Anselm
di Wim Wenders
Wim Wenders affronta la vita e la carriera dello scultore e pittore Anselm Kiefer, e lo fa ricorrendo al 3D; quello che potrebbe essere un profondo film-saggio viene semplificato per la necessità da parte del regista tedesco di seguire in modo più semplice e cronologico gli eventi. Si rimane comunque schiacciati dal potere di una magistrale tridimensionalità. Tra le séances spéciales di Cannes 76.
“Quando il bambino era bambino”
La vita artistica del pittore e scultore tedesco Anselm Kiefer viene ripercorsa da Wim Wenders in un film immersivo in 3D. [sinossi]
Nero latte dell’alba lo beviamo la sera,
lo beviamo a mezzogiorno e al mattino lo beviamo di notte
beviamo e beviamo, scaviamo una tomba nell’aria là non si giace stretti.
Paul Celan, Fuga di morte
Nel 1967 il poeta Paul Celan, ebreo rumeno, incontra uno dei massimi filosofi del Novecento, Martin Heidegger, che fu rettore dell’Università di Friburgo durante l’ascesa di Adolf Hitler: lo scrittore, che utilizzò il tedesco nelle sue opere e i cui genitori morirono in campi di lavoro e concentramento, attende da quell’incontro una parola, un’illuminazione, un gesto che lo aiuti a comprendere. Quella parola non arriverà. Il tragico aneddoto (Celan si suiciderà pochi anni dopo) contenuto in Anselm di Wim Wenders, dedicato alle opere dello scultore e pittore Anselm Kiefer, è il momento più struggente e inconsolabile del film in 3D realizzato dal cineasta Palma d’Oro per Paris, Texas e presentato tra le proiezioni speciali di Cannes 76. La ricerca di un perché del nazismo, del Male, delle ragioni umane nella Storia, delle macerie della cultura tedesca sono infatti tra le pulsioni principali della carriera di Kiefer, nato nel marzo 1945 a Donaueschingen, città pesantemente bombardata dagli alleati sul finire del secondo conflitto mondiale. L’indagine interiore (“Non posso dire cosa sarei stato io nel 1930, cosa avrei fatto” afferma Kiefer in un’intervista di repertorio), la fanciullezza in una città devastata, la riflessione sulla Germania e la sua eredità rimossa sono tra i passaggi ineludibili per comprendere i circa 60 anni di lavoro di uno dei massimi e maggiormente riconosciuti artisti contemporanei. Mentre sullo schermo scorrono i versi della agghiacciante, sublime, poesia di Celan Fuga di morte assieme a riprese di Heidegger degli anni ’60, Kiefer sfoglia un libro di propri lavori intitolato “Il cervello di Heidegger” che diventa progressivamente nero e tumorale: in questa stratificazione di senso, oltre che di immagini immersive, c’è probabilmente l’apice dell’itinerario speculativo e al tempo stesso profondamente intimo di cui si fa portatore l’opera di Kiefer e che, qui, Anselm riesce ad esprimere compiutamente, in tutto il suo rigore e dolore. Potrebbe essere un film-saggio, Anselm, in cui la bellezza tridimensionale si fa spesso sintesi del tempo (e delle forme dell’essere) scandagliando le fonti di ispirazione di un artista oscuro e affascinante. Eppure, pur perseguendo nell’intento di restituire l’ampiezza del percorso intellettuale di Kiefer, Wenders preferisce dettagliare le fasi della sua vita in maniera più semplice e cronologica, mai didascalica ma certamente più compilativa rispetto all’espressione implicata nell’epifania della tragedia, in quell’incontro tra il poeta e il filosofo su cui ha riflettuto il pittore/scultore, e che termina in un abisso assoluto, in un irredimibile vuoto di senso.
Il film inizia con le sculture dedicate alla Sposa dell’artista inserite in un paesaggio boschivo che immediatamente avvolge lo spettatore in un 3D che desta una meraviglia quasi rinascimentale (la tecnica del 3D era già stata utilizzata da Wenders per il suo documentario del 2011 su un’altra grande tedesca, Pina Bausch, ma pure per il film di finzione Ritorno alla vita) e che, nel raccontare fantasmagoricamente l’infanzia del pittore in una città distrutta pare guardare invece all’animazione della berlinese Lotte Reniger: di pochi mesi più giovane di Kiefer, Wenders sa perfettamente che questo lavoro ha a che fare con l’essere tedeschi e con l’essere nati, innocenti eredi, in seguito alla grande colpa di un intero popolo. Non a caso, il film termina con l’opera di Kiefer del 1985 intitolata Wings, un paio di ali perdute, smarrite da un angelo: uno dei film più famosi di Wenders si intitola in originale Wings of Desire, ossia Il cielo sopra Berlino presentato a Cannes nel 1987. Attraverso Kiefer il regista scolpisce dunque parzialmente anche i proprio tempo e la propria auto-analisi, che culmina dichiaratamente sul finale in cui Anselm Kiefer si ricongiunge con un sé bambino, interpretato nel film dal piccolo Anton Wenders. Se i passaggi principali di una sontuosa carriera sono raccontati mostrando (alcune) opere famose e varie interviste d’epoca, nel film si innestano infatti anche parti di finzione in cui vediamo l’artista bambino (Anton Wenders, appunto) e poi giovane uomo (Daniel Kiefer): la stratificazione tra generazioni e materiali (finzionale, archivistico, documentale) si unisce a quella percettiva del 3D in un cortocircuito in cui pare chiaro il coinvolgimento dello stesso regista nell’opera speculativa e assolutamente germanica dell’artista protagonista. Nell’episodica ricostruzione biografica si va, però, su strade più battute e meno sorprendenti rispetto alla sintesi intellettuale che renderebbe Anselm un “libro di immagini” sulla storia tedesca e la sua cultura, un’operazione che a tratti emerge dal film. Per rendere le cose chiare il film è diviso molto sobriamente in capitoli relativi ai traslochi di Kiefer nei suoi ateliers: da uno studio giovanile e bohémien, l’artista trova spazi che assomigiano via via sempre più a fabbriche fino a installarsi davvero in una fabbrica abbandonata in Francia dove gira in bicicletta per reperire sterpaglie, foto, scritti e tutto ciò che gli serve per operare come un novello Efesto considerato quanto massicciamente utilizza il fuoco sui materiali. Nell’attraversamento di questi spazi/opere/installazioni (una delle quali ricorda la Zona di Stalker) scorriamo la storia dell’artista: vediamo il giovane Kiefer, negli anni ’60, nella performance che lo rese famoso ma inviso in patria (la serie di fotografie in cui Kiefer si immortalò mentre faceva il saluto nazista: ovviamente venne accusato di simpatie nazional-socialiste perché la stupidità è sempre in agguato), l’opera Strade di una saggezza secolare (1978) in cui Kiefer inserisce ritratti dei grandi pensatori tedeschi in una ragnatela inquieta, fino alle grandi tele degli anni ’80, agli aeroplani e alla biblioteca morente esposti all’Hamburger Banhof di Berlino, alla riflessione su Lilith e la cultura ebraica, oltre all’interesse perdurante e ossessivo per il paesaggio desolato e al tempo stesso post-romantico, per la distruzione apocalittica, quasi divina, e la solitudine dell’uomo di fronte al creato. Fino ad arrivare al miracoloso allestimento realizzato a Palazzo Ducale, Venezia, nel 2022 e intitolato “Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce”, una frase del filosofo italiano Andrea Emo che pare una sintesi calzante dei sentieri interrotti e della necessità espressiva di Kiefer (che intanto, a Palazzo Ducale, ammira il Paradiso dl Tintoretto).
Wenders è chiaramente coinvolto nel racconto di un coetaneo, conterraneo e artista. Questa adesione potrebbe essere più profonda, intima e rivelatrice ma viene smorzata dalla necessità di voler/dover raccontare cronachisticamente per sommi capi la carriera di Kiefer. Questa connessione trova nel finale il suo momento più luminoso: è l’infanzia, che è un vuoto, dice Kiefer, a essere depositaria di ciò che siamo. “Quando il bambino era bambino, non sapeva di essere un bambino, per lui tutto aveva un’anima e tutte le anime erano tutt’uno” come recita la poesia di Peter Handke ripetuta più volte da Bruno Ganz ne Il cielo sopra Berlino. Quando il bambino era bambino l’infanzia è una città bombardata in un Paese sconfitto, umiliato dalla colpa, una heimat matrigna che è però il cuore dell’Europa moderna: (anche) di questo parla l’opera di Kiefer, forse troppo sconfinata anche per un pertinente e magistrale 3D.
Info
Anselm sul sito del Festival di Cannes.
- Genere: documentario
- Titolo originale: Anselm
- Paese/Anno: Germania | 2023
- Regia: Wim Wenders
- Fotografia: Franz Lustig
- Montaggio: Maxime Goedicke
- Interpreti: Anselm Kiefer, Anton Wenders, Daniel Kiefer
- Colonna sonora: Leonard Küssner
- Produzione: Road Movies Filmproduktion
- Durata: 93'
