Tenebra

Tenebra

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Per Tenebra, il suo esordio alla regia, Anto si è ispirato al romanzo di Giuliano Fiocco Il primo uomo su Marta, ma ha saputo trasformarlo in un’opera del tutto personale, non priva di chiaroscuri meno convincenti ma dotata di un grande coraggio, e della volontà di indagare senza edulcorazioni di sorta gli angoli più bui della mente, e delle relazioni umane. Un thriller-horror che guarda dalle parti del giallo ma sa muoversi con agio, come il titolo suggerisce, nella tenebra.

La villa abbandonata

Marta è una ragazzina che ha deciso di uccidersi. Ma nella grande villa in cui dovrebbe svolgersi l’ultimo atto della sua vita è rinchiusa anche una donna con la sua figlioletta di appena quattro anni, segregata nel bagagliaio di un’automobile da un individuo crudele… [sinossi]

C’è la tenebra più ottundente ad attraversare, e in gran parte dominare, la visione dell’esordio alla regia di Anto: una tenebra consapevole, quella di una o più esistenze deprivate della luce, abbandonate al proprio destino, senza più alcuna possibilità che non sia la resa. Inizia con una sequenza potente, inquietante, colma d’angoscia e orrore il film di Anto: con un’inquadratura plongée lo spettatore scopre una donna incinta legata mani e piedi a un letto a baldacchino. Urla agitata, si dimena: da una stanza vicino la voce pigolante di una bimba chiede attenzioni, è sola, ha paura. La donna con uno sforzo sovrumano riesce a rompere i lacci che la avvincevano al letto ma noncurante della voce della figlioletta si reca direttamente in bagno per partorire. Appena il travaglio è terminato un uomo dall’aspetto assai poco rassicurante inizia a salire le scale della magione, avvicinandosi sempre più al bagno… Ha davvero un interessante talento Anto, che dirige questo thriller-horror dalle atmosfere incubali e dai risvolti perfino prossimi al giallo – con tanto di ricorso più di una volta al colpo di scena che tanto caratterizzò quel momento della produzione di genere in Italia – con mano sicura, gestendo con una certa accortezza gli spazi, le luci, e coreografando con intelligenza un set che altrimenti avrebbe rischiato di apparire spoglio, non in grado di restituire quella densità di emozioni su cui in effetti si basa l’intero film. Perché di fronte a un’opera estremamente basica sotto il profilo della narrazione, costruita com’è su pochi elementi che fungono da cardine dell’intera struttura (una ragazzina stanca della vita che ha deciso di suicidarsi; una donna e la sua figlioletta rinchiuse nel bagagliaio di un’automobile; un uomo violento che le minaccia tutte e tre) non si può pretendere troppo dalla sceneggiatura, che incappa infatti in più di un passaggio farraginoso, soprattutto per la volontà di Anto di far tornare tutti gli elementi. La verosimiglianza a tratti viene meno, e forse consapevole di questo il regista avrebbe dovuto osare ancora di più, slegandosi completamente dalla logica concreta per rincorrere l’incubo in ogni sua forma, senza timori, senza passaggi obbligati.

Ma è un difetto che in qualche modo viene naturale perdonare a Tenebra, sia per il bel talento visivo di Anto che per quella tensione che attraversa con sincerità e senza forzature lo schermo: una tensione che è sì frutto della strana e perturbante situazione che sta prendendo corpo – perché i personaggi non è detto che con la loro presenza incarnino necessariamente la verità più evidente – ma anche di una riflessione cupissima sull’adolescenza, sulla crescita, sulla riconciliazione con il proprio io e con la propria identità. Anto osa muoversi in territori che il cinema italiano ha disabitato, e osa mettere in scena traumi per i quali si cerca sempre un compromesso atto a renderli accettabili allo spettatore. In Tenebra non è così, la crudezza è frutto di una verità dolorosa che il regista non vuole lambire né aggirare, ma affrontare di petto, in tutta la sua violenza. Quel che ne viene fuori è un’opera inclassificabile, che utilizza il genere e dal genere stesso è utilizzata a sua volta, e che racconta di abusi, di istinti (in)naturali, di superamento della morale, e di un mondo vuoto, privo di affetti, in cui l’essere umano è abbandonato proprio come l’immensa e monolitica villa in cui si svolge il film (si tratta della settecentesca Villa Romano a Monteroni di Lecce, già utilizzata come set, con tutt’altro scopo, da Cristina Comencini ai tempi di Latin Lover) e dalla quale non sembra esservi via d’uscita.

Mescolando elementi tra loro eterogenei al punto di quando in quando da cozzare apertamente gli uni contro gli altri – ma è una libertà apprezzabile, e che denota la volontà del regista di non lasciarsi affascinare dalla via più facile – Anto, che si è ispirato in maniera estremamente libera al romanzo di Giuliano Fiocco Il primo uomo su Marta traccia un ritratto livido dell’oggi, un mondo incapace di comprendere la tenebra della mente che racconta chi si è stati, o forse chi ancora si è. Lo fa con un’opera di genere che non cerca mai la complicità dello spettatore ma ambisce invece a porsi come visione traumatica, non conciliante, mai consolatoria: gli vengono in soccorso le interpretazioni tutt’altro che “facili” di Mirko Frezza, Nicolas Magrini, Christian La Bianca, ma soprattutto Antonia De Micco e ancor più la quindicenne Elisa Del Genio, che i più ricorderanno come Lenù nel televisivo L’amica geniale ma qui dimostra di avere le carte in regola per tentare le vie del cinema. Piccolo esempio di cinema indipendente che non si cura di adeguarsi alla marea montante, Tenebra lambirà le sale senza che la stragrande maggioranza del pubblico e della critica ne abbiano la benché minima consapevolezza. Una storia vecchia e ben più più spaventosa di qualsiasi horror.

Info
Il trailer di Tenebra.

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