Come prima
di Tommy Weber
Come prima, racconto di due fratelli che si ritrovano dopo quasi vent’anni nell’estate del 1957, nasce dall’omonima graphic novel di Alfred: il passaggio dal disegno alla ripresa cinematografica si dimostra però difficoltoso, sia per una narrazione fin troppo semplice sia per la regia di Tommy Weber, non molto ispirata. Bravo e volenteroso Francesco Di Leva, ma non può sostenere da solo la struttura.
Due fratelli e un cane
Dieppe. Estate 1957. Dopo essere stato sconfitto in un incontro di boxe amatoriale, Fabio si trova di fronte ad André, suo fratello minore. Non si vedono da 17 anni, da quando Fabio ha lasciato la casa della sua famiglia a Procida in Italia, per combattere al fianco delle camicie nere di Mussolini. Il padre è appena morto. E, da sua ultima volontà, André è venuto a cercare suo fratello affinché ne assista ai funerali, che si terranno nell’isola natale. Dopo aver rifiutato in un primo momento, le circostanze spingono Fabio ad accompagnare André. Il viaggio sarà lungo. [sinossi]
Può una trasformazione umana, attitudinale, perfino politica forse, passare dal cambio di colore di una camicia? Sì, almeno a giudicare da quel che accade in Come prima, il film che Tommy Weber ha tratto dal graphic novel di Alfred – nome d’arte del fumettista francese Lionel Papagalli –, pubblicato in Italia da Bao Publishing: a Fabio basta togliersi la camicia nera e infilarsi addosso una rosa per spiegare al pubblico come il suo personaggio stia evolvendo, mutando pur parzialmente dal rozzo boxeur visto fin dalla prima sequenza. Non è operazione facile avvicinarsi a Come prima, e ancor più difficile e non porsi una lunga serie di quesiti durante la visione: quesiti di natura squisitamente narrativa, visto che alcuni passaggi non solo paiono frettolosi, ma anche oggettivamente privi di un reale senso drammaturgico; quesiti sotto il profilo estetico e cinematografico, perché la regia di Weber non sembra possedere la forza per un racconto che ambisca addirittura a ricostruire l’identità unitaria dell’Italia dopo la Seconda guerra mondiale; quesiti infine che appartengono alla posizione politica del film, e all’ideologia che lo supporta. Perché, a meno di non essere degli sprovveduti, non si può pensare di maneggiare una materia incandescente come la ricomposizione dei traumi dell’Italia a ridosso della fine del fascismo come se si stesse trattando una semplice e prevedibile storia di fratelli in lotta. Perché di questo in fin dei conti si tratta: Fabio e André non si vedono da diciassette anni, un lasso di tempo in cui non hanno avuto alcun tipo di contatto, e ora sono costretti loro malgrado – un po’ per scelta, un po’ per convenzione – a partire dal nord della Francia, per l’esattezza l’Alta Normandia in cui si trova Dieppe, per attraversare due nazioni e arrivare a Procida, isolotto nel golfo di Napoli. Un viaggio di 1800 chilometri che sarebbe faticoso oggi, ma è ai limiti del sopportabile nel 1957.
Un road movie conciliatorio e riconciliatorio, durante il quale ovviamente ricorrere a tutte le baruffe possibili e immaginabili – tra i fratelli ma anche con personaggi terzi incontrati lungo la strada – e inserire nel dialogo alcuni riferimenti geografici per permettere allo spettatore di seguire lo spostamento dei due su un’ideale mappa mentale. Weber non si fa mancare nessun cliché, ma soprattutto spreca in maniera assoluta il contesto storico visto che l’unico motivo concreto perché la storia si svolga sul finire degli anni Cinquanta è garantire di poter mettere in scena un fratello fascista contro un fratello comunista, e dunque distanziare in modo evidente e netto fin da subito i due personaggi. Weber compie però un’azione di avvicinamento tra le parti, e qui si fa largo il dubbio di una posizione politica francamente indifendibile: Come prima suggerisce, a conti fatti, che “rossi e neri sono tutti uguali”, anzi forse meglio parteggiare per colui che scelse la campagna d’Africa e il moschetto, perché più coraggioso, avvezzo ai rischi, più affascinante e perfino più simpatico. Non che si pretenda da un’opera così sfilacciata, mal scritta e priva di struttura una riflessione seria e approfondita sul senso di appartenenza politica, sull’adesione a un ideale e sulla frustrazione di un fallimento, ma qui a mancare è anche la più basica delle interrogazioni del personaggio di Fabio (comunque volenterosa l’interpretazione di Francesco Di Leva), guascone a cui Weber in primis sembra davvero perdonare ogni cosa, anche il considerarsi fieramente fascista a dodici anni dalla fine della guerra. Anche volendo tralasciare questo dettaglio – che dettaglio in ogni caso non è – stupisce la pressoché totale mancanza di attenzione che il film mostra rispetto a passaggi chiave della narrazione: perché ad esempio dopo aver costruito un rapporto anche stretto tra i due fratelli e il cagnetto che hanno raccolto per strada quand’erano ancora in Francia ci si dimentica completamente di quest’ultimo al punto da farlo uscire di scena in modo illogico anche sotto il profilo della trama? E perché affastellare un così sfiancante numero di litigi fisici? Perché portare in scena – anche con una certa veemenza – un moschetto se poi questo elemento (con più di un valore metaforico e meta-politico) si riduce a essere solo ed esclusivamente un attrezzo di scena? Si potrebbe continuare a lungo, dato l’imprecisato numero di deficienze narrative e strutturali evidenti nel corso del film. Viene davvero da chiedersi cosa possa aver messo in moto una produzione simile, eccezion fatta per l’occasione di sfruttare il romanzo grafico di riferimento: e sorprende l’assoluta mancanza di idee registiche di Weber, per niente a suo agio con la storia, sia essa con la s minuscola che maiuscola. Il desiderio sarebbe quello di fingere che non sia possibile imbattersi in un cinema convinto che basti cambiare colore della camicia per mutare la profondità psicologica di un personaggio, o che qualsiasi conflitto debba sempre risolversi immancabilmente a tarallucci e vino, in nome del più squallido dei “volemose bene”. Ma questa, soprattutto oggi, è pura utopia.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Come prima
- Paese/Anno: Francia, Italia | 2021
- Regia: Tommy Weber
- Sceneggiatura: Filippo Bologna, Luca Renucci, Tommy Weber
- Fotografia: Gianluca Laudadio
- Montaggio: Cecilia Zanuso
- Interpreti: Antonio Folletto, Francesco Di Leva, Massimiliano Rossi, Miriam Candurro, Swann Arlaud
- Colonna sonora: Antonio Fresa
- Produzione: Alcatraz Films, Mad Entertainment, Rai Cinema, Rosebud Entertainment Pictures
- Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà
- Durata: 90'
- Data di uscita: 16/06/2022
