Black Flies
di Jean-Stéphane Sauvaire
Potrebbe sembrare un discendente diretto di Al di là della vita di Martin Scorsese, questo Black Flies, non foss’altro per l’ambientazione nella New York paramedica: ma anche volendo cancellare dalla mente un paragone impossibile il film di Jean-Stephane Sauvaire appare privo di un proprio senso, irrisolto, debole tanto sotto il profilo narrativo quanto sotto quello espressivo. In concorso, molto generosamente, a Cannes 2023.
Fantasmi nella notte
Ollie ha da poco cominciato la propria esperienza da paramedico nella notte dei bassifondi di Brooklyn; ad affiancarlo sull’ambulanza c’è il veterano dell’emergenza Rutkovsky. Assieme affrontano situazioni tragiche e degradanti: una di queste avrà conseguenze impreviste. [sinossi]
Sarebbe stato bizzarro vedere Nicolas Cage nella parte del consumato paramedico Rutkovsky, come se il personaggio da lui interpretato nel meraviglioso Al di là della vita di Martin Scorsese si potesse risvegliare 25 anni dopo, ma trasformato e trasfigurato come il mondo che è cambiato attorno a lui e rivestendo dunque i panni di un personaggio differente da quello del suo dolente, umanissimo Frank. Non c’è alcun dubbio che Black Fliles diretto da Jean-Stephane Sauvaire, misteriosamente selezionato per il Concorso di Cannes 76, guardi a quel film sulla morte, la redenzione, il senso di colpa, il dolore della città che nel lavoro del 1999 scritto da Schrader sembra un grido sordo da cui non si può fuggire: anche se Black Flies è tratto dal libro I corpi neri (2008) scritto da Shannon Burke sulla base della propria personale esperienza di paramedico, le allucinate corse nel buio newyorkese, i colori stonati e la vicenda in quanto tale creano inevitabilmente un apparentamento con il capolavoro con Nicolas Cage. Il cast però guarda altrove: nella parte del paramedico esperto c’è infatti Sean Penn (la cui espressività nel film è data solo dalle rughe) mentre in quella del giovane “apprendista” Ollie, vero protagonista del film, c’è Tye Sheridan. I due si sono già incontrati (Penn adulto, Sheridan bambino) in The Tree of Life di Terrence Malick, regista che Black Flies cita palesemente, segnalandolo anche con l’utilizzo del Preludio de L’Oro del Reno di Richard Wagner, presente qui come anche nel film che vinse la Palma d’Oro nel 2011. Il terzo lungometraggio del regista francese, che vive da tanti anni negi Stati Uniti, non manca certo di ambizione, ma le velleità hanno fragili fondamenta e le alte aspirazioni sono mal riposte.
Dimentichiamoci per un istante Al di là della vita e mettiamo da parte anche le altitudini malickiane per atterrare di schianto sulla storia di Ollie (Sheridan), che vive a Downtown, deve ancora terminare gli studi e la sera va a soccorrere derelitti, tossici e poveri cristi per le strade di Bushwick, Brooklyn, che prende il posto di quella Manhattan struggente, e spazzata via dalle conseguenze dell’11 settembre 2001, ritratta da Scorsese. La prima sequenza grondante sangue, girata con camera a mano furente e scandita da un montaggio serrato quanto stordente dice già tutto dello stile esibito e isterico del film, che ci getta in media res in una delle tante serate in cui Ollie e il veterano Rutkovsky si trovano a confrontarsi con il degrado umano, l’abiezione, l’autodistruzione. Feriti e moribondi per sparatorie e scontri a fuoco, donne picchiate dai mariti e tanti drogati sono le persone che digitano il fatidico numero 911 e che i due personaggi devono gestire. Le situazioni che scorrono davanti agli occhi di Ollie e davanti a quelli dello spettatore, segmentate da un montaggio che si fa notare ogni secondo, sono un’inanellarsi di tragedie umane che finiscono per non avere però alcuna pregnanza né significato. Travolto dal lato oscuro dell’esistenza, il protagonista ha poi bisogno di conforto, se non amore, e una sera incrocia in discoteca una donna che inizia a frequentare. Il loro rapporto si sviluppa in quattro scene e non prevede molte battute: un bacio sotto le luci psichedeliche di una pista da ballo, i corpi sempre nudi che ripetutamente si incontrano soddisfacendo il bisogno del ragazzo di percepire un’alterità intima, un contatto. La labile traccia della relazione “amorosa” è raccontata per singolarità, con immagini che mostrano bocche, il ventre di una donna, i seni, lo sguardo di Ollie e, anche questa scelta, pare piuttosto “malickiana”. Nelle intenzioni ovviamente. Oscillante come un’ambulanza tra (per lo più) ritmi accelerati e maldestro lirismo, Black Flies ha un problema fondamentale: la storia gira a vuoto, affastellando troppo a lungo le vicende di anonimi esseri umani trovati in pozze di liquidi organici. Questa discesa agli inferi, a differenza di quella di Cage, non ha personaggi ben caratterizzati: sia Ollie che il collega Rutkovsky sono abbozzati, mentre i “casi umani” sono destinati a essere tali, fornendo una sorta di catalogo di mostri che abitano la notte e che durante il giorno la società ignora. Non ci sono ad esempio, come accadeva appunto in Al di là della vita, gli “habitué” delle parambulanze o delle strade che costituivano l’anima della città, personaggi in grado di dare respiro collettivo, restando in Black Flies queste creature riprese per un istante e poi subito abbandonate, come oggetti di scena. Tutti i soccorsi sono poveracci senza identità, semplici elementi in un film che deve procedere. Il principale problema di Black Flies è che non ha psicologie né storie anche perché la “svolta” che porterebbe il racconto al cambio di marcia arriva dopo circa 75 minuti, prima dei quali non è accaduto in realtà nulla di significativo o appassionante, ma abbiamo visto solo un susseguirsi tumultuoso di morti e feriti nella notte della Grande Mela, sballottati da camera a mano e montaggio tramortente. Solo a due terzi del lavoro, qualcosa accade e vieniamo dirottati su un tracciato sul quale, in altri casi, un regista avrebbe costruito il proprio film. Ma Sauvaire vuole “fare l’autore” dunque la svolta serve solo a ribaltare lo schema percettivo dato per assodato e a metterlo in discussione: chi sono i buoni, chi i cattivi, in una città che sta relegando sempre sempre più ai margini le persone che non vuole vedere, che non devono esistere?
Dai tempi di Al di là della vita a questo (imparagonabile) Black Flies è la Città occidentale per eccellenza a essere mutata: nel film di Scorsese era proprio Downtown, Manhattan, a fornire il corteo di marginali, tossici, psicotici che brulicavano pr le vie di New York; dal 2001 il repulisti è stato intenso come se la parte dell’umanità che non è bello vedere sia stata relegata fino a scomparire e anzi annientarla sia il mandato dei buoni. Questa è la riflessione più interessante del film di Sauvaire, che vuole raccontare la violenza quotidiana della metropoli e il rapporto con la morte, ma spinge molto in avanti il punto più politico/morale del suo incerto, poco memorabile lavoro. Peccato, perché l’ultima mezz’ora – in cui Black Flies si placa, anche per frenesia stilistica, dovendo affrontare i personaggi guardandoli frontalmente, in faccia – è meno banale: volendo strutturare la propria opera in maniera differente, puntando quasi tutto sull’atmosfera dark e preparando fin troppo gli assiomi che rendono oppositiva la svolta, il regista finisce però per dilazionare lo snodo più sensato del film stesso, che arriva tardi e i cui esiti sono necessariamente affrettati, dunque finendo per depotenziare il proprio stesso lavoro. Con un cameo di Mike Tyson e Michael Pitt in una parte luciferina, Black Flies è un lavoro irrisolto e pertanto decisamente debole.
Info
Black Flies sul sito del Festival di Cannes.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Black Flies
- Paese/Anno: USA | 2023
- Regia: Jean-Stéphane Sauvaire
- Sceneggiatura: Ben Mac Brown, Ryan King
- Fotografia: David Ungaro
- Montaggio: Katherine McQuerrey, Saar Klein
- Interpreti: Michael Pitt, Mike Tyson, Sean Penn, Tye Sheridan
- Colonna sonora: Nicolas Becker, Quentin Sirjacq
- Produzione: Sculptor Media
- Durata: 120'