Project Silence

Project Silence

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Presentato nell’altalenante sezione Séances de minuit del Festival di Cannes 2023, Project Silence di Kim Tae-gon è un blockbuster sudcoreano smaccatamente derivativo, sostenuto a fatica dal comparto produttivo e dal valido Lee Sun-kyun, affossato già a meta pellicola, se non prima, da una cronica mancanza di idee. Un nipotino illegittimo del cult The Host di Bong Joon-ho.

There Was a Bridge with Forty Dogs

A causa dell’improvviso peggioramento delle condizioni meteorologiche, la visibilità sul ponte dell’aeroporto è gravemente compromessa, lasciando le persone bloccate e con il rischio che il ponte crolli a causa di una serie di collisioni a catena ed esplosioni. In mezzo al caos, i soggetti canini Echo dell’esperimento militare Project Silence, che venivano trasportati in segreto, si liberano e tutti i sopravvissuti umani diventano bersagli di attacchi implacabili… [sinossi]

Aridatece Cujo! A braccetto col catastrofico su larga scala Acide di Just Philippot, Project Silence di Kim Tae-gon (The Sunshine Boys, Familyhood) delude ampiamente le aspettative, confermando la deleteria pesca a strascico del Festival di Cannes 2023 e dell’inarrestabile Thierry Frémaux. Poi, certo, la presenza di almeno un paio di blockbuster sudcoreani sulla Croisette è da anni una certezza incrollabile, a volte fertile (ad esempio, bene, molto bene Cobweb di Kim Jee-woon), ma così il senso della selezione festivaliera latita.
Al di là di una superficiale presentazione dei vari personaggi e del contesto politico, col villain che si annida inevitabilmente tra le alte sfere, Project Silence inizia e finisce su un ponte immerso nella nebbia. Si vede poco, l’incidente è dietro l’angolo e il trappolone per i poveri viaggiatori è apparecchiato: andrebbe pure bene se il mostro di turno avesse almeno una cinematografica ragion d’essere. Invece, ahinoi, i rabbiosi cani sguinzagliati dal corposo tamponamento (non particolarmente spettacolare) si rivelano poca cosa sul piano narrativo. O, meglio, non sono ben gestiti dallo script e soprattutto dalla messa in scena.

Perché, in fin dei conti, il vero limite di Project Silence è soprattutto nelle scelte registiche, nella costruzione delle sequenze, nella suspense prontamente affossata – l’esempio più lampante è l’inutile arrivo della squadra speciale e la mattanza prevedibilissima ed eccessivamente priva di logica (evviva la sospensione dell’incredulità, ma a un certo punto la coperta diventa davvero troppo corta). Non sorretti da intuizioni narrative ed estetiche i poveri molossi mostrano ben presto la corda, mettendo lo spettatore di fronte a paradossi fin troppo scoperti. Ovvero, la dura legge della mazza da golf.

Già, il golf. Potrebbe sembrare un semplice dettaglio, ma il personaggio della giovane golfista (si veda Nam-joo, la campionessa di tiro con l’arco di The Host, o più recentemente Ha-ri della serie Non siamo più vivi) è solo uno dei tasselli mal collocati di un blockbuster derivativo, arrivato al capolinea del genere, qui davvero raschiando il fondo del barile. Produttivamente c’è poco da discutere, la base di partenza è la consueta dell’industria sudcoreana, molto solida, il potenziale ci sarebbe. I cani, presi singolarmente, funzionano, la loro minaccia meno; il crollo del ponte è ben realizzato, la cgi funziona; il cast è all’altezza, a partire dal protagonista Lee Sun-kyun (Parasite, R-Point, presenza ricorrente nei film di Hong Sang-soo), circondato però da figurine, in primis la spalla comica Ju Ji-Hoon. Un peccato. Qualcuno si divertirà, ma siamo sotto la soglia del buon film fracassone con pop corn e coca-cola.

Info
La scheda di Project Silence sul sito di Cannes.

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