A Quiet Place II

A Quiet Place II

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Ridondante ma nel complesso efficace, A Quiet Place II di John Krasinski sposta la sua commistione di generi dallo sci-fi western allo sci-fi on the road, moltiplicando pericoli e personaggi.

Persone silenziose

In seguito agli ultimi tragici eventi, la famiglia Abbott deve ora affrontare il terrore del mondo esterno, mentre continuano la loro lotta per la sopravvivenza, mantenendo ancora il silenzio. Costretti ad avventurarsi nell’ignoto, si renderanno presto conto che le creature a caccia del suono non sono le uniche minacce che si nascondono oltre il sentiero di sabbia. [sinossi]

Dopo il successo del precedente capitolo, torna quel che resta della famiglia Abbott in A Quiet Place II e questa volta i congiunti superstiti sono costretti a lasciare la loro fattoria in cerca di aiuto. I nemici all’erta sono sempre gli stessi: alieni famelici dall’udito ipersensibile, poco propensi alla convivenza con i rumorosi umani, specie poi se sono dei bambini. Scritto e diretto sempre da John Krasinski, che recupera il suo ruolo di pater familias in un prologo-prequel volto a mostrare il primo contatto con le creature extraterrestri, A Quiet Place II sposta la sua sapida commistione di generi dallo sci-fi western con fattoria- fortino da difendere allo sci-fi on the road con percorso nella wilderness in cerca di salvezza e redenzione.

Ad animare lo spirito complessivo di questa quarta regia di Krasinski c’è sempre il solido appiglio al monster movie di serie b statunitense, perfetto per una corroborante serata estiva. Ma stavolta il timore di aver esaurito i topoi e i loro possibili riciclaggi si fa sentire fin da subito e prosegue nel corso del film come un’ansia costante e affannosa, che cerca rifugio nella moltiplicazione dei protagonisti, nelle duplicazione sia dei “cattivi” (ora c’è anche un’umanità abbrutita) che dei punti deboli degli alieni, e infine, da un punto di vista narrativo/stilistico, nell’infallibile espediente del montaggio alternato.
Nel riuscito incipit dedicato al giorno uno dell’invasione aliena, ecco che ci vengono introdotti personaggi e temi, predisposti per essere riecheggiati più avanti, come nella più classica delle sceneggiature: il linguaggio dei segni per comunicare la parola “tuffarsi”, il tema del “respiro” con calma e sangue freddo, e poi quella che sarà la nuova figura paterna del film, ovvero l’amico di famiglia incarnato da Cillian Murphy. Sarà proprio a lui che Evelyn Abbott (Emily Blunt) andrà a chiedere aiuto, con il suo “scomodo” seguito composto dalla figlia ribelle non udente Regan (Millicent Simmonds), dal timido e pauroso Marcus (Noah Jupe) e dal potenzialmente assai rumoroso ultimogenito neonato.

Dato che oramai la nostra eroina ha partorito, il principale pericolo proviene proprio dal nuovo arrivato che però è stato opportunamente rinchiuso in una valigia imbottita e respira grazie a una bombola d’ossigeno. A ciò bisogna aggiungere le intemperanze di Regan, sempre più prossima all’adolescenza e interessata a dimostrare di poter prendere il posto del padre. Il fratello di mezzo Marcus, invece, finisce con il piede in una tagliola, e tenerlo in silenzio diventa un problema non da poco. Non resta che convincere il classico eroe riluttante (Cillian Murphy) a prendersi le sue responsabilità e accettare dunque un ruolo da padre putativo.

Nel percorso formativo che coinvolgerà tutti i personaggi, dato lo sviluppo, stavolta più corale, del racconto, ecco arrivare gli elementi più funzionali e riusciti dei questa nuova saga: la tensione montante, la costruzione della suspense basata sui sensi e quello che sono o non sono in grado di percepire (le soggettive audio di Regan), qualche sonoro spavento. Il tutto triplicato poi da quel montaggio alternato che caratterizza il climax del film, quando vengono separate e cucite insieme le vicende di Regan con il nuovo “padre” ancora per poco riluttante, quelle di Evelyn in cerca di antibiotici, e la reclusione di Marcus, immobilizzato nel bunker con il neonato senza più ossigeno. Viene da chiedersi se questa frammentazione sia dovuta a una scarsa fiducia nelle potenzialità di ogni singola scena o sia la scomoda e in fondo non necessaria eredità di uno stile da serie-tv. E forse sarebbe meglio cominciare a riflettere su questo retaggio o, meglio, su questo talvolta fastidioso contagio da parte della forma audiovisiva imperante e di natura domestica.

Inoltre, rispetto al precedente A Quiet Place- Un posto tranquillo, questa volta il discorso sul capitalismo e dunque il legame con l’horror politico di un Romero e di un Carpenter viene meno, sostituito solo da un vago riferimento alla realtà post-industriale evocata dal bunker in cui i nostri eroi si rifugiano: una location costellata da tubature semi-inerti e addobbata con quelle tute da operai ormai dismesse e appese ai ganci sul soffitto.

Qualche rigidità si registra poi nello script poco oliato, per cui elementi importanti per la tensione – si veda l’apparecchio acustico di Regan – scompaiono e riappaiono troppo rapidamente e facilmente, specie se considerata la rilevanza narrativa degli stessi (la protesi serve ad allontanare gli alieni). Piuttosto tediosa, oltre che schematica, è poi la scena dell’incontro iniziale dei nostri eroi con Cillian Murphy, dove emerge che Krasinski non sapeva proprio che parole usare per sbrigare le formalità e convincere il personaggio a partecipare all’avventura. Poco utilizzato risulta infine il tema – di grande attualità in questi tempi post-pandemici – di un’umanità superstite incattivita ed egoista: non basta un trucco a parrucco da creature sporche e spettinate a farci credere che questi sopravvissuti siano anche cattivi e dunque da eliminare.

Al netto dei suoi difetti A Quiet Place II resta in ogni caso un gradevole divertissement estivo, basta sospendere l’incredulità in qualche snodo narrativo lasciarsi avvolgere dall’ottima tensione che Krasinski sa indubbiamente apparecchiare, e per un sequel non è cosa da poco.

Info:
La pagina dedicata ad A Quiet Place II sul sito della Eagle Pictures.
Il trailer di A Quiet Place II

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