Rimini

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Presentato in concorso alla Berlinale 2022, Rimini è l’ultima opera di Ulrich Seidl, che trasferisce il suo sguardo cinico sull’umanità in terra romagnola, tra gaudenti e attempate turiste teutoniche. I temi dell’autore austriaco tornano tutti in una sorta di minestra preriscaldata che non aggiunge nulla alla sua filmografia.

La festa è tutta qui tristezza e allegria

Richie Bravo, una volta una pop star di successo, rincorre la sua fama sbiadita in una Rimini invernale. Finanzia il suo stile di vita dissoluto e la sua dipendenza da alcol e gioco d’azzardo con concerti per autobus carichi di turisti e favori sessuali alle sue fan. Il suo mondo inizia a crollare quando irrompe improvvisamente nella sua vita la sua figlia adulta e gli chiede quel denaro che non le aveva mai dato. [sinossi]

Lo sguardo sull’umanità occidentale di Ulrich Seidl trova la sua dimensione ideale nelle situazioni climatiche estreme e anacronistiche, a partire da quella arsura e quella solarità viennesi di Canicola, il film che lo fece conoscere, che nella capitale austriaca si manifestano per soli pochi giorni all’anno. Ora una Rimini invernale, uggiosa, immersa nella nebbia più fitta, è al centro del suo nuovo lavoro, che si intitola proprio Rimini e che è presentato in concorso alla Berlinale 2022. La capitale del divertimento estivo, anche per turisti tedeschi e austriaci, con i suoi locali e le sue insegne al neon, è colta in un’immagine di estrema decadenza, le spiagge, gli stabilimenti balneari, i campi da beach volley, i parchi giochi per bambini tutti deserti. E dove si mantiene comunque inalterata tutta quella rutilante volgarità estiva, gli alberghi stuccati, sgargianti e pacchiani, surrogati della felicità in un luogo di svernamento di attempate turiste borghesi. Un terreno ideale per Seidl da sempre alla ricerca dello squallore dell’umanità. E c’è anche un richiamo al Sud del mondo, privato di quell’opulenza propria delle società occidentali, nella frequente presenza, coreografica, di migranti.

La Rimini del film Rimini è equivalente al Kenya di Paradise: Love, dove signore di una certa età possono facilmente ottenere favori sessuali, non da un aitante ragazzo di colore, quanto da un austrian gigolò, una vecchia pop star austriaca ormai dimenticata, ridotta a esibirsi nelle sale d’albergo squallide per un pubblico di nostalgici, e ad andare a letto con le sue fan. Richie Bravo incarna nella sua persona tutto quel mondo decadente oggetto dello sguardo di Seidl. Ci potrebbe ricordare uno di quei personaggi grotteschi delle emittenti locali di provincia, che venivano ripresi dalla trasmissione Mai dire TV: la stessa tristezza ma anche colta con lo stesso sguardo sguaiatamente canzonatorio.

L’inizio di Rimini appare programmatico, ambientato in Austria per il ritrovo famigliare per il funerale della madre di Richie. Seidl, citandosi sopratutto per i film In the Basement e Safari, ci riporta in quelle tavernette al piano interrato, tipiche delle villette dell’agiata borghesia austriaca, segno di un’opulenza e una mancanza di gusto, di una classe sociale opulenta, guardata con uno sguardo che si vorrebbe non giudicante. Riccamente arredate soprattutto di trofei di caccia, animali impagliati, corna appese al muro, simbolo di un’indole predatoria, di un’attitudine al safari anche non precisamente esotico. Abbiamo da subito il monito di dove il film andrà a parare, dell’atmosfera asfissiante da cui non si potrà uscire.

Difficile in questo nuovo viaggio nell’abiezione, empatizzare, cogliere lo spessore umano che Seidl vorrebbe costruire su Richie, nella sua storia famigliare, nel suo ruolo di padre e figlio, negli errori e nelle meschinità della sua vita. Solo porte sbarrate, solo una dimensione claustrofobica come quella dell’ospizio in cui è ricoverato il padre del protagonista. Una struttura claustrofobica dove si sosta in attesa della morte.

Info
Rimini sul sito della Berlinale.

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