Falcon Lake

Falcon Lake

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L’attrice canadese Charlotte Le Bon esordisce alla regia con Falcon Lake, che narra l’estate misteriosa ed emozionante del tredicenne Bastien e della sedicenne Chloé, alle prese con i turbamenti amorosi. Una regia sussurrata, soffusa, densa che cade purtroppo all’ultimo miglio, a un passo dal traguardo, per una svolta narrativa completamente fuori luogo e senso.

L’estate del mio primo bacio

Bastien e Chloé, rispettivamente tredici e sedici anni, sono intenti a trascorrere le vacanze estive ognuno con la propria famiglia presso il lago Quebec. Le due famiglie alloggiano in un baita, che secondo una leggenda sarebbe infestata dai fantasmi… [sinossi]

Chissà qual è la percezione che l’italiano medio ha del Canada, una nazione ben più misteriosa di quanto si possa immaginare. È infatti probabile che i più la considerino quasi una dependance degli Stati Uniti d’America, dai quali dopotutto è geograficamente circondata (al confine meridionale quanto a quello occidentale, se si considera l’Alaska); una confusione dettata dalla lingua dominante, la stessa – per quanto ovviamente il francese québécoise svolga un ruolo di primaria importanza nella stabilità interna del Canada, visto che è parlato da un quinto della popolazione, questo senza dimenticare le lingue native come quelle degli inuit –, forse persino dalla presenza di compagini canadesi all’interno delle principali leghe professionistiche sportive statunitensi, a partire dalla NBA. Culturalmente è facile mescolare Stati Uniti e Canada, anche perché Hollywood è stata presa pressoché d’assalto da interpreti e registi provenienti da Ontario, Columbia Britannica, Quebec, Alberta, e via discorrendo (si pensi tra gli altri a Keanu Reeves, Michael J. Fox, David Cronenberg, Jason Reitman, Rachel McAdams, Jim Carrey…); questo dettaglio ha fatto sì che anche i cinefili più attenti allenassero poco lo sguardo a comprendere le peculiarità della produzione canadese, fattore che ha probabilmente contribuito alla scarsità di opere provenienti dalla nazione nordamericana nel mercato distributivo italiano. Anche solo per questo andrebbe applaudita la scelta della Movies Inspired di Stefano Jacono di portare in sala Falcon Lake, l’esordio della trentaseienne attrice Charlotte Le Bon – nativa di Montréal – che dopo essere stato applaudito nel 2022 alla Quinzaine des réalisateurs ha ora la possibilità di confrontarsi con il pubblico italiano.

Le Bon qualcuno potrà ricordarla in Mood Indigo – La schiuma dei giorni, con cui Michel Gondry provava a tradurre in immagini l’opera letteraria di Boris Vian, o ancora in Yves Saint Laurent di Jalil Lespert, ma è probabile che i più l’abbiano notata in The Walk di Robert Zemeckis, dove interpretava Annie Allix, la fidanzata parigina del protagonista. Una carriera non indimenticabile, nel complesso, nonostante l’ancora giovane età, ma che alla luce della prima incursione dietro la macchina da presa può ora proiettare un’immagine di sé assai più stratificata e complessa. È interessante notare come Falcon Lake si muova nei territori del teen-movie slegandolo da una eccessiva aderenza al realismo tout-court: se il cinema centrato sulla messa in scena del corpo pubescente trova nel modello produttivo canadese dell’ultimo decennio un naturale alleato – forse anche per l’esplosione del fenomeno Xavier Dolan, ma si pensi anche a un lavoro anarchico e punk come Prank di Vincent Biron, visto alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia nel 2016, o al di poco successivo e altrettanto sbandato La disparition des lucioles di Sébastien Pilote –, seguendo le vicende narrate nell’opera prima di Le Bon la mente corre rapida dalle parti di The Maiden, il bell’esordio di Graham Foy visto un anno fa al Lido, incastonato nella selezione delle Giornate degli Autori. Un apparentamento dovuto in particolar modo alla voglia da parte di Le Bon e Foy di cercare di discernere il cuore pulsante del racconto di formazione senza aver timore di confrontarsi con l’immateriale, il misterico, il notturno.

È appassionata di fantasmi e di storie di spettri Chloé, la sedicenne di cui si invaghisce al primo sguardo Bastien, di tre anni più giovane. I due passeranno parte dell’estate insieme in una baita vicino a un lago, perché la madre della ragazza è una vecchia amica di quella di Bastien, che ha anche un fratellino più piccolo. Le Bon sceglie un tono soffuso, sussurrato, timido per raccontare quest’estate di due corpi in crescita, desiderosi di conoscere la vita, esperirla, e di superare le proprie paure più profonde, come quella dell’acqua che affligge il ragazzino. Accompagnata dal calore innato della pellicola 16mm lavorata da Kristof Brandl, Le Bon per larga parte del film sembra perfettamente in grado di gestire i tempi di una storia che può essere riempita solo dalla vita, e da tutto ciò che essa porta con sé in dono agli adolescenti: il tentativo di far colpo su una comitiva di ragazzi che bivaccano davanti al fuoco, il desiderio inconfessabile di essere scoperti a masturbarsi dai propri genitori, un bacio rubato. Il tutto con una patina di mystery che non guasta, e anzi stratifica l’impianto scenico, rimandando all’idea che l’adolescenza sia l’ectoplasma della vita adulta, il rimosso immateriale che resta sempre accanto all’umano anche se non è più tangibile. Proprio per questa serie di motivi appare incomprensibile, e perfino sbagliata, la svolta operata a un certo punto dalla giovane regista; una scelta che ribalta tutte le prospettive dello sguardo, finendo però solo per banalizzare il discorso, semplificandolo e riducendo un appassionato studio sulla crescita a un mero esercizio di stile, rovinato proprio sul più bello. Non è questa la sede per entrare maggiormente nel dettaglio, ma tutto ciò che si agitava libero nell’aria acquista una pesantezza impropria per un film così fragile, facendo deragliare il racconto e depotenziando anche il lavoro sull’immagine. Un coup de théâtre inatteso quanto bislacco, sentimentale nel senso più deteriore del termine, e che arriva involontariamente a gettare una luce oscura sull’intera lettura dell’adolescenza da parte della cineasta. Aveva dopotutto ragione Hitchcock, uno che i “misteri” sapeva come gestirli: bastano cinque minuti mal gestiti per distruggere il rapporto di uno spettatore con un film, e il suo grado di credibilità. La speranza è che Charlotte Le Bon sappia trarre una lezione da questa esperienza, ma con tutti i peana che sta ricevendo è più probabile che ripeta in futuro la scelta.

Info
Falcon Lake, il trailer.

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