Les Intranquilles
di Joachim Lafosse
Passato in concorso all’ultimo Festival di Cannes e adesso selezionato per Fuori Concorso/Surprise al Torino Film Festival 2021, Les Intranquilles di Joachim Lafosse è un sincero melodramma familiare che tenta anche (riuscendoci in parte) un discorso intorno al tormento dell’artista. Assai apprezzabile il lavoro con i due attori protagonisti, Damien Bonnard e Leïla Bekhti.
Scene da un matrimonio al litio
Il pittore Damien è sposato da diversi anni con Leïla, che ha dovuto imparare a convivere con il disturbo bipolare del marito. I due hanno anche un figlio, Amine, suo malgrado coinvolto nelle torturanti dinamiche domestiche innescate dalla malattia del padre. In un periodo di grande fervore creativo Damien inizia a spaventare Leïla, preoccupata soprattutto dall’assenza in lui della necessità di dormire. A poco a poco, infatti, lo stato di Damien si tramuta in un’ennesima crisi maniacale, mentre l’equilibrio di Leïla comincia a sua volta a vacillare e mostrare crepe… [sinossi]
Uno dei racconti più belli, beffardi e strazianti di Anton Čechov è «Il monaco nero» (1894), in cui il professore universitario di Psicologia Andrej Kovrin è visitato nottetempo da un misterioso spirito notturno, che gli promette di fargli dono di una particolare ispirazione e di coinvolgerlo nell’acquisizione di importanti progressi per l’uomo. Sottoposto a un periodo di cura, Kovrin “guarisce” ma insieme alle allucinazioni del monaco spariscono anche l’entusiasmo, l’ispirazione, il desiderio di creare. Parabola acutissima e spietata, il racconto di Čechov si attaglia perfettamente al tormentato tragitto solcato dai protagonisti di Les Intranquilles, ultima fatica del belga Joachim Lafosse, che passando per il concorso dell’ultimo Festival di Cannes arriva adesso nella sezione Fuori Concorso/Surprise del Torino Film Festival. Perché anche Les Intranquilles tratta esattamente di tormento e creazione, di malattia e conformismo, del disturbo psichico che nei soggetti creativi coincide spesso con l’ispirazione stessa. E se si spegne la malattia tramite la cura, finisce per spegnersi anche il desiderio. A tutto questo Lafosse aggiunge anche deviazioni verso altri lidi, dando forma di prima sommesso e poi arrembante melodramma familiare alle difficoltà di conciliare la sovra-realtà di un artista con il legittimo desiderio di quieta esistenza di chi gli sta vicino. Al centro, si delinea il conflitto tra sofferenza e resilienza, pronti a scambiarsi di ruolo e posizione tra due figure che, nonostante tutto, reclamano il proprio diritto ad amarsi nonostante il disturbo mentale di uno dei due.
Rispetto a Dopo l’amore (2016), probabilmente il film di Lafosse più noto in Italia e a sua volta dedicato a un rapporto di coppia, Les Intranquilles sembra voler alzare il tiro, conferendo spessore al conflitto narrato e calibrando i sovratoni in una sapiente crescita drammatica. Al fondo, come dichiarato dallo stesso Lafosse, vi è una primaria ispirazione derivante da esperienze autobiografiche, dal momento che il padre dell’autore belga, fotografo d’arte, era affetto da disturbo bipolare. È infatti intorno agli sconquassi familiari provocati da un pittore bipolare che si articola il tessuto narrativo del film e che si dipana il tormentoso dilemma della scelta tra la serenità d’animo e il parziale spegnimento della propria vena artistica. Nei suoi periodi maniacali il pittore Damien dà il meglio di sé, animato da una creatività febbrile che lo spinge a un’estenuante iperattività fino alla totale mancanza di sonno per giorni e giorni consecutivi. Sua moglie Leïla cerca di riportarlo a miti consigli, ma Damien rifiuta ogni cura, non tanto perché nega la propria malattia, ma perché sa che il litio lo condurrebbe a uno stato di prostrazione psico-fisica tale da annullare in lui qualsiasi anelito creativo. Finché la situazione, inevitabilmente, gli sfugge di mano, e la sua mente si avvolge in una spirale isterica e survoltata con umilianti ricadute su moglie e figlio. Il terzo sguardo, angolare rispetto alla coppia ma tributato di notevole rilievo, è infatti quello del bambino Amine, figlio della coppia, la cui sensibilità di ritratto tradisce l’empatia di un regista che, in questa triade di personaggi, ha occupato a suo tempo proprio la casella del figlio. Nell’affetto sincero del bambino per il padre, nella comprensione silenziosa della situazione, nella sua difesa istintiva in prefinale della buonafede di Damien, Lafosse lascia palpitare la verità di chi ha dovuto assumere suo malgrado, nel passato, lo stesso punto di vista.
Lafosse sceglie di ritagliare un frammento narrativo nel flusso di una realtà che sembra precedere e seguire il film. In un certo senso, Les Intranquilles non ha inizio né fine. All’esordio prende l’avvio in medias res e propone una situazione narrativa già consolidata, che rimane sostanzialmente statica e iterativa per buona metà del racconto. Sulla metà si registra tutt’al più un switch tra i due protagonisti, laddove l’esistenza estenuata alla quale Leïla è costretta sembra compromettere anche la sua salute mentale. I ruoli si invertono; il litio ha fatto il suo dovere su Damien, ma adesso è Leïla a rischiare di vacillare. La chiusura, infine, mostra null’altro che una possibilità di patto reciproco, al quale Lafosse decide di non dare una risposta definitiva. Posso prometterti di stare attento, di fare del mio meglio; non posso prometterti di guarire. Damien perviene a una consapevolezza di sé schiacciante nel suo pieno e spietato realismo. Non si guarisce, probabilmente. Possiamo solo accettarci, per quanto difficile e consumante sia rimanere al mio fianco.
Sul piano stilistico ed estetico, questa tranche de vie, dove nulla di nuovo sembra accadere mentre impercettibilmente la situazione si aggrava passo dopo passo, è sostenuta da un consueto lavoro a strettissimo contatto con gli attori, pedinati da una frequentissima macchina a mano. Forse per agevolare l’identificazione da parte della coppia di attori protagonisti, gli eccellenti Damien Bonnard e Leïla Bekhti, i due personaggi portano i loro stessi nomi di battesimo, mentre Bonnard, che ha avuto trascorsi di pittore, ha dipinto di sua mano le opere che si vedono nel film, coadiuvato dall’artista belga Piet Raemdonck. Lafosse insegue dunque un’intensa sovrapposizione tra realtà e messinscena, e l’incessante fluire della sua macchina a mano ricorda alla lontana il cinema dei fratelli Dardenne, qui riletto alla luce di una drammaturgia più convenzionale supportata da dialoghi che talvolta tradiscono l’effetto, il melodramma, il sensazionale. È una fermentazione stilistica, in realtà, alla quale si arriva un po’ alla volta, dopo un lungo esordio fondato sui semitoni, sulla registrazione di azioni e reazioni, su dialoghi parsimoniosamente centellinati. Poi, man mano che la crisi maniacale di Damien monta, in qualche modo monta anche il film, seguendo le azioni sempre più convulse del protagonista. Raggiunto questo climax, Lafosse si adagia successivamente su una drammaturgia più prevedibile, fatta di recriminazioni, strepiti e crisi di nervi, dove però resta intatta (questo sì) una solida credibilità di racconto. Il dolore e il disagio di Leïla si fanno quasi materici, tangibili. L’avvenuta assunzione di responsabilità da parte di Damien, altrettanto.
A fronte di una messinscena a suo modo impeccabile, resta comunque un quesito di fondo che mina un po’ le fondamenta del lavoro di Lafosse. Malgrado gli attori in grande spolvero, malgrado lo scaltro fiuto per il dramma, Les Intranquilles lascia qualche temibile dubbio di gratuità. Autobiografico nell’ispirazione, ma non abbastanza da giustificarsi in un bilancio personale che si apra alla riflessione universale, ben strutturato intorno all’irrequietezza spesso tragicamente inevitabile dell’anima d’artista, il film di Lafosse resta sostanzialmente un dramma borghese incapace di scavare a fondo nei dilemmi evocati. In fin dei conti, nell’invocazione finale ad accettarsi lanciata da Damien, non fa molta differenza che il suo mestiere sia il pittore o il fromboliere. Da bipolare, potrebbe creare disagi a moglie e figlio anche con una fionda in mano al posto di un pennello. Al di là dei paradossi, la riflessione sul destino dell’artista resta inscritta in un prevalente melodramma familiare di cui costituisce solo una parte, a conti fatti né troppo centrale né troppo profonda o significativa. Come melodramma, in ogni caso, il film funziona molto bene, tenendo incollato lo spettatore allo schermo da inizio a fine. Pregio non da poco, insieme a una ben visibile sensibilità psicologica e a un eccellente lavoro con gli attori. Per cui, accomodiamoci in poltrona. Ne vale la pena, magari con un fazzoletto in mano. Per commuoversi senza troppi ricatti, senza troppi prevedibili escamotage. Al fondo, la sincerità dell’operazione è più che palpabile.
Info
La scheda de Les Intranquilles sul sito del Torino Film Festival.
Il trailer originale de Les Intranquilles.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Les Intranquilles
- Paese/Anno: Belgio, Francia, Lussemburgo | 2021
- Regia: Joachim Lafosse
- Sceneggiatura: Anne-Lise Morin, Chloé Leonil, François Pirot, Joachim Lafosse, Juliette Goudot, Lou Du Pontavice, Pablo Guarise, Romain Versaevel
- Fotografia: Jean-François Hensgens
- Montaggio: Marie-Hélène Dozo
- Interpreti: Damien Bonnard, Elsa Rauchs, Gabriel Merz Chammah, Joël Delsaut, Jules Waringo, Larisa Faber, Leïla Bekhti, Luc Schiltz
- Colonna sonora: Antoine Bodson, Ólafur Arnalds
- Produzione: BE TV, Canal+, Ciné+, Cofinova 17, KG Productions, Prime Time, Proximus, Radio Télévision Belge Francophone (RTBF), Samsa Film, Stenola Productions, VOO
- Durata: 117'
