Un uomo felice

Un uomo felice

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Quarto lungometraggio del quarantacinquenne Tristan Séguéla, Un uomo felice è una commedia che con gentilezza e senza alcuna ricerca dell’asperità ragiona sul modo in cui un rapporto di coppia decennale può arrivare a vacillare di fronte alla messa in crisi dell’identità di genere. Una rom-com divertente nella sua semplicità, e arricchita dalla presenza in scena di Catherine Frot e Fabrice Luchini.

En avant comme avant

Jean Leroy, sindaco di una cittadina nel nord della Francia, non ha ancora detto a sua moglie che ha intenzione di correre per un terzo mandato, contrariamente a quanto le aveva promesso. Ma non è certo l’unico a nascondere qualcosa: Édith infatti, sua moglie da decenni, non gli ha mai confidato di sentirsi un uomo, e di aver iniziato la transizione. [sinossi]
Pourquoi les gens qui s’aiment
Sont-ils toujours un peu rebelles?
Ils ont un monde à eux
Que rien n’oblige à ressembler à ceux
Qu’on nous donne en modèle
William Sheller, Un homme heureux

“Perché le persone che si amano sono sempre un po’ ribelli? Hanno un mondo tutto loro che non è in nessun modo obbligato ad assomigliare a quelli che ci vengono proposti come modelli”. È forse tutto in questo distico cantato da William Sheller in Un homme heureux il senso del quarto lungometraggio diretto dal quarantacinquenne francese Tristan Séguéla, e che non a caso si intitola proprio come la succitata canzone (in Italia è stato tradotto fedelmente con Un uomo felice). Perché in fin dei conti, al di là delle scaramucce che sorgono non appena esplode la miccia accesa da Édith, questa commedia dai tratti gentili e distanti da qualsivoglia asperità reale concentra la sua attenzione su un solo dettaglio fondamentale: Jean ed Édith si amano ancora dopo decenni, senza che la passione sia mai venuta meno, e continuano a farlo in barba a qualsivoglia supposta canonicità. Certo, Jean avrebbe fatto volentieri a meno della novella che gli ha portato in dono la consorte, una donna che ammette finalmente a sé stessa – e al mondo circostante – di essersi sempre sentita un uomo, e di non volerlo più nascondere a chicchessia; ma è altresì vero che anche Édith si sarebbe risparmiata la notizia della terza campagna elettorale come sindaco per il marito, che pure aveva promesso che al termine del secondo mandato avrebbe abbandonato la politica per concedersi un lungo viaggio in camper con la moglie, alla ventura. Il fato ha in serbo in effetti non poche avventure per questa coppia decennale, che vive in un piccolo paesello nel nord della Francia (le riprese sono state portate a termine nella piccola Montreuil-sur-Mer, una sessantina di chilometri a sud-ovest di Calais) dove il tempo sembra in qualche misura congelato. Il sindaco Leroy viene rieletto quasi per abitudine, perché le cose non cambino, e il suo slogan per la campagna elettorale la dice lunga sulla scaglia voglia di rinnovamento: En avant comme avant, sostanzialmente “Avanti come prima”.

Gioca su questa dialettica Séguéla, che si affida a una sceneggiatura scritta a quattro mani da Guy Laurent (già collaboratore per Philippe De Chauveron, a dire il vero senza risultati particolarmente memorabili) e Isabelle Lazard: da un lato la Francia più conservatrice, quella che non solo si oppone ai matrimoni tra persone dello stesso sesso ma riporta l’intera questione attorno alla vita quotidiana al concetto di tradizione – si veda la chiacchierata del sindaco al mercato con il venditore di andouille –, e dall’altro l’intima pulsione di una donna che non si sente tale, e vuole avere il diritto di affermarlo e di autodeterminarsi. Se i temi sollevati da Séguéla sono non solo attuali, ma anche gravidi di un fermento dialettico all’interno della società, Un uomo felice evita con cura qualsiasi spigolo possa incontrare sulla sua strada; certo, non mancano molti momenti di tensione tra marito e moglie, ma tutto viene sempre risolto con estrema facilità, quasi a voler sottolineare l’assoluta naturalezza di ciò che viene raccontato in scena. Anche l’ipotetica riflessione tra la visione del mondo destrorsa di Jean e quella più apertamente progressista – anche se per motivi del tutto personali, e non universali – di Eddy (così ha deciso di farsi chiamare Édith) è solo accennata, rimanendo dunque in superficie. Per palesare la sua volontà di tenere tutto assieme, in una sorta di große koalition, Séguéla fa sì sentire una versione pur riletta del tradizionale A Dunkerque quand vient le carnaval, ma poi sui titoli di coda si muove in direzione di un classico del rock transalpino come C’est comme ça di Les Rita Mitsouko.

Placida commedia non priva di brio e di soluzioni apprezzabili, Un uomo felice vive in ogni caso soprattutto delle ottime interpretazioni del suo cast, a partire ovviamente dalla coppia protagonista: Fabrice Luchini è come sempre impeccabile, e riesce a rappresentare con una certa vividezza il trauma di un uomo che non vuole perdere l’amore della sua vita ma non sa come affrontare una scelta per lui inaccettabile, ma non da meno è Catherine Frot, perfetta nei panni di Édith/Eddy, donna in transizione che non ha alcuna voglia di rinunciare all’uomo della sua vita. Intorno a loro un parterre di attori e attrici che funge quasi da coro, e che dona la sensazione di una vita di paese, dove tutto è piccolo e non sembrano esistere tragedie possibili. Eppure non troppo lontano dal teatro di questa commedia semplice e diretta visse e combatté Giovanna d’Arco, la pulzella d’Orléans che tra le prime rivendicò il suo ruolo “da uomo” all’interno della società, e anche per questo venne arsa viva su un rogo.

Info
Un uomo felice, il trailer.

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