Intervista a Davide Manuli

Intervista a Davide Manuli

Tre lungometraggi in poco meno di trent’anni: Davide Manuli ha attraversato la produzione italiana contemporanea come un oggetto non identificabile, un alieno in grado di muoversi in un immaginario proprio, lontano da ogni apparentamento. CG Entertainment ripropone in dvd tutti e tre i film, Girotondo giro attorno al mondo (in versione director’s cut), Beket, e La leggenda di Kaspar Hauser; abbiamo colto al volo l’occasione per chiacchierare con Manuli dei film, del concetto di cinema, delle possibilità concrete di produrre in totale libertà in quest’epoca storica, di ciò che è stato e di ciò che sarà.

La riedizione in home video dei tuoi tre lungometraggi permetterà a molti cinefili di avere un’idea netta, chiara, del tuo cinema. Rivedendoli a tua volta cos’è che ti salta alla mente?

Davide Manuli: Prima di tutto ci tengo a ringraziare di cuore Lorenzo Ferrari Ardicini presidente di CGENT (Cecchi Gori Entertainment), persona di cuore e serissima, un vero cinefilo della vecchia scuola come oramai se ne trovano pochi. È grazie a lui, che si è letteralmente preso a cuore i miei lavori, che ora escono per la prima volta in vita mia tutti e tre i miei lungometraggi nello stesso periodo e con delle nuove riedizioni: usciranno in contemporanea tutti assieme in DVD e ON DEMAND su alcune piattaforme, per l’esattezza Apple Tv, Google Play, Chili, Prime Video, CG tv. La sensazione che ho avuto in questo ultimo anno nel quale ho rimesso mano ai materiali per le uscite è stata quella di aver fatto un lavoro importante, di peso, che resta e resterà nel tempo. Una sensazione di grande rispetto e compassione nei confronti delle mie tre opere che sono tutt’altro che scontate, e che mi definiscono ancora oggi nell’ambiente cinematografico per quello che sono. I lavori hanno tutt’ora una grande dignità e devo essere fiero di me stesso per averli partoriti, è stato un Himalaya aver sfornato tre lavori così.

Tra i film viene presentata anche la versione director’s cut di Girotondo giro attorno al mondo. Ti va di raccontare come ci hai lavorato, e per quale motivo hai ritenuto fosse necessario approntarla?

Davide Manuli: La versione “Director’s cut” nasce grazie ad un’intuizione di Gianluca Arcopinto che nel 2012 riuscì a strappare una collaborazione con le Giornate degli Autori di Giorgio Gosetti e Gaia Furrer a Venezia. Per giustificare una proiezione speciale e la loro collaborazione tornai al montaggio per fare delle piccole modifiche. Ora, nel 2022 ho portato delle ulteriori piccole modifiche al montaggio motivate dal cambio di alcune musiche. Approfittando della sala di montaggio siamo entrati dentro il film con Riccardo Giannetti per migliorarlo lì dove si poteva. La ricerca dei materiali del film ancora in buono stato è stata abbastanza difficoltosa, quasi un vero restauro dell’opera. Il file del DVD esce in formato SD e non in “finto” HD, per non perdere ulteriore qualità. Il DVD di adesso, rispetto al vecchio DVD, esce appunto come risultato della collaborazione con le Giornate degli Autori del 2012: il “Director’s Cut” vuole porre l’accento, per chi acquisterà il film, sul fatto che in questa versione ci sono delle modifiche rispetto alla precedente. All’interno del DVD ci sono due “extra” nuovi molto belli: un’intervista “Selfie” con il mio amico regista Agostino Ferrente assieme alla protagonista del film Simona Caramelli, e un nuovo trailer montato da Riccardo Giannetti (già al lavoro su Le Eumenidi di Gipo Fasano, e O Night Divine di Luca Guadagnino).

Tra Girotondo giro attorno al mondo e La leggenda di Kaspar Hauser passano ben quattordici anni, e da quello che è al momento il tuo ultimo lungometraggio a oggi se ne contano altri dieci: com’è cambiato, se è cambiato, lo scenario cinematografico italiano? Senti anche in modo laterale di farne parte?

Davide Manuli: Non ho la minima idea di come sia lo scenario cinematografico italiano, o se sia cambiato, dato che non seguo più nulla da anni. Lo faccio per una questione di sopravvivenza esistenziale e di salute mentale: mi spiego meglio, se per esempio il sistema decide di essermi indifferente per un certo periodo io allora faccio da specchio e gli sono indifferente, e quindi accetto anche molto volentieri con la piccola saggezza che ho acquisito grazie ai miei attuali 55 anni, di posizionarmi felicemente come un UFO che sorvola i cieli, di qualcosa, chissà cosa.

Girotondo giro attorno al mondo fu girato in modo abbastanza selvaggio, senza dubbio libero. Hai avuto modo di trovare nel corso del tempo la medesima libertà? E se così non è stato, a cosa lo attribuisci?

Davide Manuli: Girotondo giro attorno al mondo fu girato con lo spirito di allora, che era quello del boom mondiale del cinema indipendente “no budget” americano tra il 1980 e il 1995: Jim Jarmusch con Permanent Vacation, Gus Van Sant con Mala Noche, Quentin Tarantino con Reservoir Dogs, Kevin Smith con Clerks, Robert Rodriguez con El Mariachi, ecc. Era un periodo dove in Europa arrivava questa ondata di libertà che ci faceva credere che tutto era possibile con il cinema: scendere in strada con una super 8, o una super 16, e girare senza permessi, senza produzione, senza contratti, senza liberatorie, senza fatture, senza amministrazione, senza rendicontazione, senza soldi… Per poi uscire davvero in distribuzione! Le parole d’ordine erano più o meno queste “Libertà e diritto di girare! Girare gratis e lavorare gratis! Disposti a tutto pur di girare! Portare la pellicola allo sviluppo… Poi si vedrà!”. È impossibile per chiunque ritrovare oggi la medesima libertà, perché era una libertà totale al 200%. Sarebbe come chiedersi se si sta più rilassati con gli oppiacei in corpo o senza. È ovvio che si sta più rilassati con gli oppiacei in corpo, ma gli oppiacei non si devono prendere. E così uguale per il cinema: la libertà totale era bella, ma non è più minimamente attuabile. Adesso ci chiedono di essere ragionieri e commercialisti per poter far cinema. Adesso conta vincere i bandi, e non fare dei bei film. C’è stato un cambio di paradigma. Purtroppo, non è ancora stato trovato un punto di incontro nel mezzo, tra una certa libertà creativa e la “bandizzazione” feroce del sistema. Boh…Vedremo.

In molti nel corso del tempo hanno attribuito alle tue regie l’aggettivo “teatrale”, forse facendo riferimento all’utilizzo che fai dei corpi attoriali in scena, o alla geometria del quadro. Eppure io credo che il tuo cinema sia lontanissimo dal concetto vetusto e stantio di “teatro”, quantomeno nell’accezione “peggiorativa” che gli si attribuisce di solito. Tu cosa ne pensi?

Davide Manuli: Il mio cinema non c’entra niente con la definizione di “teatrale”, è una definizione superficiale fatta in modo banale e veloce, senza entrare nello specifico. Credo che questa definizione sia stata data superficialmente soprattutto per Beket e La leggenda di Kaspar Hauser dove ho usato delle ottiche larghe e molti piani sequenza per fare tanta composizione, ma se ci mettessimo a guardare tutti i film che sono stati fatti con delle ottiche larghe e con piani sequenza non si finisce più, siamo in centinaia da sempre a lavorare in questo modo. Arrivo a dire di piu, perfino un film come Nodo alla gola di Hitchcock che è stato girato con un solo e unico piano sequenza di 80 minuti in un salotto di un appartamento di 40mq, non è teatrale. È cinema e basta.

A tal proposito, collegandomi a questo discorso, mi piacerebbe se tu approfondissi il modo in cui ragioni sull’utilizzo delle musiche, e sul senso di avere in scena la musica, che è un elemento ricorrente nei tuoi film.

Davide Manuli: Per come la vedo io, il film e la parte visiva sono il corpo, mentre la musica è il sistema nervoso dentro al corpo. Ed essendo il sistema nervoso che alimenta, deve quindi vivere di elettricità e di energia. Dentro un essere umano, un sistema nervoso forte è capace di far aumentare il proprio potere mentale in modo da poter volare più in alto per trascendere i problemi e le paure terrene. La musica quando esplode nei miei film, vuole essere terapeutica per lo spettatore, aiutandolo a salire consciamente o inconsciamente. L’uso della musica elettronica ha questa funzione: è elettricità ed energia da usare nel modo giusto.

Tu hai un approccio che un tempo sarebbe stato definito “antisistemico” rispetto all’istituzione cinematografica nazionale. In un’epoca di pitch, loghi, contributi statali, film commission, come riesci a barcamenarti?

Davide Manuli: Non mi barcameno da anni. Faccio altri lavori che non c’entrano niente col cinema. Mi sono occupato, complici anche dei seri problemi di salute, di turismo e turisti a Roma dal 2015 al marzo 2020, no stop, giorno e notte, e non è stato facile imparare un altro mestiere di corsa essendo un artista nell’anima. Per quanto riguarda quello che mi chiedi, dopo aver prodotto come produttore con la mia società 4 cortometraggi, 1 documentario al Polo Nord (in concorso a Torino), 3 libri, 8 sceneggiature, e 3 lungometraggi… Ho dato. Ho chiuso come produttore e come produzione. La mia società ha liquidato un anno fa dopo 20 anni di attività, proprio per i motivi che menzioni: è impossibile per un artista far fronte alle attuali esigenze burocratiche, commerciali, amministrative e di rendicontazione di cui parli. Oramai la cantierizzazione dei bandi è davvero materia per ragionieri/commercialisti, che si devono trasformare in scienziati nucleari con l’elmetto. Comunque, anche col mio approccio che definisci “antisistemico” un po’ di cose le ho portate a casa: ho girato un videoclip per Vitalic e il suo ultimo album, ho scritto un lungometraggio per regia di Gigi Roccati che ha ottenuto i finanziamenti delle regione Basilicata e Rai Cinema che ora sta su Sky, ho scritto un cortometraggio per il mio fratello di avventure Luciano Curreli (protagonista di Girotondo giro attorno al mondoeBeket) che ha ottenuto i fondi della Sardegna, ho scritto il libro fumetto in versione comics de La Leggenda di Kaspar Hauser per la casa editrice Il Saggiatore con la supervisione artistica di Giuseppe Genna. Ho scritto due sceneggiature inedite. La star del rap Myss Keta ha girato il suo clip Giovanna Hardcore ispirandosi e omaggiando la scena del dj set del mio Kaspar Hauser, lo stesso ha fatto la stilista spagnola Ana Locking che ha addirittura disegnato un’intera collezione per il prêt-à-porter alle sfilate di Madrid, chiamata La leggenda di Kaspar Hauser. Insomma, tutto questo.

Fin dagli inizi della tua carriera la tua opera ha avuto un afflato fortemente poetico; sarò banale, ma riesci ancora ad attribuire al cinema un valore poetico, e quindi estetico? Non credi che l’oggetto filmico sia stato così fortemente ridotto da essere stato svilito?

Davide Manuli: La poesia oggigiorno la si trova solo stando a contatto con la natura. E con gli animali. Non al cinema. Bisogna aggiornarsi come i software: bisogna accettare molto tranquillamente che per la poesia vera c’è il contatto con la natura. Non l’audiovisivo.

Tornando alla pubblicazione dei tuoi film in dvd, quale pubblico vorresti che vi si avvicinasse oggi? E come li presenteresti?

Davide Manuli: Partendo dal presupposto che erano tanti anni che non vedevo i miei tre lungometraggi, vedendoli mi hanno fortemente sorpreso in senso positivo. Li vedo ancora oggi molto moderni, e che invecchiano bene all’esame del tempo. È il tempo che emette il vero “test” nei confronti dei film: se i lavori resistono vuol dire che erano buoni, se non resistono vuol dire che erano aria fritta. Mi piacerebbe molto che chi li ha visti li rivedesse, e chi non li hai mai visti li vedesse per la prima volta. Ricordiamo poi che questa versione di Girotondo giro attorno al mondo è una versione nuova, con delle piccolissime modifiche, mai uscita, e che quindi è nuova per tutti, anche per chi ha visto il film tante volte. Quest’ultimo nuovo Girotondo giro attorno al mondo, così come il vecchio, è un evergreen. I giovani cinefili di oggi lo possono davvero vedere come si guarda ad una solida pietra che appartiene al passato. Una pietra che ti ricorda chi eri. Una pietra sulla quale “finalmente” camminare saldi a testa alta dopo tanti anni.

Qui tocchiamo un tasto forse dolente, ma mi piacerebbe se ci parlassi dei progetti abortiti, di quei film su cui hai iniziato a lavorare – e che si stavano sviluppando – ma non sei riuscito a portare a termine.

Davide Manuli: I progetti “abortiti” in questi 10 anni sono stati principalmente tre: uno molto grosso, uno medio/piccolo e uno molto piccolo. Quello grosso era una versione surreale e futuristica del Don Quixote che avrei voluto fare con il mio grande amico di vita Vincent Gallo e la bellissima Alma Jodorowski. È stato un vero girone dantesco e planetario che mi ha fatto fare il giro del mondo, coinvolgendo a turno sull’interesse produttori eccezionali come l’americano Orian Williams (Control di Anton Corbjin), per poi entrare in un tourbillon tutto messicano durato anni con produttori del calibro di Jaime Romandia (produttore per Mantarraya con Carlos Reygadas), Julio Chavezmontes (Triangle of Sadness di Ruben Östlund e Annette di Leos Carax), e i fantastici produttori di Amondo Film, Joaquin Del Paso e Fernanda de la Peza, fino a ritornare in Italia con Alessandro Del Vigna (Siberia di Abel Ferrara e Triangle of Sadness) che mi ha cercato nel 2020. Peccato, ho passato tanti anni a girare in tondo col Don Quixote e sono rimasto col cerino in mano. Poi è stato il turno di Haiku che vedeva il mio amico e maestro Abel Ferrara come attore protagonista assieme a Isidora Simijonovic che aveva vinto il Festival di Rotterdam con Clip diMaja Miloš. Poi per ultimo c’è stato un microprogetto con la mia Silvia Calderoni da girare a Campo Imperatore in Abruzzo, titolato Poem che doveva essere prodotto da Andrea Giannattasio. Ah, quasi mi dimenticavo: c’è stato pure un breve passaggio con uno sviluppo di soggetto e sceneggiatura che era partito benissimo con i fantastici fratelli D’Innocenzo per una storia d’amore molto tenera all’interno di un remake di Barbarella, da girare negli studi di Cinecittà, da fare sempre con Vincent che era già sotto contratto, ma purtroppo Fabio e Damiano dopo le prime settimane di studio assieme sui materiali sono dovuti correre a cento all’ora a preparare Favolacce da un giorno all’altro senza preavviso, e una volta partiti lo sviluppo si è arenato. Ma se c’è un progetto che mi rammarico davvero di non essere stato all’altezza di portare avanti è stato quello per Gucci e Alessandro Michele quando mi hanno cercato nel 2017 per fargli un piccolo film, ma che a causa di piccoli malintesi e incomprensioni non è partito. Mi dispiace molto, poiché ho capito solo oggi che avrei potuto sostenere e superare facilmente le difficoltà di allora, e anche perché sono un fan sfegatato del lavoro di Alessandro Michele con Gucci.

Guardando invece al panorama italiano attuale, quali sono dei registi che ti sembra parlino una lingua non dissimile alla tua?

Davide Manuli: Non è per fare lo snob, ma non saprei cosa risponderti: non seguo più nulla da tanti anni. Come ti ho detto prima, non seguo coscientemente per mantenere la mia salute mentale e la mia sopravvivenza esistenziale ad un buon livello. Non ho idea di che cosa stia succedendo, e non mi importa molto. Se proprio devo dirti di qualcuno che mi piace, faccio volentieri i nomi di Gipo Fasano con il suo Le Eumenidi, che si è davvero preso i rischi che sono necessari all’opera prima, e di Virgilio Villoresi che è un artista pazzesco nel suo campo, il numero uno.

Infine, la domanda di rito: in che direzione si sta muovendo oggi Davide Manuli? A cosa stai lavorando?

Davide Manuli: Sto lavorando a due progetti da circa un anno, uno grosso e uno piccolissimo. Quello grosso è un progetto bellissimo che mi gasa tantissimo, con il quale sono in sviluppo con la Dugong Films di Marco Alessi e Giulia Achilli, e il film dovrà essere girato in Sardegna. Quello piccolissimo è un progetto altrettanto bello con i miei amici attori Ondina Quadri e Gabriele Silli, che hanno fatto tanto bene a Cannes con i loro film Piccolo corpo e Re Granchio… Oṃ namaḥ Śivaya.

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