Listen to Light

Listen to Light

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Presentato nella sezione Autres joyaux del 33° FIDMarseille, Listen to Light è un film del 2017 del filmmaker giapponese Kyoshi Sugita, che nel 2021 trionfò al festival del Sud della Francia con Haruhara San’s Recorder. A differenza del film visto l’anno scorso, Listen to Light si snoda in quattro episodi, ma emerge sempre quella stessa sensibilità per la vita quotidiana delle persone semplici.

Separazioni

Quattro donne giapponesi: la prima legge le carte per una collega che vorrebbe ritornare in contatto con un amore adolescenziale; la seconda, appena adulta, è corteggiata da uomini più anziani ma non osa confessare i suoi sentimenti al giovane collega; la terza segue le orme del padre e incontra un uomo che farà da guida; la quarta vede il ritorno di un amante perduto da tempo. [sinossi]

Una ragazza conclude il suo lavoro in un piccolo ristorante. Riceve l’ultima busta paga e i colleghi le fanno dei regali. Con una separazione inizia così Listen to Light (che in originale porta il titolo di ひかりの歌, Hikari no uta), il film del 2017 di Kyoshi Sugita, visto ora al 33° FIDMarseille nella sezione Autres joyaux. Un omaggio a questo giovane cineasta scoperto proprio a Marsiglia l’anno scorso, quando vinse Grand Prix de la compétition internationale con Haruhara San’s Recorder. Nei quattro episodi che compongono Listen to Light ci saranno analoghe separazioni, così come pure in Haruhara San’s Recorder. Ragazze che si trasferiscono da un capo all’altro del paese, per motivi di vita o di lavoro, trascorrono gli ultimi istanti a contatto con i colleghi con cui hanno passato tanti momenti insieme. E poi il commiato, con la promessa di tenersi in contatto. E la partenza verso l’incognita di una nuova avventura. In entrambi i film Sugita racconta parabole di vite che si incrociano o si separano. Se Haruhara San’s Recorder si sviluppa in un’unica narrazione, in Listen to Light le stesse tematiche sono moltiplicate nella varietà di personaggi che compongono i quattro episodi di un film della lunghezza totale di due ore e mezza. Episodi nei quali ricorrono elementi comuni, come il gioco dei tarocchi, un tentativo di guida alla complessità della vita, oppure le canzoni, interpretate da vari personaggi, che contrappuntano la narrazione, alcune anche buffe e grottesche, come quelle del ragazzo dell’ultimo episodio, mentre mentre gli intermezzi canori del primo episodio, di una ragazza in un locale di giovani, hanno tutto l’aspetto delle esibizioni alla roadhouse di Twin Peaks. I personaggi dei film di Sugita sono giovani che hanno esperienze di vita, e possono fare lavori cosiddetti umili, cameriere in ristoranti, o lavorare a un distributore di benzina o in una libreria. Oppure sono impegnati in attività artistiche, filmmaker in erba, appunto cantanti, fotografi o disegnatori.

Il cinema di Kyoshi Sugita è impregnato di un senso poetico intimamente giapponese, di una visione wabi-sabi che contempla la transitorietà delle cose, di una serenità connaturata alla semplicità. Non abbiamo qui, a differenza di Haruhara San’s Recorder, la contemplazione dei ciliegi in fiore, ma gli elementi naturali sono sempre molto presenti, anche in forma sonora. Le stagioni giocano un ruolo chiave. Se abbiamo all’inizio un’insistita atmosfera estiva, soprattutto per il continuo frinire delle cicale, avremo poi una parte sotto pesanti coltri di neve nell’Hokkaido, mentre il film si chiuderà con il ritrovarsi di due personaggi sotto una pioggia torrenziale. Sugita fa dire anche a un personaggio che il paesaggio che stanno ammirando è da Studio Ghibli, come a riconoscere una comune sensibilità poetica con il cinema d’animazione di Miyazaki e Takahata. Anche il cibo è un elemento che ricorre, nella valorizzazione estetica di piatti nipponici, anche nelle fasi di preparazione, come i gyoza, i ravioli giapponesi, protagonisti di un dialogo interculturale in inglese, con una donna cinese che non sa cosa siano. Ma i paesaggi arriveranno anche a estendersi alla volta celeste, alle costellazioni che tanto ruolo hanno nella mitologia nipponica, nelle varie scene al planetario, il che ci porta sempre a James Dean di Gioventù bruciata. La serenità insita nella semplicità è enunciata in ogni episodio da un tanka, un componimento poetico tradizionale, opera di diversi poeti contemporanei. Userà questa dimensione lirica anche in Haruhara San’s Recorder, ma qui la frammentazione a episodi prevede altrettanti tanka che rispecchiano la coralità di Listen to Light, che si sviluppa così equivalentemente a un renga, i tipici componimenti poetici collettivi della tradizione nipponica. E il titolo stesso è poetico, sinestetico, “ascoltare la luce” mentre dal giapponese si può tradurre come “la canzone della luce”. Il cinema di Sugita è un cinema fenomenico, punto d’incontro delle diverse sfere sensoriali.

Info
Listen to Light sul sito del FidMarseille.

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