Meglio liberi o selvaggi?
di James Hill
A poco più di quarant’anni dalla sua realizzazione nessuno serba più memoria di Meglio liberi o selvaggi?, commedia per famiglie con protagonisti un gruppo di scimpanzé cresciuti come esseri umani negli Stati Uniti che si trova “costretto” a tornare in Africa. Un film di certo non indimenticabile, ma rappresentativo di un modello di produzione pensato per l’infanzia che cercava di affrontare tematiche tutt’altro che banali – la difficoltà di comunicazione, la diversità culturale, il concetto stesso di habitat. Sarebbe da ricordare anche il suo regista, il britannico James Hill qui prossimo alla fine della carriera.
La scimmia di città e la scimmia di foresta
Raif è un ricercatore statunitense che studia da vicino gli scimpanzé: a tal proposito cresce nella sua casa in Florida ben quattro primati, che accudisce in tutto e per tutto come fossero bambini, vestendoli, facendogli lavare i denti. Interagisce con loro utilizzando la lingua dei segni. Linda è un’etologa, che studia invece gli scimpanzé nel loro habitat naturale. I due, posizionati diversamente sulla barricata, faranno fronte comune per difendere gli scimpanzé e il programma di ricerca: ma c’è da “rimpatriare” Amy e i suoi fratelli in Africa… [sinossi]
Non è un peccato capitale che The Wild and the Free (tradotto come Meglio liberi o selvaggi? in Italia all’epoca dei suoi rari passaggi televisivi) sia del tutto scomparso dai radar dei cinefili. Non era un peccato così grave neanche che all’epoca della sua realizzazione, nel 1980, in pochi se ne fossero occupati, o che le già citate ed episodiche programmazioni sul piccolo schermo fossero in orari improbi, a metà mattinata o subito dopo pranzo. Perché non c’è dubbio che Meglio liberi o selvaggi?, storia di quattro scimpanzé cresciuti in Florida e abituati a vivere come un americano medio – con tanto di passione per il Sesame Street dei Muppet, e le motociclette –, non abbia in sé alcunché di davvero memorabile, eccezion fatta per lo splendore delle scimmie protagoniste. Trasmesso un paio di volte dalla RAI tra il 1983 e il 1985, il film non è poi praticamente più stato programmato, ed è probabile che in Italia nessuno sia più in possesso dei diritti di sfruttamento. Anche in rete il film è pressoché introvabile, eccezion fatta per un video di Youtube che lo presenta integralmente con i sottotitoli in norvegese: il numero di visualizzazioni, circa 120, specifica meglio di qualsiasi altra riflessione l’assoluto disinteresse che il mondo cinefilo mondiale nutre nei confronti di questo titolo. Neanche il nome del regista in tal senso sembra aver minimamente influito, per quanto James Hill non fosse un totale sconosciuto. Morto settantacinquenne oramai ventisette anni fa, il britannico Hill fu una figura interessante, sia per le vicissitudini della sua vita personale (si è in più occasione affermato che sia stato l’ispiratore del personaggio interpretato da Donald Pleasence ne La grande fuga, per esempio) che per la carriera. Sviluppatore del modello documentario per raccontare la realtà nel secondo dopoguerra inglese, Hill arrivò a ottenere un riconoscimento agli Oscar nel 1960 per Giuseppina, girato in una stazione di benzina a Mandriole, vicino a Casalborsetti, limite nord della provincia di Ravenna: per quanto a interpretare Giuseppina e l’altro protagonista siano due attori (Antonia Scalari e Giulio Marchetti), il cortometraggio venne premiato come documentario e resta in effetti a distanza di sessant’anni un interessante documento della crescita industriale di una parte d’Italia.
Nonostante un’affermazione anche alla Berlinale sempre con un cortometraggio (The Home-Made Car, 1963), il nome di Hill è legato in particolar modo a Nata libera, che prendendo spunto da un romanzo di Joy Adamson nel 1966 prendeva di petto il tema dell’ambientamento degli animali cresciuti in cattività nel loro habitat naturale. Protagonista in quel caso era una leonessa di nome Elsa. Non è dunque di certo casuale poco meno di quindici anni dopo l’assoldamento di Hill in cabina di regia per Meglio liberi o selvaggi?, visto che il regista si era andato specializzando nella messa in scena degli “animali selvaggi”: dopo la leonessa Elsa fu la volta di The Lions are Free, An Elephant Called Slowly, The Lion at World’s End, Black Beauty (con protagonista uno stallone dal manto nero), The Belstone Fox. In questo scenario abitato da leoni, elefanti, cavalli, licaoni, e volpi, non potevano certo mancare i primati. Nella sua postura di commedia per famiglie non dimentica della lezione impartita dalla Disney Meglio liberi o selvaggi? svolge il suo compito in modo ammirevole, e se la struttura drammaturgica è a dir poco basica – la sceneggiatura è opera di Michael Berk e Douglas Schwartz, che nel 1983 saranno i principali scritto della sfortunata serie tv Manimal, a proposito di animali –, con uno stacco di montaggio che porta tutti i protagonisti dalla Florida all’Africa, la rappresentazione di queste scimmie fattesi “borghesi” che devono imparare a vivere nella foresta dimenticando tutte le comodità del mondo occidentale e capitalista non manca di tocchi di finezza (in questo senso il finale beffardo la dice lunga sull’ironia che attraversa l’intero film). Granville Van Dusen, volto poco utilizzato dal cinema ma molto a suo agio sul piccolo schermo – e dopotutto il film di Hill nasce per essere trasmesso tramite tubo catodico –, e Linda Gray, che in quegli anni si stava godendo la fama attribuitale dal personaggio di Sue Ellen in Dallas, fungono da sparring partner degli scimpanzé, che dominano letteralmente la scena con la loro presenza.
Nonostante le evidenti debolezze del film di Hill a sorprendere in positivo è il tentativo di abbozzare discorsi tutt’altro che banali all’interno di un film pensato ad altezza divano post-prandiale, e idealmente rivolto anche agli infanti: infatti, pur con tutte le limitazioni del caso, Meglio liberi o selvaggi? ragiona sul concetto di identità, sull’animale come figura psicologica mai subalterna all’umano, sulla relazione affettiva tra uomo e animale, sull’importanza della comunicazione come veicolo del senso, e dunque anche del sentimento, e sulle difficoltà che possono intercorrere (la bella sequenza che vede la piccola Amy, la più coccolata delle scimmiette, dialogare e giocare con un bambino sordomuto è in tal senso illuminante), sulla diversità culturale – evidenziata ovviamente dal rapporto conflittuale tra le scimmie cresciute in Florida e quelle allo stato brado – e perfino sul concetto di habitat. In un’epoca che fa della semplificazione il suo mantra ossessivo riscoprire una pur blanda complessità dietro un’opera di puro intrattenimento e quasi del tutto priva di ambizioni costringe a riflettere sulla deriva della narrazione per immagini. E a prendere atto di come quarant’anni si pretendesse da una scimmia in scena molto più di quanto oggi si richieda agli attori di determinati film (i quattro scimpanzé “occidentalizzati” all’acme della narrazione, quando devono intervenire a mo’ di arrivano i nostri si cimentano in una scena d’inseguimento in motocicletta che omaggia e parodia a un tempo Steve McQueen).
Info
Meglio liberi o selvaggi?, il trailer.
- Genere: avventura, commedia
- Titolo originale: The Wild and the Free
- Paese/Anno: USA | 1980
- Regia: James Hill
- Sceneggiatura: Douglas Schwartz, Michael Berk
- Fotografia: Neil Roach
- Montaggio: George B. Hively
- Interpreti: Bill Gribble, Bruce McLaughlin, Frank Logan, Fred Buch, Granville Van Dusen, Jack McDermott, Joan Murphy, Linda Gray, Raymond Forchion, Sharon Anderson, Shelley Spurlock, Walter Zukovski
- Colonna sonora: Gerald Fried
- Produzione: Marble Arch Productions
- Durata: 96'
