Jeanne du Barry – La favorita del re
di Maïwenn
Maïwenn apre ufficialmente la settantaseiesima edizione del Festival di Cannes con Jeanne du Barry, il suo nuovo film focalizzato su colei che fu la favorita di Louis XV; sulla carta il suo vorrebbe essere il tentativo di una rilettura femminista di questa figura storica, ma nella realtà scade solo nel dramma sentimentale bolso, senza nulla di interessante da dire sul potere, e neanche sul femminile. Come protagonista poi Maïwenn è del tutto fuori parte, inadeguata per espressività ed età.
Sensualità a corte
Jeanne ha umili orgini, un padre che non l’ha riconosciuta e una madre a servizio della nobiltà, ma fin da piccola è bella e brillante. Dedita al libertinaggio, arriverà così tra le lenzuola del Re di Francia Luigi XV e ne diventerà l’ultima favorita dal 1768 al 1774, anno della morte del Sovrano. [sinossi]
Difficile capire cosa abbia voluto tentare l’attrice e regista Maïwenn con Jeanne du Barry, film di apertura di Cannes 76, o se semplicemente l’esito manifesto sia l’inevitabile risultato di una sceneggiatura piatta e non ispirata, che prende la patina più superficiale della cronaca di corte e la restituisce in formato soap-opera, cui l’autrice non aggiunge neppure un’intuizione in grado di dare a questo lavoro anche solo un vaghissimo stile. Sta di fatto che, nel mettere in scena la vicenda dell’ultima favorita di Luigi XV (il film non menziona se non in modo molto superficiale le amanti precedenti, la principale delle quali è la cortigiana più famosa di sempre ossia Madame de Pompadour, adorata dal Sovrano), Maïwenn sceglie di soffermarsi per lo più sulla love story tra il monarca e la libertina, ostacolata dalle figlie del Re (ah, il conflitto!) e, successivamente, anche dalla Delfina Maria Antonietta, come se la regista volesse dirci che il grande amore non ha trionfato per colpa delle convenzioni, essendo Jeanne figlia del popolo e Luigi XV il simbolo stesso dello Stato. Jeanne du Barry nell’incipit però inanella alcune piste potenzialmente degne di interesse: scandito da una voce narrante che fa tanto Barry Lyndon il film inizia en plein air mostrando una bella bambina ritratta da un uomo in aperta campagna. L’idea del maschile che ritrae il femminile è una traccia intrigante, così come sembra essere la crescita della protagonista (raccontata nella prima sequenza dalla voice over), figlia illegittima e non riconosciuta dal padre, la cui madre fa la cuoca e si adopera in ogni modo per dare una posizione alla fanciulla. La quale diventa un’adolescente sempre più bella ma anche curiosa e desiderosa di istruirsi, adorata dal gentiluomo per cui la madre lavora e che è l’unico confronto della ragazzina per la sua sete di sapere. Portata in convento per ricevere un’educazione adeguata, Jeanne si appassiona a libri che la portano a conoscere l’eros e il desiderio, ossia le vie maestre per la sua ascesa personale. Il libertinaggio come emancipazione e al tempo stesso giogo, la scalata di una donna dalle umili origini fino alla corte di Versailles grazie alla sessualità, lo sguardo del maschile su un femminile seduttivo e ineluttabilmente oggettivato: la prima sequenza mette in campo svariati elementi e, un istante dopo, il film li dimentica tutti, incardinando Jeanne du Barry sulla rotaia della banalità più sconcertante. Straordinariamente, la protagonista in un paio di pose è bambina, in due o tre rapide scene è giovane e, quando dovrebbe avere circa 20 anni, si trasforma in Maïwenn, bellissima donna ma forse non adatta al ruolo: è da qui che l’intreccio parte, la credibilità affonda e il pensiero si inabissa in una trita, risaputa, annoiata storia le cui tappe sono già scritte.
Dimenticatevi l’interesse per la lettura o le doti intellettuali della ragazzina perché, pressoché scomparsa la voce narrante, sparisce anche il flebile filo che rende Jeanne un personaggio non tanto tridimensionale, ma anche solo bidimensionale: con l’espediente delle premesse, a questo punto date per scontate, la regista può così concentrarsi sui passaggi che portano la sua monocorde protagonista (cui Maïwenn non dona sfumature interpretative) a passare dal letto del marchese du Barry a quello di Luigi XV (un ebete Johnny Depp) via marchese di Richelieu (da non confondere con il suo avo Cardinale) e senza neppure avere il coraggio di mostrare un corpo, un coito, un momento di sessualità. Niente. Pudico, ritroso e in fondo persino ipocrita, il film punta dritto all’incontro tra la protagonista e il suo grande amore, il Re, all’unione di due anime di cui Jeanne du Barry non racconta in verità niente e di cui non mostra in alcun modo le ragioni del sentimento che va, ancora una volta, dedotto o dato per assodato. Senza problematizzare minimamente lo sfruttamento della donna e senza neppure problematizzare il trionfo di una sana e consapevole libidine gestita dal femminile – che potrebbe essere materiale potente per il film – Jeanne du Barry parla di una tale che con il suo fascino (anch’esso desunto da qualche sguardo lascivo e obliquo) è arrivata al grande amore fatale, con sede a Versailles, ma non essendo nobile non viene accettata neppure dopo la morte della consorte legittima del Re. Fine. Quando la sceneggiatura ha buchi troppo evidenti, torna qua e là la voce narrante, mentre la paratassi comatosa del film è interrotta soltanto da alcuni momenti scult come la morte di Luigi XV deturpato dalle pustole di vaiolo, i capelli sempre più grigi della “vedova” Jeanne che finisce in convento (nella verità storica ci starà pochissimo e si rifarà subito una vita, mentre il film la mostra penitente e inconsolabile) e, soprattutto, la scena dell’incontro tra il Sovrano e la futura favorita: per svariati secondi, la regista ci regala un primo piano di Depp a occhi sgranati mentre guarda Jeanne, incredulo di tale beltà, sconvolto, ammaliato, già totalmente innamorato. E questo basti allo spettatore per dare per assodato un rapporto non raccontato, del tutto impalpabile e inconsistente. Ci si sofferma sulle figlie cattive e sciocche (visto il livello di elaborazione intellettuale non è presente la benché minima complessità neppure su questa materia) di Luigi XV soprattutto per creare un “antagonista” narrativo, mentre non esiste un accenno alla politica, alle strategie di potere, al contesto sociale o a quelle “relazioni pericolose” raccontate proprio in quegli anni da Choderlos de Laclos. Semmai sul finale si ha quasi l’impressione che la Rivoluzione – che tagliò la testa anche a Jeanne che fu fino alla fine convinta sostenitrice della Monarchia – sia stata una cosa un po’ troppo rude, che ha preso di mezzo una donna innocente e addirittura tradita da un giovane di colore che lei aveva protetto. Una donna il cui dramma, in fondo, è di non essere diventata la moglie dell’uomo che amava o di non essere stata benvoluta in famiglia. Ah, crudele fato, immortalato da un’azione in cui la “nostra” eroina corre su una ripida scalinata, in salita come la sua vita (pare suggerire il film).
Tra citazioni da Marie Antoinette (dove du Barry era tratteggiata in maniera incisiva da Asia Argento) e svariate, troppe, dal già menzionato Barry Lyndon, Maïwenn realizza un lavoro insipido se non problematico, nel senso che tutto – anche la difesa della scalata sociale a colpi di sesso – si può affrontare con intelligenza a patto di non togliere qualsiasi elemento degno di riflessione dall’intreccio, che pare invece essere proprio l’operazione messa in campo. Così la storia di una cortigiana che ha usato il proprio corpo per avere una posizione diventa la parabola di una protagonista le cui motivazioni nel film non sono chiare, a parte il desiderio di vivere a Corte e amare il Sovrano, e in cui le psicologie di tutti i personaggi sono annientate.
Info
Jeanne du Barry – La favorita del re, il trailer.
- Genere: drammatico, sentimentale, storico
- Titolo originale: Jeanne du Barry
- Paese/Anno: Belgio, Francia, GB | 2023
- Regia: Maïwenn
- Sceneggiatura: Maïwenn, Nicolas Livecchi, Teddy Lussi-Modeste
- Fotografia: Laurent Dailland
- Montaggio: Laure Gardette
- Interpreti: Benjamin Lavernhe, Capucine Valmary, Diego Le Fur, India Hair, Johnny Depp, Laura Le Velly, Maïwenn, Marianne Basler, Melvil Poupaud, Micha Lescot, Noémie Lvovsky, Pascal Greggory, Patrick D'Assumçao, Pierre Richard, Robin Renucci, Suzanne de Baecque
- Colonna sonora: Stephen Warbeck
- Produzione: France 2 Cinéma, France 3 Cinéma, Impala Productions, In.2 Film, La Petite Reine, Les Films de Batna, Les Films Du Fleuve, Why Not Productions
- Distribuzione: Notorious Pictures
- Durata: 116'
- Data di uscita: 30/08/2023