Club Zero

Club Zero

di

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2023, Club Zero di Jessica Hausner conferma i pregi ma evidenzia anche i limiti della poetica della regista e sceneggiatrice austriaca, ancora una volta immersa in una storia di fede radicale. Impreziosita dalla consueta messa in scena geometrica, da scelte cromatiche alquanto mirate, mai banali, la favola nera della Hausner ci sembra però irrisolta, appena abbozzata nelle sue analisi e riflessioni.

Ritorno ad Hamelin

Assunta da un prestigioso e costoso liceo privato, la signorina Novak è titolare di un corso di nutrizione che propone un concetto innovativo, radicale, distantissimo dalle comuni abitudini alimentari. Senza destare i sospetti di insegnanti e genitori, alcuni studenti cadono sotto la sua influenza ed entrano a far parte della cerchia ristretta del misterioso Club Zero… [sinossi]
Nous croyons tous en quelque chose,
nul n’est exempt de superstition.
Jessica Hausner – Pressbook di Club Zero.

Sempre interessante, mai travolgente per indole e scelte narrative ed estetiche, Jessica Hausner scandaglia alcuni cortocircuiti della società contemporanea, della presunta élite, dalle nuove forme fideistiche (in questo caso, a partire dalla nutrizione) alla vacuità delle istituzioni scolastiche d’eccellenza, dall’incomunicabilità generazionale all’abisso culturale e umano dei nuovi ricchi. Compassato, colorato, un po’ troppo schematico, Club Zero conferma la singolarità autoriale della Hausner, ma qui in tono minore, distante dalla stratificazione hanekiana o dalle taglienti provocazioni di Seidl, tanto per restare in patria, ma anche dalle sue opere precedenti, in primis Lourdes e Amour fou.

Hausner tratteggia una scuola d’élite senza una collocazione precisa, gira il film in inglese, adatto per la sua ipotetica universalità (in fin dei conti, il dove ci interessa poco, il discorso è evidentemente indirizzato verso la sfera occidentale), e le sue scelte formali sembrano calzare perfettamente a un ambiente apparentemente ideale, propositivo, ma in realtà castrante. Una sorta di gabbia dorata, un parcheggio per ragazzi facoltosi che tra lezioni di danza, teatro e mille altri stimoli si trovano paradossalmente senza un timoniere, prede di cattivi maestri, di idee balzane, di estremismi fideistici.
È il sistema capitalista, iperproduttivo, a generare l’incolmabile distacco tra la scuola, i genitori e i ragazzi. È il tempo sottratto alla famiglia, alla casa; la propria camera diventa rifugio e solitudine, sempre più amplificata, pericolosa. Ed è in questo distacco, in questa terra di nessuno, che si insinua la professoressa Novak (Mia Wasikowska), moderna incarnazione del pifferaio magico di Hamelin – suggestiva nel finale l’intuizione del quadro, luogo definitivamente altro e irraggiungibile per la scuola e i genitori. Perché, anche per le scelte cromatiche (prevalgono il giallo e il verde, i toni pastello) e il suo essere sospeso in un luogo\tempo indefinito, Club Zero muta lentamente in una favola nera, una parabola dei nostri tempi, un monito.

Il controllo maniacale del cibo, qui mascherato da decisivo contributo all’ambiente e alla società, è solo una declinazione delle tante correnti uniformanti degli ultimi anni, è la trappola che attrae gli adolescenti in cerca di una forma di inclusione, in cerca di certezze, la via di fuga da un futuro sempre più incerto – altra piaga della contemporaneità, che ha tolto alle nuove generazioni dei percorsi quantomeno rassicuranti, delle prospettive serene. In questo humus etico e culturale attecchisce il fantomatico Club Zero della Novak, dispensatrice di certezze scientifiche che nessuno può smontare – la cartina tornasole dell’impotenza culturale genitoriale e scolastica è il refrain quasi comico, in realtà avvilente, dell’incapacità dei vari adulti di distinguere teatro e opera. I soldi, gli strumenti, i luoghi comuni, le scelte demandate.

Dall’alimentazione consapevole ad Hamelin il passo è breve, il sentiero era già tracciato dalle asettiche videochiamate, dai progetti, dagli orari di lavoro, dalla corsa al denaro e a un superficiale benessere. Il film della Hausner mette in scena questo vuoto e questa distanza, è senza dubbio un’altra tessera di mosaico autoriale coerente, ma si esaurisce in una metafora che funziona sul piano estetico, meno nel tirare le fila di un discorso bidimensionale, un po’ troppo schematizzato, castrato nelle emozioni – si dirà, è il suo cinema.

Info
La scheda di Club Zero sul sito di Cannes.

  • Club-Zero-2023-Jessica-Hausner-01.jpg
  • Club-Zero-2023-Jessica-Hausner-02.jpg
  • Club-Zero-2023-Jessica-Hausner-03.jpg

Articoli correlati

Array
  • Festival

    festival di cannes 2023Festival di Cannes 2023 – Presentazione

    Star, film, mercato, red carpet, una fiumana autopromozionale che è indubbiamente il fiore all'occhiello dell'industria transalpina, una macchina da guerra che sembra voler radere al suolo il nemico, Venezia ma non solo. Insomma, il centro dell'universo cinematografico, ma con più di una crepa.
  • Festival

    Cannes 2023

    Cannes 2023, il festival transalpino spegne le settantasei candeline e dichiara al mondo la sua voglia di non cambiare mai, tanto nei pregi quanto nei difetti. Biglietti da prenotare, rush line alle quali prepararsi, sale da riempire e da svuotare. Nel mezzo ovviamente un numero impressionante di film.
  • Festival

    Cannes 2022Cannes 2023 – Minuto per minuto

    Cannes 2023, settantaseiesima edizione del festival transalpino, riparte dalle prenotazioni dei posti in sala (quando si trovano), e da una struttura che oramai è quella consolidata tra concorso, Un certain regard, film fuori dalla competizione, sezioni collaterali. Chi vincerà la Palma d'Oro?
  • Cannes 2019

    Little Joe RecensioneLittle Joe

    di Volutamente trattenuto e anticlimatico, Little Joe di Jessica Hausner è sci-fi del presente, impreziosita da un certosino rigore geometrico e cromatico, pervasa da sonorità sottilmente disturbanti. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2019.
  • Cannes 2014

    Amour fou RecensioneAmour fou

    di Presentato nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2014 e ispirato al suicidio di Henrich von Kleist, Amour fou è un rarefatto dramma sentimentale che conferma il talento singolare della cineasta viennese.