Dang Bireley’s and Young Gangsters

Dang Bireley’s and Young Gangsters

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All’interno dell’articolata e corposa retrospettiva Greatest Hits from ’80s & ’90s ospitata all’interno del Far East 2023 ha trovato spazio anche Dang Bireley’s and Young Gangsters, con cui nel 1997 esordì alla regia l’allora trentacinquenne Nonzee Nimibutr dando vita a quel momento cruciale dell’industria di Bangkok che diverrà noto come “Thai New Wave”. Un noir ambientato nel 1956, la cui epica guarda a John Woo e dunque anche a Sergio Leone, che continua a distanza di ventisei anni a dimostrare la propria efficacia grafica ed espressiva.

Proprio come James Dean

Thailandia, 1956. Dang, figlio di una prostituta, è un adolescente che dopo aver commesso il primo omicidio a tredici anni ha deciso di diventare un criminale. Sedicenne, abbandona la scuola e forma la propria gang, che ha tra i suoi membri gli amici di sempre Piak, Lam Sing, Pu e Dum. Ma ovviamente è impossibile autoproclamarsi leader di una ghenga senza creare rivalità. [sinossi]

Un Piak oramai adulto narra le gesta di Dang Bireley’s and Young Gangsters alla metà degli anni Novanta, quarant’anni dopo l’epica guerra tra gang che inondò di sangue le strade di Bangkok, nel dedalo di strade del centro che ancora fino alla fine degli anni Sessanta gli abitanti non identificavano col nome della capitale, ma con quello del distretto di appartenenza, vale a dire Phra Nakhon. Ora, ventisei anni più tardi, l’esordio alla regia di Nonzee Nimibutr torna sul grande schermo durante le giornate del Far East Film Festival, ospitato nella corposa retrospettiva Greatest Hits from ’80 and ’90s, e ci si può rendere conto di come le disavventure giovanili di Dang e dei suoi accoliti siano sempre più lontane, disperse nelle brume tanto del tempo – un sedicenne del 1956 oggi sarebbe ultraottantenne – quanto del tempo del cinema. Dang Bireley’s and Young Gangsters non permise solo all’allora trentacinquenne Nimibutr di confrontarsi per la prima volta con un lungometraggio, ma grazie all’enorme successo commerciale cui andò incontro in patria (75 milioni di baht, un record per l’epoca) favorì lo sviluppo di quella fondamentale fase di rinnovamento dell’industria cinematografica locale che diverrà nota come “Thai New Wave”. Dopo gli anni Settanta e Ottanta dominati dai cosiddetti nam nao (letteralmente “acqua puzzolente”), action a basso costo e ad ancor minore qualità prodotti in grande numero per sopperire all’assenza del prodotto straniero, in primis hollywoodiano – spaventato dalle ingenti tasse sulla distribuzione –, l’ultimo decennio del Ventesimo secolo vide Bangkok riaffacciarsi sul mercato internazionale con opere dalle velleità un po’ meno basiche. La crisi finanziaria asiatica del 1997 paradossalmente favorì il tentativo di alcuni registi, anche svezzati dal lavoro in televisione – tra questi lo stesso Nimibutr –, di rompere con le regole dell’exploitation thailandese per cercare nuove vie di espressione. Nel 1997 esordiscono Nimibutr con Dang Bireley’s and Young Gangsters e Pen-ek Ratanaruang con Fun Bar Karaoke; nel 1999 i fratelli Pang con Bangkok Dangerous; nel 2000 Wisit Sasanatieng – sceneggiatore per questo e il successivo film di Nimibutr, il seminale mélo-horror Nang nak – con Le lacrime della tigre nera e Apichatpong Weerasethakul con Mysterious Object at Noon.

Basta soffermarsi sulle prime inquadrature di Dang Bireley’s and Young Gangsters per rendersi conto dei riferimenti culturali di Nimibutr. C’è in particolar modo il mito dei “rebels without a cause”, e non è casuale che più volte si faccia riferimento nei dialoghi tanto a James Dean quanto a Elvis Presley, ma c’è il cinema di John Woo con i suoi ralenti, la ricerca di un’estetica che sia il primo spunto per muoversi in direzione dell’epica – ancor prima della stessa narrazione. C’è poi, quasi per naturale osmosi, la nostalgia del passato leoniana, così come si citano apertamente in una sequenza i pesci combattenti di Rusty il selvaggio di Francis Ford Coppola. La spoliazione con tanto di rasatura completa del giovane Dang in procinto di diventare monaco buddista per esaudire l’unico vero desiderio della madre prostituta – per difenderla, appena tredicenne, Dang ha commesso il suo primo omicidio pugnalando al ventre un cliente che si stava prendendo troppe libertà – mostra già la titanica ambizione di Nimibutr, quella di trasformare le strade e i bar malfamati di Bangkok negli analoghi luoghi che hanno reso immortale dapprima il cinema statunitense, e poi quello giapponese e hongkonghese – per rimanere in area asiatica. Con intelligenza Nimibutr e Sasanatieng, anche compagni di corso all’università, utilizzano i passaggi topici del genere cui afferiscono senza tentare strade particolarmente esotiche, o personali: ci sono i compagni di strada che dapprima si dividono e quindi si fanno apertamente guerra, i locali malfamati dove far bere i soldati statunitensi in libera uscita, lo stigma sociale da superare per raggiungere il successo (e il rispetto), il rapporto difficoltoso con la tradizione, e via discorrendo.

Nimibutr dichiara il suo rifarsi al racconto di un’epoca passata fin dal titolo originale thai, 2499 อันธพาลครองเมือง (2499 Anthaphan krong muang, traducibile come 2499 I teppisti conquistano la città: nel calendario thailandese il 2499 equivale al 1956 del calendario Gregoriano), e con raffinatezza agevolata anche dalla bella fotografia lavorata da Winai Patomboon si lancia in una ricostruzione d’epoca che non reprime gli aspetti più brutali né lo squallore di determinate situazioni, come palesano la presenza in scena di scarafaggi e topi, per esempio. La violenza prorompe naturalmente, come fosse insita in una società che mantiene tradizioni millenarie ma si è lasciata con grande facilità colonizzare culturalmente dall’occidente americano; in questa discrasia vivono Dang e i suoi amici più fidati, tra il senso di appartenenza a un mondo che prevede ad esempio un periodo di vita monacale e il mito adrenalinico del “live fast, die young”. Diviso idealmente in due momenti che sono contraddistinti anche da due location dominanti – la prima parte del film è ambientata a Bangkok, la seconda invece in una zona militare statunitense, dove Dang e Piak hanno trovato rifugio dopo la sanguinosa guerra tra band che ha messo i loro nomi all’indice per l’esercito – Dang Bireley’s and Young Gangsters è un noir senza dubbio in parte prevedibile ma che trova il proprio glorioso riscatto in una messa in scena elegante e nervosa a un tempo, tesa all’estasi del gesto ma anche conscia della fragilità della vita, che può essere portata via da una pistolettata, o da una coltellata a un fianco. L’inevitabile nostalgia dettata dal racconto a distanza di Piak, tra macchine da scrivere impolverate e foto degli anni Cinquanta sovrastate da ragnatele, non è tanto per quel tipo di vita – tratteggiato in realtà con profondo distacco da Nimibutr – ma per l’idea stessa della giovinezza, del riscatto sociale reso possibile da fisici tonici, e da una volontà ferrea che va anche contro lo stesso spirito di autoconservazione. Tutti i personaggi in scena possono andare verso lo scontro finale senza alcun tipo di preoccupazione, o di ripensamento, sapendo che quello potrebbe essere l’ultimo scontro. Dopotutto anche Dean, mito tra i miti, si schiantò fatalmente solo perché “gli è sempre piaciuto correre”. Ventisei anni dopo la sua realizzazione Dang Bireley’s and Young Gangsters mostra ancora il volto migliore del cinema thailandese in grado di coniugare ambizioni cinematografiche e resa popolare; forse a Bangkok, con gli studi negli ultimi anni in profonda crisi di idee, sarebbe opportuno ripartire da qui.

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