Intervista a Kazuyoshi Kumakiri e Yūto Nakajima

Intervista a Kazuyoshi Kumakiri e Yūto Nakajima

Nato nell’Hokkaido nel 1974, Kazuyoshi Kumakiri ha presentato il suo film di diploma Kichiku dai enkai (1998), all’Osaka University of Art, alla Berlinale sezione Panorama. Sketches of Kaitan City (2010) ha vinto il gran premio e il premio per il miglior attore al Cinemanila International Film Festival e il premio della giuria al Deauville Asian Film Festival. Con My Man (2014) si è aggiudicato il San Giorgio d’Oro al Festival di Mosca. All’ultima Berlinale, tra i Berlinale Special ha presentato #Manhole, quasi tutto incentrato su un uomo caduto in un tombino. Protagonista del film è Yūto Nakajima, popolare cantante nella band J-pop Hey! Say! JUMP, con una parallela carriera di attore. Ha partecipato a serie come Hanzawa Naoki e al film Pink and Gray (2016) di Isao Yukisada.
Abbiamo incontrato Kazuyoshi Kumakiri e Yūto Nakajima all’ultima Berlinale.

Mi puoi parlare del progetto di #Manhole? Come hai deciso di realizzare un’opera incentrata sulla claustrofobia, dove si vede un uomo, per quasi tutto il film, caduto in un tombino da cui non riesce a uscire?

Kazuyoshi Kumakiri: L’idea era fare un film quasi tutto in un unico set che non fosse noioso per lo spettatore. Il punto centrale su cui mi sono concentrato è stato appunto evitare la noia. Sono stato attento all’attore, Yūto Nakajima, alla sua recitazione, tenendo la camera molto vicina a lui. Ho davvero cercato di calcolare tutto prima per avere un controllo tecnico sul lavoro. Nel momento di girare ho realizzato di potermi focalizzare sul volto dell’attore e sulle sue espressioni.

Fondamentale quindi la recitazione. Il personaggio peraltro, alla fine del film, passa attraverso vari colpi di scena. Come avete costruito il personaggio?

Yūto Nakajima: Senza dire nulla del finale, io dovevo esprimere due personalità in questa recita. Abbiamo discusso molto quando si trattava di far passare il personaggio al livello successivo, quando si doveva mostrare la sua reale personalità. Ci sono diversi livelli da superare per arrivare alla reale follia del personaggio. Il suo autentico lato oscuro che è il lato oscuro dell’umanità. Abbiamo discusso dettagliatamente su come creare quei livelli. All’inizio era frustrante per me, perché dovevo trattenermi, non dovevo mostrare troppo. Ma verso la fine il gioco si è fatto più divertente. E sono stato soddisfatto per essere stato in grado di esprimere tutti quei sentimenti.

Il film tratta anche del ruolo dei social network nella nostra vita. Il loro ruolo è molto forte nel film. Cosa volevi dire in merito?

Kazuyoshi Kumakiri: Sono consapevole che i social media possano essere molto utili, ma qui volevo indagare sul loro ruolo nel creare questo tipo di isteria di massa, che si accumula con partecipanti che non hanno volto, e si trasforma in una sorta di forza collettiva. Tutto ciò includendo anche un certo senso dell’ironia. Purtroppo c’erano molte più informazioni scritte sullo schermo, nelle comunicazioni social, di quanto è stato possibile rendere con i sottotitoli in inglese. Abbiamo dovuto fare una selezione nel tradurre in inglese per il pubblico internazionale, scegliendo quelle parti che ritenevo davvero importanti per comprendere la trama ma anche per gli elementi di ironia.

Il protagonista è un impiegato di una società che sta per sposarsi con la figlia del suo presidente. Questa è la situazione iniziale, prima dei vari ribaltamenti della trama. C’è un elemento di critica sociale in questa situazione?

Yūto Nakajima: Sì, si tratta di un tipico schema. Lui avrà un grande vantaggio nel suo status all’interno dell’azienda con quel matrimonio. D’altro canto, mostra anche la sua vitalità, la sua forza e anche la sua sfacciataggine nel cercare di raggiungere il successo.

C’è comunque dell’ironia nel non riuscire a essere localizzati in un tombino nonostante le moderne tecnologie satellitari. La condizione di trovarsi solo in un tombino e l’impotenza di non ricevere aiuto nonostante i mezzi a disposizione rappresentano qualcosa di metaforico?

Kazuyoshi Kumakiri: Volevo in effetti parlare del potere dello smartphone che può fare tutto. Ma più che una metafora volevo fare un film che raccontasse il presente.

Per certi versi il film mi ricorda il film di fantascienza The Cube, per la mancanza, almeno inizialmente, di spiegazioni. Un uomo si trova improvvisamente in un tombino senza capire bene perché. Era quindi più importante mostrare questa situazione che non spiegare come ci si era arrivati?

Kazuyoshi Kumakiri: Vidi The Cube ma molto tempo fa. Sì, entrambi i film hanno delle caratteristiche in comune. Proprio da quel genere di film sono stato influenzato.

Yūto Nakajima: Io mi sono ispirato molto al film The Guilty. Mi ha aiutato molto a rendere questa situazione del telefono quale unico mezzo di connessione con il mondo di fuori stando in un luogo chiuso. Bisognava creare allo stesso modo l’attenzione per lo spettatore.

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