiaro che poi devi mettere dei primi piani per entrare in un personaggio. Devi farlo per coinvolgere lo spettatore altrimenti sarebbe diventato un film troppo intellettuale per il budget che avevamo e per il pubblico che volevamo raggiungere.
La famosa invasione degli orsi in Sicilia è di fatto un film francese…
Lorenzo Mattotti: …con un po’ di cultura italiana.
Hai avuto la stessa equipe de La tartaruga rossa di Michaël Dudok de Wit per la casa di produzione Prima Linea che era anche tra i produttori di quel film?
Lorenzo Mattotti: Per quello c’era un’equipe più piccola, lo scenografo è lo stesso, Julien De Man.
Un’operazione del genere non sarebbe stata possibile in Italia. Come vedi il mondo dell’animazione italiana? In Italia?
Lorenzo Mattotti: Noi volevamo con i produttori creare anche una piccola equipe a Roma. Loro si erano fissati su Roma. Io avrei preferito altre città per motivi più pragmatici, per portare una parte dell’equipe, ma non ci siamo riusciti. Abbiamo quindi deciso di fare tutto in Francia a parte i disegni intermedi che sono stati fatti in uno studio in Ungheria. In Italia non c’è la mentalità, non si pensa a creare un polo d’animazione, adesso forse nasce qualcosa in Sardegna. Però ci vogliono delle decisioni politiche molto più forti, creare un polo produttivo che preveda anche le nuove tecnologie, il 3D. In Francia lo hanno fatto più di vent’anni fa ad Angoulême e in altri posti. Hanno investito molto. Ogni anno hanno almeno tre lungometraggi, e poi le serie. Una cosa che sta crescendo, fa parte del futuro. A quel punto, facendo esperienza, nascono gli autori come Michel Ocelot o Sylvain Chomet. Adesso è uscito Calamity. In Italia ci sono bravissimi illustratori ma bisogna creargli attorno la possibilità di fare cinema d’animazione. Non vedo i servizi. Ci sono questi ragazzi di Napoli della Mad Entertainment, un gruppo coevo, sono molto bravi riescono a risolvere molti problemi da bravi napoletani. Enzo D’Alò riesce a fare film però si appoggia alle vere realtà produttive in Belgio, Francia, Lussemburgo.
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