Dear Pyongyang
di Yang Yong-hi
Cosa significa trovarsi fra due paesi in continua tensione come il Giappone e la Corea del Nord? Cosa significa nascere nordcoreani in Giappone? Dear Pyongyang di Yang Yong-hi è tra i titoli più significativi della retrospettiva Made in Japan, Yamagata 1989 – 2021.
Quale patria?
Il programma di rimpatrio dei cittadini nordcoreani dal Giappone alla madre patria in atto dal 1959 al 1984 viene qui messo in immagini dal punto di vista di una famiglia di ferventi attivisti che al paese comunista ha dedicato la loro vita… [sinossi]
Nel 1958, con l’evento ricordato come L’assemblea del 15 agosto nella cittadina giapponese di Kawasaki, in occasione delle celebrazioni per l’indipendenza della Corea dal Giappone avvenuta nel 1945, un gruppo di nordcoreani residenti in Giappone, molti di questi portati a forza nell’Arcipelago durante il periodo imperialista, si riunirono e scrissero una lettera a Kim Il-sung, dove si impegnavano a ritornare nella madre patria per far rinascere il paese. Contemporaneamente a questi movimenti spontanei ci fu una decisiva spinta del governo nipponico che, appoggiato dalla Croce Rossa, riuscì a vendere, a livello internazionale, questo rimpatrio in massa come uno sforzo umanitario. In realtà la maggior parte dei nordcoreani che vivevano in Giappone non avevano cittadinanza giapponese e una volta lasciato l’Arcipelago non sarebbero più potuti tornare. In questo modo dopo aver usato la forza-lavoro coreana, nord e sud, durante il periodo coloniale, ora il Giappone era pronto a entrare nel periodo post-bellico, liberandosi di fatto di una popolazione oramai ritenuta problematica e inutile. Questa dolorosa fetta di storia del continente asiatico che è tutt’altro che conclusa, è raccontata dal punto di vista di una famiglia che queste tensioni le ha subite, nel documentario Dear Pyongyang, debutto dietro la macchina da presa per Yang Yong-hi, regista nata e cresciuta a Osaka da genitori nordcoreani. Il film si compone di video della sua famiglia girati dalla regista, alternati con fotografie d’epoca legate a manifestazioni tenute a Osaka a favore della Corea del Nord e altre che raccontano la storia della sua famiglia, sempre in prima linea nell’appoggiare la madre patria. Dal primo e unico viaggio fatto dai genitori con tutti i suoi figli prima che questi partissero per la Corea del Nord ad altre fotografie della regista da piccola o del padre impegnato in eventi per propagandare la causa nord coreana.
Dear Pyongyang parte dalle riflessioni e conversazioni fatte dalla regista stessa con il padre a proposito del rimpatrio dei tre figli, ancora giovanissimi, nel 1971, parte di quel rimpatrio in massa per i nordcoreani che vivevano in Giappone che cominciò nel 1959. Un programma che vendette il paese di Kim Il-sung come un paradiso terrestre e che si protrasse fino al 1984. Il film poi segue il viaggio nel 2001 dei suoi genitori, e della regista, verso Pyongyang dove andranno a incontrare i tre figli che da tre decenni abitavano nel paese. Qui riprendendo e vedendo i suoi genitori prender parte a feste e riconoscimenti per quanto da loro fatto in tutti questi decenni per la Corea del Nord: il padre è stato un membro di un’organizzazione che periodicamente ha continuato a mandare aiuti economici e beni alimentari e di prima necessità nella penisola, e Yang Yong-hi si domanda, senza trovare nessuna risposta, che cosa significhi la madre patria per i suoi genitori. In questo senso, il viaggio sembra diventare per la regista anche un punto di rottura definitiva con il padre: quando lo vede tenere un discorso davanti ad amici e famiglia, si rende conto in maniera definitiva che esiste un golfo tra quello che lei vuole fare, acquistare la cittadinanza sudcoreana per esempio e distaccarsi dall’ossessione verso la Corea del Nord, e quello che il padre nel suo profondo spera per lei. Allo stesso tempo però, e qui sta uno dei punti di forza di questo lavoro, nel documentario si vedono anche scene familiari di semplice quotidianità dove osserviamo i membri della famiglia dei fratelli scherzare e giocare con la nipote Sona, che sarà al centro di un altro lavoro della regista, Sona, the Other Myself (2009).
Dopo
il viaggio a Pyongyang il film salta a tre anni dopo, nel 2004, con
una conversazione tra padre e regista dove, pressato dalle domande
della figlia, l’uomo ammette che la scelta di aver mandato i tre
giovani figli in Corea del Nord nel 1971 è stato un atto forse
troppo affrettato, e che non considerava quello che poi sarebbe
accaduto in seguito, cioè la degenerazione dei rapporti con la Corea
del Sud e la caduta economica del paese. In una delle conversazioni
nella parte finale del film, il padre cede alla volontà della
figlia, anche perché la sua salute sta degenerando, che desidera
ottenere il passaporto sudcoreano per poter viaggiare liberamente
all’estero.
Esteticamente Dear Pyongyang non è solo il
primo lavoro per la regista, ma rappresenta anche il migliore dei
suoi documentari, sebbene sarebbe poi tornata sugli stessi temi in
altri lavori. Ricordiamo qui almeno Our Homeland (2012), suo
primo film di finzione di ispirazione chiaramente autobiografica. Con
questo suo debutto la regista riesce a trovare infatti un perfetto
equilibrio tra l’uso delle fotografie d’archivio e personali e i
video girati nella casa di Osaka con i suoi genitori e quelli filmati
durante i ripetuti viaggi a Pyongyang, scene di vita quotidiana nelle
piazze e nelle strade che oggi sembrano impensabili.
In questo
modo il documentario si sviluppa come una toccante miscela formata
dai racconti personali legati alla sua famiglia fra Giappone e Nord
Corea, e dai grandi avvenimenti storici con la S maiuscola che
continuano a investire i due paesi. Ecco allora che la forte
ideologia che anima i suoi genitori, un’ideale nato dalle violenze di
cui sono stati testimoni nel 1949 durante il massacro contro i
comunisti nell’isola di Jeju, loro luogo natio, come emerge
nell’ultimo lavoro della regista Soup and Ideology (2021),
convive con la personalità molto giocosa e allegra che i due
mostrano molto spesso nelle interazioni quotidiane con la figlia.
A causa di questo documentario e di altre sue prese di posizione,
alla regista nel 2006 è stato proibito di entrare nel paese dove
vivono i suoi tre fratelli e i suoi nipoti.
Info
La scheda di Dear Pyongyang sul sito dello YIDFF.
Dear Pyongyang su DAfilms.com.
Il trailer di Dear Pyongyang.
- Genere: documentario
- Titolo originale: Dear Pyongyang
- Paese/Anno: Giappone | 2005
- Regia: Yang Yong-hi
- Sceneggiatura: Yang Yong-hi
- Fotografia: Yang Yong-hi
- Montaggio: Akane Nakawoo
- Colonna sonora: Masahiro Inumaru
- Produzione: Cheon
- Durata: 107'