Rosso di sera
di Emanuele Mengotti
Rosso di sera è, dopo West of Babylonia, il secondo capitolo di una trilogia che Emanuele Mengotti dedica all’Ovest degli Stati Uniti: qui si concentra sull’impatto della pandemia su Las Vegas, la città delle luci bloccata dall’insorgere del virus. Un’occasione per ritrarre, con sguardo antropologico e senza scavare nelle individualità, i personaggi bizzarri che abitano la città più folle degli USA. Al Biografilm di Bologna.
Apocalisse nel deserto
Las Vegas, marzo 2020: mentre la pandemia si diffonde in tutto il mondo, il governatore del Nevada chiude i casinò e i servizi non essenziali. Un periodo sconvolgente visto dalle prospettive di: Mindy, ex attrice che vuole diventare la candidata repubblicana del suo distretto elettorale; Steve, senzatetto per scelta che con la sua compagna vive in un tunnel di raccolta delle acque; Mike, un dottore che cerca di aiutare la popolazione con tamponi e sierologici… [sinossi]
C’è qualcosa di millenaristico nel documentario di Emanuele Mengotti Rosso di sera – presentato al Biografilm di Bologna e secondo capitolo, dopo West of Babylonia, di una trilogia dedicata all’Ovest degli Stati Uniti – che si apre con una citazione dal Vangelo di Matteo, con un monito che Gesù lancia agli uomini dicendo loro “sapete interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere il segno dei tempi!”. Tempi davvero difficili quelli che stiamo vivendo, in particolare dallo scoppio della pandemia di Covid 19 che il regista racconta da Las Vegas dove all’inizio del 2020 – l’anno delle elezioni che hanno visto la sconfitta di Trump – si trovava per girare ma senza di certo poter prevedere cosa sarebbe accaduto. Da una prospettiva interessante ed estrema per 75 minuti veniamo gettati nel panico che colse tutti in quel momento ma che Mengotti utilizza anche per mostrare personaggi bizzarri dello scenario americano nella città più folle e “irreale” degli Usa: l’incontro tra l’epidemia che sconvolse il mondo e alcuni caratteri tipici dell’immaginario degli outsider procura un certo disagio, come se oltre al Covid l’umanità mostrasse già di per sé parecchi segni di sbandamento.
Il prologo inquadra una serata tipo nella città più famosa del Nevada, con le sue mille luci, la sua folla di esseri umani in giro per la Strip, i matrimoni rapidi celebrati tra un giro di slot e l’altro. Ma mentre uno dei tanti sosia di Elvis Presley si prepara per andare a lavorare, la radio informa che il Governatore (democratico) Sisolak ha deciso di chiudere tutti i servizi non essenziali, casinò inclusi, a causa dell’emergenza pandemica: il finto Elvis ormai truccato e vestito di tutto punto alza la cornetta, chiama la Polizia e chiosa “è uno scherzo? Mi state dicendo che non posso lavorare?”. La vita viene interrotta anche nella città dell’azzardo rivelandone un lato inedito, mesto e privo di luminarie, che Mengotti mostra a più riprese in scene prevalentemente di raccordo. Se la Torre Eiffel e la Venezia di Las Vegas sono spente, i tre personaggi protagonisti del documentario cercano di reagire alla situazione, ognuno a modo proprio. Rappresentanti di un certo americanissimo anarchismo sono Mindy e Steve, ma se la prima cerca di portare i propri “valori” nell’agone politico, il secondo ha già abbandonato la società da tempo. Mindy è una bionda amante delle armi, antiabortista, sostenitrice del muro al confine del Messico che vuole candidarsi al Congresso e durante lo scoppio della pandemia farà campagna elettorale autofinanziata contro il candidato in pectore del partito Repubblicano, che per lei è un moderato. Portatrice di una visione conservatrice che si sposa con la libertà di possedere armi automatiche, Mindy (che non sarà eletta, lo diciamo subito, ma che ha preso parte poi alla manifestazione che sfociò con la presa del Campidoglio all’inizio del 2021) ci conduce in mezzo a raduni in cui partecipano tizi molto loschi, dai volti coperti e ben armati, e dove la faccia più spaventosa degli Usa emerge pienamente. Steve, al contrario, si è “ritirato” dalla vita e abita da 15 anni assieme alla sua compagna in un tunnel del sistema di drenaggio delle acque, sotto al livello della città: la sua esistenza è perennemente minacciata dalla pioggia, che potrebbe entrare copiosamente nella sua “casa” facendogli perdere tutto il poco che ha. Anche Steve incarna un outsider anarcoide in lotta contro “il sistema” e per la sua libertà, ma incapace di allontanarsi da Las Vegas e dai suoi casinò, ammaliato dalla Strip che vede da lontano uscendo dal suo cunicolo. Il fascino del denaro che scorre ogni settimana in quella strada è il sogno a occhi aperti di una vita che non ha avuto e assieme a lui Mengotti ispeziona altri tunnel dove vivono altre persone: la quotidianità di Steve, in questo scenario, è quasi normale, quasi “borghese” visto che con la sua donna arreda e pittura la sua dimora e addirittura ha allestito fuori “casa” una sorta di campo da golf. Mandy e Steve sono, in ogni caso, espressioni di un lato antisistemico degli Usa molto radicato e che può produrre effetti differenti, come differenti sono i due personaggi. L’eroe buono è invece Mike, un medico che si prodiga a fare tamponi e test sierologici per aiutare le tantissime persone che non sanno dove sbattere la testa, servendo la comunità e rappresentando un altro tipico carattere americano (copiosamente raccontato, anch’esso, dal cinema). In mezzo ai tre protagonisti si muovono barboni “sfrattati” dai centri di accoglienza per l’insorgere dei primi positivi, predicatori che inneggiano alla giustizia divina, manifestanti contro le chiusure che dicono di non aver paura di un virus ma dell’assenza di libertà. E un senso di caos apocalittico si fa strada durante la visione.
Mengotti non è certo il primo documentarista italiano a girare negli Usa svelandone i lati più oscuri o, semplicemente, più marginali: il suo film precedente, West of Babylionia (2020), è ambientato nella stessa Slab City in California in cui Gianfranco Rosi girò Below Sea Level (2008). Oltre a Rosi anche Roberto Minervini, per restare a tempi recenti, ha lavorato negli Stati Uniti realizzando film più o meno convincenti ma sempre dedicati a peculiarità, a sistemi chiusi o disfunzionali che rendono quel Paese il regno della contraddizione, una fantasmagoria di caratteri anarchici e a tratti sconvolgenti. Rosso di sera è, in questo senso, un lavoro molto semplice, che si inserisce in questo solco e che non scava troppo nelle persone che racconta prediligendo il quadro “antropologico” generale. La sua peculiarità è quella di mostrare l’inizio di una tragedia collettiva che ha segnato le nostre vite da una prospettiva insolita la quale marca, paradossalmente, una vicinanza più che una lontananza. Al netto dell’abnorme differenza costituita dal possesso di armi da fuoco, l’esperienza pandemica – che sembra tutti, cinema incluso, abbiano volentieri rimosso – ha portato alla luce negli Usa come in Europa i problemi di un sistema che non si può mai inceppare, in cui “fermarsi” vuol dire per molti perdere il lavoro, il reddito, rischiare di non avere futuro (tanto che molte parole d’ordine dei manifestanti contro le misure volute dal Governatore sono le stesse che sentivamo anche in Italia in quei mesi terribili) perché in realtà il futuro è abbondantemente alle spalle per la massa di lavoratori e, forse, per le democrazie stesse. Vedendo Rosso di sera è difficile pensare che i nostri parenti d’Oltreoceano siano poi così lontani ed è invece facile inquietarsi perché la deriva europea vira pericolosamente ad appiattirsi sul modello americano, aberrazioni incluse. Se il film non approfondisce le psicologie delle persone e tratteggia lo scenario cittadino in maniera abbastanza convenzionale (non a caso viene fatto cospicuo uso delle buone musiche originali di Matteo Portelli, che aiutano a dare tono emotivo alle scene), il documentario di Mengotti riesce comunque a generare un certo disagio sull’umano e i suoi comportamenti, la sua animalità primaria mal pasciuta, putrescente, che non sembra cedere il passo a un’evoluzione neppure in anni bui come questi, dove il rosso di sera è cupo e non promette niente di buono. Come se tutti vivessimo metaforicamente in un tunnel temendo ogni giorno l’innalzarsi dell’acqua piovana, l’imprevisto che spezza una prassi che a ben vedere è appesa a un filo.
Info
Rosso di sera sul sito del Biografilm.
- Genere: documentario
- Titolo originale: Rosso di sera
- Paese/Anno: Italia, USA | 2022
- Regia: Emanuele Mengotti
- Sceneggiatura: Emanuele Mengotti, Emanuele Svezia, Marco Tomaselli
- Fotografia: Marco Tomaselli
- Montaggio: Emanuele Svezia
- Colonna sonora: Matteo Portelli
- Produzione: Le Talee, Smoke & Mirrors
- Durata: 74'
