The Survival of Kindness

The Survival of Kindness

di

Presentato in concorso alla Berlinale 2023, The Survival of Kindness è un film di Rolf de Heer dove il cineasta olandese naturalizzato australiano porta i suoi temi in un contesto distopico, dove eterne questioni della storia umana, il colonialismo, il sopruso degli occidentali sulle popolazioni indigene, sono proposti in una storia indefinita, universale, in un flusso di immagini con pochi dialoghi e incomprensibili.

Anche le formiche, nel loro piccolo, si cannibalizzano

Nel mezzo del deserto, una donna di colore viene abbandonata su una roulotte, in una gabbia. I suoi rapitori l’hanno lasciata morire sotto il sole. Ma lei riesce ad aprirsi un varco e fuggire. Cammina attraverso la pestilenza e la persecuzione, dal deserto alla montagna alla città, per trovarsi ancora più in prigionia. [sinossi]

Dei soldatini ripresi nel loro campo di battaglia con cadaveri di uomini di colore: sembra una scena da Rithy Pahn, salvo che il tutto si rivela come ricca decorazione di marzapane di una torta. Si tratta dell’incipit, a suo modo introduttivo, di The Survival of Kindness, ultimo film di Rolf de Heer, presentato in concorso alla Berlinale 2023. Il vero inizio è però immediatamente successivo e vede una donna di colore, come tutti i personaggi del film, senza nome – nei titoli di coda è chiamata semplicemente BlackWoman –, imprigionata in una carrozza-gabbia, che viene abbandonata in mezzo a un’estensione desertica, sotto un sole cocente, destinata a morire. Ci si pongono domande narrative: per quale motivo è stata lasciata lì? Forse chi la teneva prigioniera ha dovuto sbarazzarsene per qualche motivo? Lei ha un volto serafico, pronta ad accettare una fine imminente, senza alcun cenno di disperazione che quella condizione comporterebbe. Accanto delle formiche dalle grandi mandibole uccidono altre formiche, in una scena che piacerebbe a Sam Peckinpah. La donna di colore trova miracolosamente un modo di aprirsi un varco e fuggire, grazie a una barra che riesce a staccare e usare per svitare bulloni. Lo scopre per caso come se le si volesse dare la possibilità di una digressione narrativa. The Survival of Kindness è il racconto del suo peregrinare in un mondo da incubo, pervaso da soldati aguzzini con maschere antigas, e dilaniato da una qualche pestilenza.

Rolf de Heer, olandese naturalizzato australiano, ha dedicato molte opere alla questione aborigena. Con The Survival of Kindness riprende le sue tematiche, la sopraffazione dell’uomo bianco sul nero, il colonialismo eterno, lo schiavismo, sviluppandolo in un contesto universale, distopico, quasi senza dialoghi. Le poche conversazioni sono in una lingua incomprensibile, quantomeno non sottotitolate. Il film può infatti ricalcare una classica pellicola di sopravvivenza anni Settanta, quanto un racconto di utopia negativa o postatomica. Se gli aborigeni non sono presenti come tali ma in quanto parte di una più generale genìa di pelle nera – l’attrice protagonista è congolese – di australiano c’è il paesaggio sterminato, la natura, il deserto, la foresta estesa, la montagna. Si tratta di un ambiente primordiale, giocato sulla bellezza dei paesaggi, ma anche sull’immensità dei cieli stellati, le nebulose, le vie lattee, il cosmo, e le tragedie umane, le barbarie che hanno questo contesto come indifferente testimone. Tragedie che passano mentre il paesaggio è eterno. A un piano intermedio ci sono gli impianti industriali dismessi, i diorami, i soldatini, i trenini, miniature che trovano corrispondenza con la realtà, nei convogli d’epoca che attraversano questo mondo, nel palo con la bandierina. Segnali di una attività antropica che lentamente divora e deturpa quella bellezza naturale. Ci sono i trenini manovrati da un bambino, come una divinità capricciosa che controlla dall’alto. I simulacri tornano del resto nel film anche per le statue del museo abbandonato. Si fa fatica a decifrare quell’ambiente, anche per situazioni grottesche come quella con i personaggi con la mascherina in attesa alla fermata dell’autobus.

Il percorso della donna di colore è circolare, e il suo ritorno alla gabbia fa pensare che quello sia soltanto un sogno, una possibilità alternativa che le viene concessa, che si rivela peggiore di quella semplice e claustrofobica esistenza in prigionia. Il linguaggio e la comunicazione rappresentano un altro dei nodi del cinema di Rolf de Heer. Può essere quello ancestrale degli aborigeni, capaci anche di tracciare delle cartine geografiche con i canti come raccontava Chatwin, in Charlie’s Country e in 10 canoe, che riporta alla persistenza di storie ancestrali nella popolazione indigena australiana. Oppure può essere il rifiuto stesso di comunicare, come quello della bambina di La stanza di Cloe. Con The Survival of Kindness l’assenza pressoché totale di comunicazione, la narrazione visiva, sono al servizio di quello che per il regista accarezza rappresenta il progetto più ambizioso, come una sua summa. Il trasferimento di istanze care al regista su un piano metaforico non sempre funziona. Le metafore sono spesso grossolane e facili, a partire dalla torta iniziale, e stona questa magnificenza estetizzante – se visto su grande schermo l’effetto è ipnotico, abbacinante – per mettere in scena gli orrori dell’umanità.

Info
The Survival of Kindness sul sito della Berlinale.

  • the-survival-of-kindness-2022-rolf-de-heer-02.jpg
  • the-survival-of-kindness-2022-rolf-de-heer-01.jpg

Articoli correlati

Array
  • Festival

    Berlinale 2023 – Presentazione

    Con la Berlinale 2023 compie settantatré anni il festival tedesco; in una capitale tedesca in continuo rinnovamento, e in un momento storico peculiare per l'Europa e i suoi rapporti "a est", la kermesse conferma la propria struttura ossea.
  • Archivio

    Dr. Plonk

    di Dr. Plonk non è una rilettura del cinema dell’epoca e non è neanche un omaggio parodistico al cinema che fu: è, niente di più e niente di meno, un film muto.