Lezioni di persiano

Lezioni di persiano

di

Raggiunge l’Italia, dopo l’anteprima alla Berlinale come Special Gala, Lezioni di persiano di Vadim Perelman, ennesima opera che attinge a quel mare magnum drammaturgico offerto dall’Olocausto e dai campi di concentramento. Sempre bene tenere viva la memoria, ma il film arranca in più di un’occasione.

Se questo è un persiano

1942. Siamo nella Francia occupata. Gilles viene arrestato da soldati delle SS insieme ad altri ebrei e trasportato in un campo di transito in Germania. Riesce a salvarsi giurando alle guardie di essere persiano. Questa bugia salva temporaneamente Gilles ma lo trascina in una missione impossibile: insegnare il farsi a Koch, l’ufficiale responsabile delle cucine del campo, che sogna di aprire un ristorante in Iran appena la guerra sarà finita. Con l’ingegno Gilles riesce a sopravvivere inventando ogni giorno parole di persiano e insegnandole a Koch. L’insolita relazione fra i due uomini solleva le gelosie di altre guardie delle SS. E mentre i sospetti di Koch aumentano di giorno in giorno, Gilles si rende conto che non sarà in grado di mantenere a lungo il suo segreto. [sinossi]

«Basato su fatti veri»: la scritta, solenne, stavolta compare dopo un incipit nel film di cui avevamo già avuto l’indicazione dell’anno in cui si svolge, ovvero il 1942. Basta questo inizio per capire perfettamente dove andrà a parare Lezioni di persiano, quinto film per il cinema del regista apolide Vadim Perelman, nato nella Kiev sovietica, con studi in Canada e un inizio carriera negli USA per poi trasferirsi in Russia. Lezioni di persiano esce sulla piattaforma #Iorestoinsala, dal 14 al 17 gennaio, dopo la presentazione alla Berlinale come Special Gala. Siamo di fronte all’ennesimo film sul tema Olocausto/deportazione degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale, un pozzo senza fondo per sceneggiatori e drammaturghi alla ricerca di storie estreme che effettivamente sono successe in quelle condizioni disumane. Ovviamente tenere viva la memoria rappresenta sempre un valore positivo. Il dibattito sulla rappresentabilità al cinema, di fiction, della Shoah, dei campi di sterminio, di concentramento (in questo film si tratta di un campo di transito) è sempre aperto. Si sono cimentati grandi autori ma esiste anche tutto un filone di cinema popolare in merito con esiti anche buoni, che si è trovato anche nella necessità di dribblare, o edulcorare, rispetto a una rappresentazione diretta, impossibile, di quell’orrore. Non a caso perfettamente riuscito in questo senso è un film che palesemente è consapevole della sua azione di maquillage dei campi di concentramento come Fuga per la vittoria, di uno degli ultimi leoni di Hollywood quale John Huston.

Lezioni di persiano appartiene a questo secondo filone e il principale merito di Vadim Perelman è quello di aver scovato una storia talmente assurda, improbabile, inverosimile da non poter non essere raccontata al cinema, ancorché romanzandola come è lecito. Ci si stupisce anzi del fatto che fosse ancora inedita per il grande schermo. Si tratta di una storia di guerra raccolta dallo scrittore, sceneggiatore e regista Wolfgang Kohlhaase e adattata, sembra con modifiche, nel suo romanzo Erfindung einer Sprache (“Invenzione di una lingua”). La storia è quella di un ebreo che, per scampare alla fucilazione dei nazisti, si spaccia per persiano e viene preso sotto la protezione di un ufficiale affinché gli insegni la lingua farsi. La lingua che Gilles insegna a Koch è del tutto inventata ricreando i vocaboli basandosi sulle liste dei prigionieri del campo. Una storia, in quanto tale, notevole, di sopravvivenza, che si può rifare, nel gran calderone del cinema a tema, a Europa Europa di Agnieszka Holland, film che racconta la storia, pure vera, di un ragazzo che riesce a nascondere di essere ebreo e, spacciandosi per ariano, arriva a frequentare ambienti hitleriani. Un tipo di narrazione che permette di giocare il film sulla suspense continua, sul meccanismo spettatoriale di identificazione e sulla tensione costante per la paura di essere scoperti. La simulazione di un’altra identità fa parte del resto di un’opera archetipica sul nazismo quale Vogliamo vivere! (To Be or Not to Be) di Lubitsch che usciva proprio nel 1942, anno in cui parte la narrazione di Lezioni di persiano.

La storia di Lezioni di persiano basta da sola a reggere drammaturgicamente il film. Vadim Perelman non si mostra però sempre all’altezza di svolgere bene il compitino. Il film per esempio non ha un registro drammatico omogeneo. Inizia con una scena terribile, anche di violenza compiaciuta, quella della fucilazione degli ebrei deportati, all’improvviso, in un bosco, con un secondo gruppo che assiste prima di subire la stessa fine, mentre si ode un pianto di bambino. Cosa di per sé più che legittima visto il tema. Ma per terminare con una burletta da ridere, quella di Koch che parla nel suo farsi inventato con gli agenti della frontiera iraniana – cui è riuscito rocambolescamente ad arrivare con un falso passaporto francese – i quali, non comprendendolo, ne verificheranno i documenti. Quest’ultima scena, dalla facile risata, rappresenta anche un’occasione persa, come già quella in cui Koch aveva picchiato pubblicamente Gilles subodorando il suo inganno.

Si poteva infatti mantenere l’ambiguità sul fatto che in realtà l’ufficiale avesse capito tutto ma avesse proseguito il gioco. E ciò per un suo innamoramento nei confronti del prigioniero, cosa che il film non si limita a suggerire in più di un’occasione. Koch è l’unico a non partecipare a quei giochi di amori, separazioni e gelosie che si coinvolgono gli ufficiali, maschi e femmine, del campo; con Gilles ha un dialogo sull’innamorarsi che diventa allusivo; sulla natura morbosa del loro rapporto esclusivo si fanno illazioni e circolano rapporti confidenziali; e in più di un’occasione Koch mostra reazioni di gelosia, per quel compagno di prigionia cui Gilles porta il cibo; e di possesso, come nell’ultima parte quando va a riprendersi il suo prigioniero prediletto che stava per essere evacuato dal campo. L’attrazione omosessuale che diventa favoritismo tra un ufficiale e un prigioniero, nella dimensione claustrofobica di un campo nazista, rappresenta un’altra derivazione da un caposaldo del cinema quale La passeggera di Andrzej Munk.

Stonata sembra la rappresentazione di quel mondo frivolo di ufficiali tedeschi che vivono come dei ragazzi in collegio, tra flirt, tradimenti, racconti intimi denigratori come vendette di ex. Vorrebbe essere un elemento funzionale a rappresentare il divario tra la vita agiata degli ufficiali tedeschi che passano tra un party all’aperto e cene di lusso, e i prigionieri, sospesi tra la vita e la morte, che non possono permettersi di innamorarsi. Lezioni di persiano si conclude con quel momento da Fahrenheit 451, con Gilles che, davanti agli ufficiali alleati snocciola le liste dei prigionieri, i cui documenti cartacei erano stati inceneriti dai nazisti in fuga; migliaia di nomi che è in grado di ripetere mnemonicamente, avendoli usati per estrapolare quei vocaboli persiani inventati. Un altro tema importante, quello della preservazione della memoria attraverso la forma orale, la memorizzazione come unica forma di tutela di un’informazione, come resistenza in un sistema dispotico, proprio come nel romanzo di Bradbury. La scena, e il tema sono tuttavia buttati lì, avulsi dal contesto del film.

Punto forte di Lezioni di persiano invece è la bella caratterizzazione del personaggio di Koch, nell’interpretazione fatta dall’attore Lars Eidinger, che ha calcato le scene teatrali tedesche con il grande regista Thomas Ostermeier, e che abbiamo visto nei film di Olivier Assayas Sils Maria e Personal Shopper, e in High Life di Claire Denis. Il ritratto. che emerge dalla generale superficialità con cui sono resi i graduati tedeschi, è quello di un personaggio estroso e dotato di fantasia, fuori dagli schemi grigi e squallidi delle gerarchie naziste in cui è finito, come racconta, per un idealismo di cui non è già più convinto. Fa parte del suo estro l’obiettivo di andare a vivere a Teheran dopo la guerra per aprirvi un ristorante. Il suo apprendimento di una lingua esotica sembra rientrare in una curiosità intellettuale che va oltre la necessità dei suoi progetti di vita e diventa un’interazione continua con il maestro di lingua. Anche per questo Klaus non dovrebbe essere poi liquidato narrativamente così facilmente, come un gretto criminale nazista qualsiasi.

Vadim Perelman è autore, nella prima parte, americana, della sua carriera, di un inutile ennesimo film sul massacro della Columbine High School, Davanti agli occhi, un flop al botteghino che lo ha indotto a fare cinema in Russia, dove pure ha abbandonato le velleità autoriali con serie tv e commedie. Con Lezioni di persiano firma un film certamente imperfetto cui va comunque riconosciuta la buona fede: non si tratta di un’operazione furba. E di opere sulla memoria dello sterminio, ancorché non tutte capolavori della settima arte, ci sarà sempre bisogno.

Info:
La scheda di Lezioni di persiano sul sito della Academy Two.
Il trailer di Lezioni di persiano

  • Lezioni-di-persiano-2020-Vadim-Perelman-01.jpg
  • Lezioni-di-persiano-2020-Vadim-Perelman-02.jpg
  • Lezioni-di-persiano-2020-Vadim-Perelman-03.jpg
  • Lezioni-di-persiano-2020-Vadim-Perelman-04.jpg
  • Lezioni-di-persiano-2020-Vadim-Perelman-05.jpg

Articoli correlati

  • Cult

    Fuga per la vittoria

    di Difficile pensare a Fuga per la vittoria senza John Huston. Prima di Pelè e Ardiles, Caine e Stallone, è lui il fuoriclasse che riesce a tenere a bada retorica e cliché, orchestrando un grande spettacolo hollywoodiano.
  • Archivio

    Personal Shopper

    di Olivier Assayas porta in concorso a Cannes (e ora in sala) una ghost-story che è riflessione sul desiderio, sul proibito e sull'immateriale. Con una splendida Kristen Stewart.
  • Cinema Ritrovato 2014

    La passeggera

    di Al Cinema Ritrovato di Bologna ritorna sul grande schermo l'opera capitale di Andrzej Munk che morì prima di riuscire a portarla a termine. Un film imperdibile.
  • Archivio

    Sils Maria RecensioneSils Maria

    di Olivier Assayas in Sils Maria racconta la crisi di un’attrice di mezza età costretta a tornare a ragionare sulla pièce con cui esordì da adolescente. In concorso a Cannes 2014.

Leave a comment