Official Film of the Olympic Games Tokyo 2020

Official Film of the Olympic Games Tokyo 2020

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Presentato all’International Film Festival Rotterdam 2023, sezione Harbour, Official Film of the Olympic Games Tokyo 2020 è il controverso documentario di Naomi Kawase sulle Olimpiadi di Tokyo 2020, svoltesi in realtà nel 2021 per la pandemia. Il film è diviso in due parti, Side A e Side B. Qualsiasi polemica, tuttavia, non ha ragione di esistere di fronte a un’opera personale, che immerge i giochi olimpici nel contesto di quella giapponesità che permea la poetica della regista, e che dà anche conto della conflittualità che ha accompagnato la manifestazione, mostrando le proteste come i reparti ospedalieri pieni di malati di covid. Nulla a che vedere con il semplice lavoro di promozione su commissione.

Bellezza e tristezza delle Olimpiadi

750 giorni di attività, 5000 ore di filmati, un evento sportivo internazionale carico di polemiche nel bel mezzo di una pandemia globale: tutto questo nel documentario ufficiale per i Giochi Olimpici del 2020 a Tokyo. Quattro ore divise tra un Side A e un Side B, il primo concentrato su ritratti di atleti e delle loro famiglie, il secondo su organizzatori, politici e oppositori. Il tutto tra fiocchi di neve e fiori di ciliegio, contemplando la bellezza ma anche quella sofferenza che passa da Hiroshima, Okinawa e Fukushima. E il documentario si chiude con la cerimonia di apertura, uno spettacolo che incorpora le tradizioni dell’arte visiva giapponese con l’esibizione di un attore kabuki. [sinossi]

Le Olimpiadi nella storia giapponese hanno sempre rappresentato o accompagnato dei momenti cruciali del paese, che si siano svolte o meno. A Tokyo si sarebbero dovuti tenere i giochi della XII Olimpiade nel 1940, successivi a quelli nella Berlino nazista del 1936, ma gli eventi bellici li cancellarono. Sarebbero tornati nella capitale nipponica nel 1964, la XVIII Olimpiade, occasione di celebrazione della rinascita del Paese e della sua redenzione agli occhi del mondo. I giochi del 2020, segnale di ripresa dopo l’incidente nucleare di Fukushima Dai-ichi, sono invece stati posticipati l’anno successivo per la pandemia del covid. Il Comitato Olimpico Internazionale ha assegnato in questa occasione l’incarico di dirigere il film ufficiale della manifestazione alla cineasta Naomi Kawase, nota per il suo cinema contemplativo che affonda nelle radici culturali ancestrali del paese. Il suo nome succede così a quello di Kon Ichikawa, che ebbe l’incarico nel 1964, e di Masahiro Shinoda, per i giochi olimpici invernali del 1972 a Sapporo. 750 giorni di riprese e 5000 ore di girato hanno portato a Official Film of the Olympic Games Tokyo 2020, quattro ore suddivise in un Side A e in un Side B, presentato ora a Rotterdam nella sezione Harbour dopo l’anteprima, passata in realtà abbastanza in sordina, a Cannes.

Una fittissima nevicata che copre, anomalia climatica, dei ciliegi in fiore, fiori che si accartocciano inzuppati; cartelli di protesta con la scritta: «Cancellate le Olimpiadi»; bambini che giocano a baseball, sport nazionale giapponese; la fiaccola che viene accesa nella cerimonia d’apertura; reparti d’ospedale dove un medico afferma sconsolato: «Non esiste un trattamento per questo virus». Con queste immagini comincia il Side A, un incipit programmatico di quello che sarà, e che svilupperà il documentario. Scene che da sole basterebbero a spazzare via ogni polemica. Naomi Kawase non fa il semplice compitino che le viene assegnato, non fa il semplice documentario di esibizioni sportive che, in realtà, rappresentano una piccola frazione del lavoro complessivo. E soprattutto mostra di avere avuto massima libertà anche nell’includere situazioni scomode. In Official Film of the Olympic Games Tokyo 2020 c’è prima di tutto quella giapponesità ancestrale che la regista esplora in ogni suo film. C’è la natura, il frinire delle cicale, ci sono le forme di teatro e danza della tradizione, ci sono gli sport che nel paese hanno origine, come il judo, la prima disciplina a essere trattata, ci sono gli ainu, esponenti della popolazione autoctona del nord del paese, c’è il gusto umami nella disquisizione dello chef. C’è quel senso di transitorietà della vita che appare ancora più evidente con la falcidia della pandemia, ma che può essere anche la transitorietà della manifestazione stessa, i riflettori accesi che si spengono dopo sole due settimane. Alle parole di Ebizo Ichikawa, attore di teatro kabuki, discendente di una storica famiglia di teatranti, che discetta del relativismo del tempo e di come tra cento anni si vedrà agli eventi attuali come a un punto di svolta, e a quelle del danzatore Mirai Moriyama, che parla delle grandi emozioni del pubblico che vuole incarnare con la sua performance, è affidato l’epitaffio del film.

Se letti di ospedale, ambulanze e tamponi intercalano tutto il film, come le manifestazioni anche dure, che fanno pensare anche a una simpatia della regista nei loro confronti, Naomi Kawase include anche tutte le traversie e le complicate vicissitudini che hanno portato alla decisione di posticipare il grande evento alla fine di un solo anno, quando la pandemia rappresentava ancora un problema, anche per i grandi flussi di persone da tutto il mondo. Vediamo incontri pubblici, interviste, conferenze stampa, ma il momento più memorabile è quello, in puro stile wisemaniano, di una riunione di dirigenti della municipalità che discutono di tutti gli aspetti organizzativi e delle valutazioni dei vari scenari di posticipazione. Naomi Kawase riprende questi personaggi con inquadrature ravvicinate e close-up, rappresentandoli in chiave grottesca. E la regista torna ai suoi temi prediletti della femminilità e della maternità. Segue soprattutto atleti donne, molte delle quali con un bambino appresso. Anche Thomas Bach, il presidente del Comitato Olimpico Internazionale, seguito a lungo nel Side B, anche in momenti controversi come le sue reazioni scomposte davanti a un contestatore, viene visto in una situazione ludica con dei bambini. Si può parlare di un rapporto parentale anche per le Olimpiadi del 1964, riprese da Kon Ichikawa, un padre del cinema nipponico, e quelle attuali. Il concetto è sottolineato dall’anziano Yoshirō Mori, uomo politico giapponese, presidente del comitato organizzatore, che sottolinea di aver avuto un figlio proprio nel momento dei precedenti giochi e come anche colei che lo ha succeduto nel comitato, Seiko Hashimoto, sia nata in quell’anno.

Nel profluvio di immagini della natura nel film, abbonda l’acqua, elemento fondamentale e amniotico caro alla regista. L’atleta afroamericana che si immerge in una tinozza per rinfrescarsi, vicino al compagno e al figlioletto, il lago increspato, la donna di 104 anni sotto la pioggia: sono immagini care alla poetica di Naomi Kawase. Ma Official Film of the Olympic Games Tokyo 2020 è anche occasione per ripercorrere i traumi del paese. Un anziano hibakusha, i sopravvissuti delle bombe atomiche del 1945, porta la fiaccola olimpica. Si evoca anche la battaglia di Okinawa e il maremoto del Tōhoku del 2011. Situazioni avverse sono anche quelle degli atleti che provengono da paesi dove sono situazioni conflittuali, come l’Iran o il Sudan del Sud. Possiamo considerare i giochi olimpici come un momento catartico per superare momentaneamente queste atrocità? L’epitaffio è anche quello della voce atona che risuona alla chiusura. Lo sport ha il potere di cambiare il nostro mondo e il futuro. Il nostro percorso continua.

Info
Official Film of the Olympic Games Tokyo 2020 sul sito di Rotterdam 2023.

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