Spider-Man – Across the Spider-Verse

Spider-Man – Across the Spider-Verse

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Punta in alto, Spider-Man – Across the Spider-Verse, con l’ambizione di tracciare un’altra via possibile al cinecomic, in un impeto d’autore che ne riscriva le regole e sia capace anche di riflettere – con intelligenza e senso dello spettacolo – su se stesso e i suoi meccanismi. Un lavoro che cattura i sensi e porta avanti il suo discorso con coerenza, ma rischia di scontrarsi, in una contraddizione insanabile, con le stesse logiche estetiche e industriali che formalmente rifiuta.

Un multiverso-prigione?

Un anno dopo aver salvato il multiverso, Miles Morales/Spider-Man cerca di gestire al meglio la sua doppia identità e i suoi problemi adolescenziali, quando a New York si presenta, inaspettato, un nuovo nemico dal nome Macchia. Nel frattempo, Gwen Stacy torna a fargli visita, proponendogli una nuova missione. Lo Spider-Verse sembra essere di nuovo in pericolo… [sinossi]

Diciamolo chiaramente: il concetto di multiverso, al cinema, non ha più lo stesso appeal che aveva solo pochi anni fa. Lo sdoganamento di questo costrutto presso il grande pubblico, iniziato col primo Spider-Man – Un nuovo universo, è proseguito negli anni successivi a spron battuto, innanzitutto col suo ingresso nel Marvel Cinematic Universe – prima con Spider-Man: No Way Home e poi con Doctor Strange nel Multiverso della Follia – e successivamente con la pioggia di Oscar tributata a Everything Everywhere All at Once. Questa premessa la facciamo per spiegare che, se questo atteso Spider-Man – Across the Spider-Verse non ha la stessa carica innovativa (e in un certo senso di rottura) del suo predecessore, è in gran parte per una contingenza esterna piuttosto che per suoi demeriti. Tuttavia, questo sequel del film del 2018, estensione del suo concept e insieme sviluppo della sua linea narrativa, resta un’esperienza visiva che si lascia ricordare – tale da proporre, come già il suo predecessore, un altro modello di cinecomic possibile; ma, insieme a ciò, il film diretto da Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson (su un copione dietro il quale ci sono, ancora una volta, Phil Lord e Christopher Miller) resta un prodotto incompiuto, che finisce per lasciare un avvertibile retrogusto di amaro in bocca. Una discrasia che è indice di tutte le contraddizioni che l’industria dei moderni blockbuster si porta dietro.

Rispetto al suo predecessore, Spider-Man – Across the Spider-Verse gioca per prima cosa sull’effetto moltiplicazione: di universi, di linee narrative, di cosiddette Spider-Persone. Va tuttavia premesso che, in generale, il “caos organizzato” che il film presenta non scade mai nella gratuita saturazione – narrativa e visiva – mantenendo sempre (abbastanza) ferma la barra di una storia organizzata intorno a un preciso concetto: il canone e la sua rottura. In questo senso, questo sequel è un lavoro più concettuale rispetto al suo predecessore, proprio perché con la messa in scena esplicita degli alter ego – tutti costretti a seguire, con minime varianti, un copione che si ripete sostanzialmente uguale a se stesso – riflette sulle sue logiche e sulla stessa industria di cui fa parte: spunta quindi il concetto di meta-cinema, per una volta suggerito e non sottolineato a doppio tratto e ridotto a cliché, in un’intelligente elaborazione narrativa in cui i personaggi – e in particolare il protagonista Miles Morales – riflettono sull’individualità e sulla libertà creativa. Rottura del canone significa affermazione individuale e valorizzazione della propria libertà (personale e creativa) ma anche messa in pericolo dello stesso concetto di multiverso, ormai conglobato in quell’industria che genera ad libitum alter ego e cloni. Se si vuole, anche i setting storici e geografici dei vari universi – andiamo dal Rinascimento alla Londra del punk – stanno a ribadire una globalizzazione del gusto che governa la sostanza anche laddove la forma, apparentemente, diverga.

Tuttavia, questo notevole impianto concettuale – che significa anche, programmaticamente, una sfida al modello odierno del cinecomic, e l’indicazione di una possibile via altra – si scontra con una prima contraddizione: senza giri di parole, diciamo che Spider-Man – Across the Spider-Verse è un film che porta con sé un’inevitabile sensazione di parzialità, la consapevolezza che (laddove il primo film era in sé entità autosufficiente) qui siamo di fronte solo a un pezzo di storia. Non è soltanto il rimando decisivo, sui titoli di coda, al già annunciato terzo episodio, Spider-Man: Beyond the Spider-Verse: è l’aver (forse) sviluppato la narrazione sull’estensione di due lungometraggi, con storyline introdotte, parzialmente sviluppate e poi lasciate (pericolosamente) in sospeso. In questo senso può essere letta la gestione del villain (?) Macchia, perno centrale della trama in tutta la sua prima parte, poi messo da parte in favore dello sviluppo di un conflitto tutto interno alla Spider-Society. Se l’abbandono di un subplot, tuttavia, può essere giustificato in virtù del carattere parziale – e quindi incompiuto – della vicenda narrata, meno può esserlo il brusco cambio di tono nella seconda frazione del film: l’iniziale levità – tipicamente marveliana – del confronto tra protagonista e antagonista (affini anche nello humour) lascia spazio a un’epica dark che problematizza personaggi e schieramenti, puntando tutto su nuances e zone d’ombra.

Non vorremmo, comunque, trasmettere un’impressione sbagliata: rutilante, ammaliante e ambizioso, Spider-Man – Across the Spider-Verse resta comunque un’esperienza cinematografica notevole, capace di elevarsi sia rispetto alla grande maggioranza dei cinecomic odierni, sia rispetto a un’industria dell’animazione in cui si fa sempre più fatica a scorgere uno sguardo davvero personale. Tuttavia, il film di Dos Santos, Powers e Thompson sembra soffrire proprio dell’intima contraddizione della sua concezione: per quanto si cerchi di allontanarsene, le regole stanno sempre lì a condizionarti (esplicitamente e non); e, per quanto ci provi, il personaggio di Miles Morales – anche a causa dei legami che ha nel frattempo stabilito, non solo con l’amore eternamente perduto incarnato da Gwen Stacy – non potrà probabilmente mai aspirare al modello libertario ideale dello Spider-Punk. Così, nell’intrico di snodi e possibilità narrative che il film offre (ben simbolizzate dalla ragnatela visualizzata nella prima parte del film) la direzione della contaminazione col live action (e con gli stessi film del Marvel Cinematic Universe) viene esplicitamente evocata: il multiverso, d’altra parte, prima che un costrutto scientifico prestato alla cultura popolare, è innanzitutto un fatto di industria culturale. E alle regole di quest’ultima, da sempre, non si sfugge.

Info
Spider-Man – Across the Spider-Verse, il trailer.

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