As bestas

As bestas

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Con As bestas Rodrigo Sorogoyen indaga ancora l’animo umano, la sua progressiva discesa verso la follia più inarrestabile, con i barbarici istinti primordiali che affiorano dal subconscio. Thriller tesissimo, sempre sul punto di esplodere, As bestas è la conferma del grande talento del regista spagnolo. Tra le première di Cannes, ma avrebbe meritato il concorso.

Le pale eoliche fanno il loro giro

Ambientato nelle montagne della Galizia, la trama segue una coppia francese che si stabilisce in un piccolo villaggio per cercare di entrare in contatto con la natura. Tuttavia la loro presenza suscita ostilità e vera e propria violenza da parte di un paio di locali. [sinossi]

I francesi Antoine e Olga si sono trasferiti da alcuni anni in un paesino della Galizia, con lo scopo di praticare agricoltura eco-sostenibile e di ristrutturare le vecchie case abbandonate in modo da favorire il ripopolamento della zona, che soffre di una diaspora dovuta alla povertà e al fatto che le giovani generazioni non vogliono seguire le precedenti nel lavoro della terra, o nella pastorizia. La maggior parte della popolazione locale ha accolto bene i due francesi, i cui ortaggi sono anche particolarmente apprezzati (“quelli di Antoine sono i migliori pomodori in circolazione”, dice una signora a Olga durante il mercatino settimanale di frutta e verdura). Fanno eccezione due fratelli, Xan e Lorenzo – quest’ultimo rimasto offeso allo sviluppo cerebrale in seguito a un incidente, ma un tempo pare fosse un ragazzo bellissimo –, che non perdono occasione per provocare Antoine, in particolar modo quando l’uomo si presenta all’unico bar del paese per bersi un bicchiere di vino rosso. Il motivo è presto detto: Antoine e Olga si sono fieramente opposti al progetto di installare nell’area delle pale eoliche, che avrebbe portato agli abitanti un indennizzo economico perché costretti ad abbandonare definitivamente il villaggio. È questa la base portante attorno alla quale ruotano le vicende di As bestas, quarantenne regista spagnolo giunto al sesto lungometraggio e divenuto nel giro di un pugno di film e serie (tra queste ultime in particolar modo la recente Antidisturbios) uno dei nomi più amati dai cinefili europei: titoli come Che Dio ci perdoni, Il regno, e Madre testimoniano quanto siano giustificate le speranze di aver “scoperto” un autore in grado di rinnovare l’immaginario cinematografico continentale. Anche per questo è apparsa in qualche modo irrituale la collocazione che As bestas ha trovato al Festival di Cannes, inserito tra le Première quando avrebbe meritato a detta di tutti di prendere parte al concorso principale: perfino il delegato generale del festival Thierry Frémaux, presentando il film in sala, è parso giustificarsi asserendo che la produzione avesse sottoposto tardi l’opera al comitato di selezione, quando il concorso era già praticamente chiuso. Che ciò sia o meno vero è indiscutibile come la visione di As bestas resterà come uno dei momenti topici dell’edizione 2022 della kermesse francese.

Sorogoyen apre il suo film riprendendo degli “aloitadores” che catturano e domano dei cavalli selvaggi potendo contare esclusivamente sulle loro mani nude: una volta sottomesso al cavallo viene rasata la criniera e apposto un marchio. La ripresa è al ralenti, da un lato per rimandare a una dimensione epica, dall’altro per sottolineare l’irrealtà del momento in cui l’uomo crede di poter dominare e gestire la natura, solo ricorrendo alla propria forza bruta. Senza aver ancora mostrato i suoi personaggi il regista spagnolo ha già delineato di fronte agli occhi dello spettatore ciò che accadrà in scena, vale a dire la progressiva follia umana che retrocede alla bestialità più ancestrale per paura e desiderio: paura dell’altro, e desiderio di sottomissione, di conquista. Le montagne brulle della Galizia, le fattorie quasi irraggiungibili, le mandrie al pascolo, la quasi totale mancanza di tecnologia, tutto riconduce alla wilderness del western, e d’altro canto As bestas è la rappresentazione crudele, perfino spietata, di un duello senza fine, ma che potrebbe esplodere in qualsiasi momento e deflagrare con tutta la sua dirompente violenza, vale a dire quello che oppone il corpulento ma ben disposto Antoine ai fratelli Xan e Lorenzo. Il primo è lo straniero, che è venuto a spezzare l’ordine naturale delle cose, i secondi sono il frutto della terra – non a caso Xan è un nome tipico galiziano, Lorenzo il nome di uno dei santi più venerati e amati in Spagna –, anche se non i “migliori”. Sorogoyen è bravissimo a gestire una tensione latente ma sempre percepibile, e ogni inquadratura sembra sul punto di conflagrare, come se l’immagine non potesse essere contenuta all’interno di un quadro: in tal senso appare quantomai puntuale ed evocativa la splendida locandina approntata per il film, e che rimanda idealmente a un punto chiave della narrazione, dove non a caso il movimento di macchina è uno zoom in avanti che chiude sempre di più le possibilità allo sguardo, rendendo impossibili vie di fuga o d’aria di ogni tipo.

Se è impossibile, durante la visione di As bestas, non far correre la mente in direzione del Peckinpah di Cane di paglia o del Boorman di Un tranquillo weekend di paura, film in cui la natura aspra e barbarica dei luoghi penetra in profondità nell’animo dei personaggi, fino a guidarli alla disfatta che è anche trionfo – trionfo dell’immagine come unica rappresentazione legittima della violenza –, si possono trovare punti di contatto anche con Il vento fa il suo giro, il film con cui esordì alla regia Giorgio Diritti e che resta tutt’oggi il parto migliore e più convincente del cineasta bolognese. Ma la vera forza di As bestas sta nella capacità di Sorogoyen di non lasciarsi andare al medesimo istinto bestiale che affligge i suoi personaggi: mentre la slavina avanza la regia non diventa rapsodica ma continua a trattenere in sé quella violenza, rifiutandosi di mostrarla o di farla montare in modo definitivo e irreparabile (e infatti i video con cui Antoine documenta i dispetti sempre più feroci cui è vittima restano quasi del tutto invisibili, e la polizia non interviene mai in modo concretamente risolutore). Si resta così continuamente in una situazione sospesa, senza fiato, angosciati da un thriller che rinnega i punti cardine del genere per annichilire lo spettatore, sfiancandolo esattamente come si fa con i cavalli selvaggi. Poi, senza entrare nel dettaglio della trama, c’è un improvviso cambio di ritmo, di prospettiva, di aria. E Sorogoyen pone al centro dello sguardo un personaggio rimasto fino a quel momento nelle retrovie, per dimostrare come esistesse un fuori campo. Esiste sempre un fuori campo, qualcosa che è distante dal quadro e non si riesce a mettere a fuoco, o forse non lo si vuole farlo. In quel campo sempre più ristretto invece permane la violenza, che non può far altro che sclerotizzarsi, fino alle estreme conseguenze. Lezione di regia e di narrazione, As bestas è la definitiva consacrazione di un regista sorprendente.

ps. L’intero cast è straordinario, ma merita un plauso particolare Denis Menochet, a dir poco superlativo nel ruolo di Antoine.

Info
As bestas sul sito di Cannes.

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