Hellzapoppin’
di H.C. Potter
Speciale Senza il cinema. Con il cinema.
Versione cinematografica di un musical di grande successo a Broadway, con gli stessi protagonisti, il duo comico Olsen and Johnson. Il regista H.C. Potter trasferisce sul grande schermo lo spirito distruttivo, anarchico e surreale dello spettacolo. Il risultato è uno dei film più folli della storia del cinema, pieno di situazioni di nonsense e di gag metacinematografiche, che ha fatto scuola. Visto oggi però Hellzapoppin’ appare datato, privo del ritmo necessario e di organicità.
Hollywood vs. Broadway
In un teatro di posa due comici stanno girando un film ambientato all’inferno. Il regista interrompe l’azione e spiega che occorre un plot, una storia e chiama uno sceneggiatore, che inventa la storia di Jeff, un giovane drammaturgo che sta allestendo un suo spettacolo nel parco di una grande villa di proprietà della famiglia Rand. Kitty, la figlia dei proprietari, che è la cantante principale dello spettacolo, è innamorata di Jeff, ma i suoi genitori vorrebbero prometterla in sposa a un altro. I due comici entrano nella storia nei panni di due attrezzisti dello spettacolo. Cercheranno di favorire l’unione di Jeff e Kitty. [sinossi]
Una scala al paradiso con un gruppo di ballerine che scende lentamente intonando una canzone celestiale, ma d’improvviso parte dei gradini si appiattisce e le danzatrici scivolano tra le fiamme per cadere all’inferno, torturate e messe allo spiedo dai diavoli. È uno degli incipit di Hellzapoppin’, film Universal del 1941 per la regia di H. C. Potter. Una scena enunciativa di quella tensione continua che pervade tutto il film, tra musical e slapstick, tra teatro musicale e vaudeville, laddove le trovate comiche hanno una carica distruttiva: disturbano, interrompono i numeri canori o di danza. E con questo conflitto culmina il film, nello spettacolo di musiche latinoamericane, messo in scena nel teatro all’aperto della villa, continuamente sabotato dai due comici protagonisti con classici espedienti, la polvere per far starnutire i performer o i chiodi buttati sul palcoscenico. Il secondo conflitto centrale in tutto il film è quello tra teatro e cinema, tra Broadway e Hollywood, laddove il secondo predomina e impone le sue leggi e regole.
Hellzapoppin’ è la trasposizione sullo schermo cinematografico di un popolarissimo spettacolo teatrale, dal titolo Hellzapoppin (che differisce da quello del film cui è stata aggiunto un apostrofo finale) che fece faville a Broadway dal suo debutto nel 1938, replicato migliaia di volte e poi fatto girare in tournée. Protagonista il duo comico Olsen and Johnson all’interno di quello che era già un calembour anarchico teatrale, dove il musical si ibridava al vaudeville, al teatro di rivista, al burlesque, al music-hall, alla prop comedy, alle arti circensi. Uno spettacolo che era una reinvenzione a ogni replica anche per l’interazione con il pubblico, con l’infrazione continua della quarta parete, con cantanti e danzatori che si mischiavano agli spettatori, e con un numero dopo la fine nel foyer del teatro che coglieva di sorpresa all’uscita. Nel 1941 quindi i dirigenti della Universal chiamano Olsen and Johnson per il film, unici attori originali dello spettacolo. I due devono inchinarsi alle regole di Hollywood, al regista H.C. Potter e agli sceneggiatori Warren Wilson e Nat Perrin, collaboratore dei fratelli Marx, che elaborano una storia assente nello spettacolo, di un triangolo amoroso. Si tratta tuttavia di un plot melenso e stereotipato e la sua stessa scrittura entra nel film come parodia. Il regista interno interrompe la scena e rimbrotta Olsen e Johnson e impone loro la storia, chiamando uno sceneggiatore, interpretato da Elisha Cook Jr. Hellzapoppin’, il film, mantiene la dimensione presentazionale dello spettacolo, ed è ancora tutto giocato sulla rottura della convenzione e sulla sua stessa esibizione, sulla denuncia continua della propria dimensione finzionale. La nozione stessa di spettacolo cinematografico viene decostruita scientificamente, come nota Ado Kyrou nel suo Le surréalisme au cinéma, mettendo a punto una metafisica dello spettacolo alla base di una trasformazione radicale della vita. Da subito il film si apre in due direzioni metacinematografiche. C’è subito il proiezionista Louie (interpretato da Shemp Howard membro del popolare trio comico dei Three Stooges) che dichiara di essere diventato ora un attore, dopo tanti anni in cabina. Louie interagisce con i due protagonisti, attraverso un vetro della cabina di proiezione in realtà modificato come un piccolo schermo. I suoi pasticci, dovuti al fatto che si sta intrattenendo con una corpulenta donna in divisa militare, generano frequenti disturbi: il quadro è instabile, va sottosopra, la proiezione viene riavvolta e gli stessi personaggi cercano di stabilizzarlo con i propri corpi. Il ruolo del proiezionista si confonde con quello dell’operatore e, più volte, i due comici chiameranno Louie per dirgli di spostare l’inquadratura.Il secondo sfondamento metacinematografico è quello che vede l’interruzione della scena del regista con l’esibizione della troupe e delle macchine, che, come si è detto, riproduce la genesi dell’adattamento, iscrivendo il film nel film, che parte da un quadro, messo dal regista a illustrare la location. Quadro che poi si anima e diventa immagine in movimento. È proprio il regista a spiegare il senso dell’operazione: un film su un film su Hellzapoppin, e che se la prenderà con lo sceneggiatore alla fine, per aver rovinato con lo slapstick la storia d’amore e il musical. E quest’ultimo si giustificherà dicendo di aver visto lo spettacolo a New York. Alla fine dello show messo in scena nel film, il produttore di Broadway che assiste, chiamato da Jeff che vorrebbe venderglielo, si sbellica dalle risate. Il boicottaggio di quello che avrebbe dovuto essere un musical puro, finisce per essere più divertente e piacevole del musical stesso. E qui abbiamo un’ulteriore teorizzazione del ruolo catartico del comico, un po’ come quello del contemporaneo I dimenticati di Preston Sturges. Siamo pur sempre in periodo di guerra, anche se in Hellzapoppin’ vengono tolti i riferimenti espliciti, le parodie di Hitler e Mussolini con cui cominciava lo spettacolo.
Tra le varie scatole cinesi in cui è costruito il film, la cabina di proiezione, il film, il film nel film, lo spettacolo nel film nel film, ci sono vari canali trasversali. Ci sono gag che si ripetono, quella dell’uomo che deve consegnare una pianta, che cresce ogni volta, a una fantomatica signora Jones, quella della donna che cerca il marito Oscar, quella, solo nel film nel film, di Betty (la meravigliosa Martha Raye) che cerca di concupire lo squallido Pepi che l’aveva illusa credendola una ricca ereditiera. Ci sono poi i numeri da ballo, uno misto allo slapstick, protagonista sempre Betty, e altri che invece sono puri e incantevoli, con musiche che ammiccano a Gershwin, anche citato nei testi delle canzoni, e coreografie, alcune delle quali acquatiche, nello stile di Busby Berkeley. Il musical non è solo quello diegetico dello spettacolo finale, anzi il primo numero musicale vero irrompe magicamente, nel perfetto stile del genere, proprio quando Jeff e Kitty stanno lavorando sul palcoscenico al suo allestimento. Il canto di quest’ultima, oscilla tra il diegetico e l’extradiegetico, per esempio nel momento della festa da ballo, dove la sua voce è magicamente protagonista della scena, nonostante lei stia ballando tra i tantissimi ospiti. C’è poi un numero di danza dal ritmo intensissimo, protagonisti dei domestici di colore. Scena in sé strepitosa ma del tutto gratuita e avulsa dal contesto.
Nel delirio totale del film, non possono mancare le citazioni cinematografiche. A volte ci sono spezzoni che il proiezionista mette per sbaglio, e compaiono così delle scene di western. Alla fine tra il pubblico dello spettacolo compare pure un mostro simbolo della Universal, Frankenstein, che rilancia sul palcoscenico Betty che era stata catapultata in platea, parodiando così la famosa scena del lancio della bambina da parte del mostro. Un epiteto ingiurioso viene censurato da un cartello, da cinema muto, citando espressamente i divieti del Codice Hays. Ma la citazione più straordinaria riguarda Quarto potere, nel momento in cui Olsen e Johnson trovano, peregrinando tra set assurdi, in un villaggio eschimese, lo slittino Rosebud. Citazione che rivela la prontezza degli autori, poiché il celebre film di Orson Welles era uscito solo sette mesi prima di Hellzapoppin’.
Il violoncellista prende una sega al posto dell’arco tagliando così le corde dello strumento, ma prosegue indefessamente a suonare: è una gag nella parte finale dello spettacolo, indicativa dello spirito surreale e dell’assurdo del film. Hellzapoppin’ si avvicina ai primi film dei fratelli Marx e soprattutto ai cartoon di Tex Avery e Chuck Jones. La gag della silhouette sullo schermo, che simula uno spettatore che si alza, è stata usata più volte da Avery per esempio. In Hellzapoppin’ viene potenziata, impiegando un cartello da cinema muto come un avviso a uno spettatore bambino, Stinky Miller, di rientrare a casa, avviso ripetuto a voce da Johnson sul palcoscenico: moltiplicando così le rotture della convenzione cinematografica. La scena verrà poi citata durante la parte finale dello spettacolo, quando Olsen esce sul palco dopo il primo atto, avvisando il signor McChesney di rientrare perché diventato padre di due gemelli. Il signore si precipita salvo poi realizzare che il suo vero nome è Miller. Molto da cartoon è anche l’ultima scena dello sceneggiatore colpito a revolverate dal regista, che non si fa nulla perché indossa un giubbotto antiproiettile ma, dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua, dal suo corpo partono mille zampilli.
L’eredità di Hellzapoppin’ è stata pure importante. Sicuramente la si può ritrovare in Woody Allen soprattutto in un suo testo teatrale, Dio, pervaso di un’analoga vena anarchica metalinguistica, dove per esempio compare in scena improvvisamente Blanche DuBois, di Un tram che si chiama desiderio, dicendo di aver sbagliato teatro. L’idea di riavvolgere la pellicola, o il nastro, torna invece nel cinema di Mel Brooks. Hellzapoppin’ è però un film invecchiato male che, visto oggi, rivela tanti suoi limiti. Pur nella sua geniale costruzione, manca spesso del ritmo necessario. Sono tantissimi i punti morti, le gag gratuite o i numeri tra parentesi. Ciò è probabilmente dovuto anche al fatto che, dopo la conclusione delle riprese, si decise di girare delle nuove scene aggiuntive, chiamando due specialisti come Alex Gottlieb ed Edward F. Cline, collaboratore di Keaton. Le nuove scene comprendono la parte del proiezionista, geniale e moltiplicatrice metalinguistica, ma anche le scene con il personaggio del detective Quimby, spesso inutili e gratuite. Non vi è nulla di peggio di una gag fuori posto, come diceva Buster Keaton.
Info:
Un trailer contemporaneo di Hellzapoppin’
- Genere: comico, commedia
- Titolo originale: Hellzapoppin'
- Paese/Anno: USA | 1941
- Regia: H.C. Potter
- Sceneggiatura: Nat Perrin, Warren Wilson
- Fotografia: Elwood Bredell
- Montaggio: Milton Carruth, Ted J. Kent
- Interpreti: Catherine Johnson, Chic Johnson, Clarence Kolb, Dick Lane, Elisha Cook, Frank Darien, Gus Schilling, Hugh Herbert, Jane Frazee, Lewis Howard, Martha Raye, Mischa Auer, Nella Walker, Ole Olsen, Robert Paige, Shemp Howard, Slam Stewart, Slim Gaillard
- Colonna sonora: Frank Skinner
- Produzione: Mayfair Productions Inc., Universal Pictures
- Durata: 94'