Electric Malady

Electric Malady

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Presentato al CPH:DOX 2022, Electric Malady è un documentario della filmmaker Marie Lidén che si occupa di un male oscuro di cui non si parla, l’elettrosensibilità, ovvero una condizione patologica che colpisce un numero rilevante della popolazione, legata all’esposizione a campi elettromagnetici, ovvero a quelle forze invisibili che ormai, tra ripetitori per cellulari e wi-fi, aleggiano ovunque nella nostra società tecnologica.

Prigioniero nella gabbia di Faraday

Da oltre dieci anni William vive in una condizione debilitante che lo ha costretto a ritirarsi dalla società e vivere in isolamento, rimosso a causa della tecnologia moderna. La famiglia di William si dedica anima e corpo a trovare un modo per salvare la vita del figlio. [sinossi]

Un fantasma eremita che vive in una baita tra i boschi svedesi, il più lontano possibile dalla civiltà. Questa è la condizione di William, quarantenne affetto da una condizione estrema di elettrosensibilità, o elettroipersensibilità, quella patologia che colpisce una percentuale neanche trascurabile di persone, che soffrono l’esposizione di campi elettrici, magnetici, elettromagnetici, dispositivi elettronici, microonde. Un male generato da forze invisibili, che rende invisibili. Una situazione estrema, un’esistenza da larva, una vita forzatamente ascetica, perennemente avvolto da lenzuoli, quella di William. Di lui si è interessata la regista, nata in Svezia e residente a Glasgow, Marie Lidén, la cui vita è stata segnata dallo stesso male, che aveva colpito sua madre quando lei era ragazza. William è protagonista del suo documentario Electric Malady, presentato nella Nordic Dox Competition del Copenhagen International Documentary Film Festival (CPH:DOX) 2022. William vive – se ha senso parlare di vita – in una baita tra i boschi della Svezia, con vari strati di rivestimento isolante che la rendono una gabbia di Faraday, e si deve coprire il corpo con coperte di cotone.

Si parla pochissimo di questa patologia, contraltare della tecnologia moderna, del benessere di un mondo tutto interconnesso che per funzionare ha bisogno di forze invisibili che devono pervadere tutto il territorio, altrimenti si rimane tagliati fuori. Secondo le statistiche snocciolate nei titoli di coda del documentario, la condizione di elettrosensibilità riguarderebbe una percentuale stimata tra l’1,5 e il 3 della popolazione mondiale. Il mondo scientifico non è tuttavia concorde nel riconoscere una correlazione tra questo tipo di patologie con l’esposizione a onde, campi o forze simili, non ci sono dimostrazioni efficaci in tal senso. C’è chi suggerisce si possa trattare di una sorta di somatizzazione psicologica, un “effetto nocebo”. A guardare la situazione di William può sorgere il dubbio. Potrebbe essere il suo più un fenomeno di isolamento autoindotto, una sorta di hikikomori? Questo poco importa in realtà né ci compete una valutazione in tal senso. La sofferenza che si percepisce dell’individuo è reale, tangibile. La sua infanzia è stata serena, senza traumi. E ogni tentativo di leggere in chiave psichiatrica la sua condizione non ha portato a nulla. Lo scopo di Marie Lidén non è certo quello di fare un documentario didattico, di esporre teorie scientifiche, ma di raccontare una storia. La storia di un uomo strappato a una vita felice, come quella di tanti giovani, spensierata, fatta di party al ritmo di Sinéad O’Connor, la ragazza, il gruppo musicale, le feste natalizie con la famiglia: la brusca fine della giovinezza. E poi la storia di una fuga dalla civiltà, e dalla civiltà moderna moderna di cui sono banditi tutti i dispositivi. Anche la proiezione di immagini viene fatta con il vecchio proiettore di diapositive mentre William comincia a scrivere un libro con la macchina da scrivere. Un trovare rifugio in una natura quasi incontaminata, comunque non del tutto immune alle radiazioni della civiltà.

Marie Lidén sviluppa il film su due direttive. C’è la vita passata, spensierata, di William resa con il footage dei suoi filmati amatoriali, con la loro tipica grana. Scene dove lui è sempre centrale. In parallelo c’è la sua esistenza odierna, il suo scomparire, dove il suo volto non è, quasi, mai ripreso, dove l’assenza della sua immagine contrasta con le riprese del passato. La fotografia di Electric Malady, ovviamente nella parte del presente, esalta la natura, quei boschi bianchi, nordici, la valorizza come un ruolo mitico, come nelle fiabe con le casette nel bosco, come se la vegetazione fosse popolata di troll. Quella natura rassicurante che rappresenta l’ultimo rifugio possibile per chi non può che vivere ai margini della società tecnologica.

Info
Electric Malady sul sito del CPH:DOX.

  • electric-malady-2022-maria-liden-01.jpg
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