Becoming
di Fatima Al Banawi, Hind Al Fahhad, Jawaher Alamri, Noor Alameer, Sara Mesfer
Presentato nella sezione Horizons of Arab Cinema del 43° Cairo International Film Festival, Becoming è un film collettivo in cinque episodi, ciascuno di una regista saudita, sul tema della condizione femminile. Al di là del probabile intento propagandistico dell’operazione, alcuni segmenti comunicano un reale senso di soffocamento e oppressione verso la società tradizionale.
Non è un paese per donne
Cinque brevi storie che esplorano la profondità umana, sotto pressioni e sofferenze, segreti, ansie e paure. [sinossi]
Dal 2018 il Regno dell’Arabia Saudita ha deciso di permettere l’apertura di sale cinematografiche, fino a quel momento vietate per legge. Contestualmente un nuovo impulso è stato dato alla produzione di film e all’insegnamento della settima arte. Tra pochi giorni aprirà i battenti un nuovo festival internazionale a Gedda, il Red Sea International Film Festival che prevede una sezione sul cinema al femminile. Tutto ciò rientra evidentemente nelle operazioni di maquillage del Regno, nell’ottica di mostrare al mondo che sono in atto riforme. In questo contesto si deve far risalire la realizzazione del film Becoming, prodotto proprio dal Red Sea Film Festival e presentato in anteprima al 43° Cairo International Film Festival, sezione Horizons of Arab Cinema. Si tratta di un film collettivo, in cinque episodi, dove cinque registe esplorano tematiche legate alla femminilità.
Non è questa la sede per valutazioni geopolitiche dell’operazione. Ci limitiamo a osservare come in due episodi, il terzo e il quarto, si vedano donne che guidano automobili proprio quando il regime ha annunciato di aver tolto quell’odioso divieto. I personaggi femminili del film sono quasi sempre a capo scoperto, senza indossare veli di alcun tipo. Una scena del primo episodio si svolge da una parrucchiera, con tanto di foto delle varie acconciature possibili. La maggior presenza di donne velate, anche con quelle palandrane a copertura totale, con una sola fessura per gli occhi, è nel quarto episodio dal titolo The Unforgetting Hand della regista Hind Al Fahhad, tutto incentrato su un conflitto tra tradizione e modernità che si risolve a tutto vantaggio della seconda. Una giovane donna in carriera si reca, in automobile, da un’anziana guaritrice che riceve in un’elegante casa tradizionale, decorata di tappeti persiani. Il motivo di quella visita riguarda un aborto spontaneo che la cliente aveva subito. La dimensione femminile, anche fisica e corporea, torna spesso nei vari episodi, dove si parla di pubertà o di ciclo mestruale. La ‘santona’ capisce il problema con la semplice apposizione delle mani sul ventre della paziente, segno ulteriore di un linguaggio corporale femminile, e cerca di porvi rimedio con pozioni e infusi di erbe e ingredienti naturali come la mirra, invocando al contempo Allah. Quando la cliente rivela di essere una farmacista, si palesa quel conflitto tra scienza e superstizione, modernità e tradizione, che si risolverà a totale vantaggio dei primi: sarà la giovane donna a capire che quella anziata è affetta da Alzheimer, e quel mondo antico, in odore matriarcale, fatto di unguenti, tappeti e niqab si dissolverà.
Il quinto episodio, A Gathering with the Cosmos di Jawaher Alamri, è un autentico pamphlet femminista, semplice e diretto. Una ragazza confida alla zia, che fuma il narghilè nella sua casa, dagli arredamenti colorati, di aver avuto le prime mestruazioni e di tenere la cosa nascosta ai genitori perché altrimenti le imporrebbero di cominciare a mettere il velo. Tra le due donne si parla della piaga dei matrimoni combinati e gli uomini vengono paragonati a un virus da debellare. La ragazza si compiacerà di guardarsi allo specchio con collana e braccialetti e di tingersi con il rossetto. La pubertà è anche centrale nel secondo episodio, Aldabah di Sara Mesfer, che vede la forte contrapposizione tra una ragazza con la sua odiosa madre bacchettona e moralista. Ne farà le spese il coniglietto bianco di nome Assad, animale domestico della ragazza, metafora di un’innocenza perduta, che la madre non sopporta e di cui si sbarazzerà.
Un senso di angoscia e prigionia è palpabile nel brevissimo, e minimalista, primo episodio, Somaya’s Pride diretto da Noor Alameer. Tutto incentrato su una festa di matrimonio, nell’alta società, in onore di una ragazza, la futura sposa, che però non si presenta, e viene cercata invano, sfuggendo a una chiara obbligazione. Il terzo episodio, Until We See Light di Fatima Al Banawi, metafora dell’emancipazione con l’affrancamento alla guida di una donna di una famiglia altolocata, che deve condurre il figlioletto viziato al suo primo giorno di scuola, inizialmente impacciata al volante, che non riesce a uscire dal suo garage come bloccata da un impedimento surreale, buñueliano. E in questo episodio vi è un altro sottile riferimento a una inesistente parità di sessi. Le notizie radiofoniche, che si sentono per tutto il segmento, sono condotte da due presentatori, uno maschile e una femminile. Quando la seconda introduce le notizie sul traffico, il primo ironizza: «Perché, hai la patente?».
Quasi non compaiono uomini, pochissimi, nei vari episodi di Becoming. Un film di donne ma di donne confinate tra le mura domestiche. Perché un film focalizzato, alla Cukor, sull’universo femminile o perché denuncia, velata, di una condizione persistente di segregazione?
Info
Becoming sul sito del Cairo Film Festival.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Becoming
- Paese/Anno: Arabia Saudita | 2021
- Regia: Fatima Al Banawi, Hind Al Fahhad, Jawaher Alamri, Noor Alameer, Sara Mesfer
- Sceneggiatura: Fatima Al Banawi, Hind Al Fahhad, Jawaher Alamri, Noor Alameer, Sara Mesfer
- Fotografia: Abobakr Alshibli, Ahlam Fadel, Heyjin Jun, Hussain Alsadeq, Rawan Namngani
- Montaggio: Almuthana Kutbi, Bashayer Abdulaziz, Hussam Alsayyed, Mahmoud Amjad, Rawan Namngani, Ziyad Adbulrazaq
- Interpreti: Ghada Aboud, Lana Gomusani, Reem Al Habeeb, Suzan Abulkhair
- Produzione: Red Sea Film Festival Foundation
- Durata: 70'