Parigi, 13Arr.

Parigi, 13Arr.

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Jacques Audiard torna per la quinta volta in concorso al Festival di Cannes con Parigi, 13Arr. (in originale Les Olympiades), storia di amicizie e amori giovanili nello scenario di Olympiades, il quartiere con le caratteristiche torri residenziali che fa parte del XIII arrondissement di Parigi. Un’opera libera e gioiosa, che sa scendere in profondità nella rappresentazione di una generazione alla ricerca del proprio senso prima ancora che del proprio spazio. Gran parte del merito della riuscita il regista lo deve condividere con le sue due co-sceneggiatrici, Céline Sciamma e Léa Mysius.

Regarde les hommes (et les femmes) tomber amoureux

Émilie è una giovane di origine cinese che vive a Parigi, nel 13esimo arrodissement, nell’appartamento della nonna, da tempo in ospedale malata di Alzheimer. Per gestire economicamente l’appartamento mette un annuncio al quale risponde Camille, un afrodiscendente che deve iniziare a insegnare in un liceo lì vicino. Tra i due scatta la scintilla erotica, ma solo Émilie è davvero innamorata. Nel frattempo nel quartiere si trasferisce da Lione anche Norma, decisa a riprendere gli studi universitari nonostante abbia trentatré anni… [sinossi]

Émilie si innamora di Camille, hanno rapporti sessuali ma lui non è davvero innamorato tanto che la lascia per una collega del liceo, prima di lasciare a sua volta l’insegnamento, lavorando nell’agenzia immobiliare di un amico dove conosce Norma, che è arrivata a Parigi da Lione per riprendere gli studi universitari che ha però mollato dopo essere stata vittima di un bullismo collettivo in facoltà vista la sua somiglianza con Amber Sweet, una celeberrima pornodiva. Camille s’innamora di Norma, ma il rapporto è frastagliato anche perché la ragazza inizia a incontrarsi la notte con Amber Sweet in una chat privata… Tutti s’innamorano di tutti, ne Les Olympiades (in italiano si è scelto un più cacofonico Parigi, 13Arr., forse per evitare fraintendimenti e rendere chiara l’ambientazione nella capitale francese), ma soprattutto tutti sembrano alla ricerca di un senso non solo della vita, ma dell’esperienza collettiva che la vita dovrebbe portare con sé. Già, la vita collettiva, quel dettaglio che quasi due anni di pandemia ha reciso dalla memoria del popolo, e che il film – girato in pochissimo tempo a partire da novembre del 2020 – cerca di ricordare, e di tornare a raccontare, partendo dai luoghi prima ancora che dagli individui. Una panoramica aerea sulle torri di Olympiades, con la camera che spia in maniera fuggevole nei diversi appartamenti: in uno c’è un televisore acceso, in un altro una persona è seduta al tavolo della cucina. Con uno stacco di montaggio la ripresa da esterna si fa interna: su un divano Émilie, di origine cinese (taiwanese, per la precisione) e Camille, afrodiscendente, cantano al karaoke completamente nudi, per poi fare l’amore. Inizia così la nuova regia di Jacques Audiard selezionata nel concorso principale del Festival di Cannes. Il ritorno di Audiard sulla Croisette non poteva di certo passare inosservato: tra tutti i cineasti francesi contemporanei è infatti quello con il feeling migliore con la kermesse sulla Costa Azzurra, avendo già vinto in passato la Palma d’Oro con Dheepan, il Grand Prix della giuria con Il profeta, e il premio per la sceneggiatura con Un héros très discret.

Pur rientrando perfettamente nella cifra stilistica di Audiard, come testimoniano gli scarti registici, la scelta delle inquadrature, il ritmo che muove l’intera struttura, è impossibile non considerare Parigi, 13Arr. come un’opera a sei mani, le cui qualità il regista di Sulle mie labbra, Tutti i battiti del mio cuore e Un sapore di ruggine e ossa deve necessariamente condividere con le due cineaste con cui ha collaborato in fase di scrittura. La sceneggiatura è infatti firmata anche dalla quarantaduenne Céline Sciamma – già al lavoro in passato per altri, come testimoniano Quando hai 17 anni di André Téchiné e La mia vita da zucchina di Claude Barras – e dalla trentaduenne Léa Mysius, autrice in proprio di Ava e Le Cinq Diables ma sceneggiatrice per Arnaud Desplechin (I fantasmi d’Ismael e Roubaix, une lumière), Stefano Savona (La strada dei Samouni) e di nuovo Téchiné (L’Adieu à la nuit). Il quasi settantenne Audiard, per riuscire a raccontare la gioventù contemporanea, condivide il lavoro con due colleghe di un’altra generazione, nessuna delle due parigina (Mysius è di Bordeaux, mentre Sciamma è nata a Pontoise, una quarantina di chilometri a nord della Capitale) ed entrambe nate quando l’idea di città futura celata nel progetto urbanistico di Olympiades era stata già ampiamente trasformata in realtà.

Interamente ambientato nel quartiere, con un paio di capatine che restano comunque nell’arrondissement, Les Olympiades è una commedia in bianco e nero che si interroga con levità ma non senza lacerazioni vere o presunte – il senso d’abbandono e di umiliazione che si prova all’interno di un’umanità che sa dimostrarsi priva del benché minimo accenno di empatia, come testimonia la triste vicenda che capita alla povera Norma, colpevole solo di una vaga somiglianza con una pornodiva e per questo presa d’assalto sui social media – e sembra riallacciarsi all’epoca d’oro del cinema “indipendente”, tanto d’oltreoceano quanto europeo (e Spike Lee, che esordì con Lola Darling, potrebbe ritrovarvisi). Un film che però si interroga sull’oggi, con relazioni umane indecifrabili, amore e desiderio che si confondono, e una smaterializzazione del contatto che è diventata parte integrante della quotidianità. Nella dialettica tra dentro e fuori, tra esteriorità e intimità, tra spazio pubblico e privato, Audiard trova il modo di riflettere sulla multiculturalità e pone al centro della questione un mondo femminile che reclama a gran voce il proprio spazio – emblematicamente anche l’unico uomo della contesa, Camille, ha un nome accostabile all’universo muliebre. Ma se la tecnologia può indurre a un’idea di vicinanza anche quando si è distanti chilometri (il rapporto amicale e affettivo tra Norma e Amber Sweet nasce via chat, Émilie si “vendica” dell’addio di Camille grazie a un’app di incontri e all’inizio del film lavora in un call center) è ancora la relazione fisica l’unica vera dimostrazione di umanità, e lo testimonia anche il pugno in pieno volto con cui Norma saluta una delle compagne d’università che l’avevano presa pesantemente in giro esponendola al pubblico ludibrio. Traendo ispirazione dalla raccolta di racconti a fumetti Morire in piedi di Adrian Tomine, Audiard celebra la rinascita alla vita, e dunque all’amore, e lo fa con una levità che contagia in profondità lo sguardo dello spettatore, cercando la libertà nell’imponenza della struttura – di nuovo, il ricorso al rigore della bicromia – seguendo esattamente lo schema che spinse Michel Holley a progettare Olympiades, creando un quartiere che potesse attrarre i giovani professionisti, e la modernità. Oggi che anche il professionismo è precario (nel film tutti si arrangiano come possono, saltando di palo in frasca tanto negli affari sentimentali quanto in quelli lavorativi) la modernità prorompe con forza da Parigi, 13Arr., trascinando con sé un’aria di possibilità che suona utopica, favolistica come il finale dolcissimo del film, eppure non priva di escoriazioni e cicatrici. Il merito va anche all’ottimo cast dominato dalle luminose intepretazioni di Lucie Zhang, Makita Samba e Noémie Merlant.

Info
Il trailer di Parigi,13Arr..

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