Ziggy Stardust and the Spiders from Mars – Il film

Ziggy Stardust and the Spiders from Mars – Il film

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D. A. Pennebaker immortala l’ultimo concerto del tour del 1973 di David Bowie, quando l’artista inglese “uccide” in scena il suo alter ego: a distanza di cinquant’anni Ziggy Stardust and the Spiders from Mars – Il film, finalmente nella sua versione integrale, continua a risultare il più vitale dei canti funebri, il più messianico degli sguardi laici, e a ricordare la grandezza del genio di Bowie e di quello di Pennebaker, sommo autore di rockumentary.

Rock’n’Roll Homicide

Registrato il 3 Luglio 1973 al Hammersmith Odeon di Londra da D. A. Pennebaker e rivisto da Bowie e Tony Visconti nel 1981, Ziggy Stardust and the Spiders from Mars documenta l’ultimo show in cui David Bowie impersona la figura dell’alieno Ziggy Stardust. [sinossi]
Time takes a cigarette, puts it in your mouth
You pull on your finger
Then another finger, then cigarette
The wall-to-wall is calling
It lingers, then you forget
Oh-oh-oh, you’re a rock ‘n’ roll suicide
You’re too old to lose it, too young to choose it
And the clock waits so patiently on your song
You walk past the café, but you don’t eat
When you’ve lived too long
Oh, no, no, no, you’re a rock ‘n’ roll suicide
Chev’s brakes are snarling
As you stumble across the road
But the day breaks instead, so you hurry home
Don’t let the sun blast your shadow
Don’t let the milk float, ride your mind
They’re so natural, religiously unkind
Oh no, love, you’re not alone
You’re watching yourself, but you’re too unfair
You got your head all tangled up
But if I could only make you care
Oh no, love, you’re not alone
No matter what or who you’ve been
No matter when or where you’ve seen
All the knives seem to lacerate your brain
I’ve had my share, I’ll help you with the pain
You’re not alone
Just turn on with me, and you’re not alone
Let’s turn on and be not alone
Gimme your hands, ‘cause you’re wonderful
Gimme your hands, ‘cause you’re wonderful
Oh, gimme your hands
David Bowie, Rock’n’Roll Suicide

Donn Alan Pennebaker, da tutti conosciuto con l’acronimo D. A., se n’è andato nell’agosto del 2019, a novantaquattro anni compiuti da neanche una settimana. Tre anni e mezzo prima, il 10 gennaio 2016, l’aveva tristemente anticipato David Bowie, sessantanove anni compiuti da due giorni. Per la seconda volta Pennebaker ha assistito alla morte di Bowie, con l’unica e tragica differenza che in questa occasione era da escludere qualunque ripensamento, ogni possibilità di ritorno. Chissà cosa passò per la mente delle migliaia di spettatori e spettatrici il 3 luglio 1973, stipati com’erano nell’Hammersmith Odeon di Londra, quando Bowie, subito prima di attaccare Rock’n’Roll Suicide – il brano che mette la parola fine all’album The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, dato alle stampe poco più di un anno prima, nel giugno 1972 – si rivolse a loro con le seguenti parole: «Of all the shows on this tour, this particular show will remain with us the longest, because not only is it the last show of the tour, but it’s the last show that we’ll ever do». Pennebaker, fisso sul primo piano dell’artista, sembra a sua volta consapevole del momento storico, del passaggio epocale per la storia della musica rock e pop, cui sta assistendo: quando il pubblico riesce a comprendere davvero cosa stia a significare but it’s the last show that we’ll ever do (o per lo meno pensa di comprenderlo) il silenzio sostituisce la gazzarra che fino a quel momento riempiva l’aria del teatro. Poi Rock’n’Roll Suicide attacca: Time takes a cigarette, puts it in your mouth; You pull on your finger, Then another finger, then your cigarette. E via. Più che un suicidio del rock and roll un omicidio in piena regola. Bowie si spoglia del personaggio che ha incarnato e che in molti, forse troppi, hanno visto come un raddoppiamento del suo ego, e lo abbandona sul palco; pochi minuti, con quel “’cause you’re wonderful” ripetuto allo sfinimento, e forse dedicato anche agli spettatori, e addio per sempre. Niente più Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, ovvio, ma in quel momento per quella massa umana il breve discorso di Bowie equivaleva a un addio definitivo alle scene. Nel mondo del rock mai maschera e mascherato si erano fusi in modo così assoluto.

Quando Pennebaker, anni dopo l’esibizione di Bowie, decise di montare e presentare in forma cinematografica le riprese di quel concerto e del dietro le quinte, non poche furono le critiche che piovvero sull’allora poco più che cinquantenne cineasta. Gran parte della critica pensava probabilmente di trovarsi di fronte a un nuovo Dont Look Back, lo straordinario resoconto della tournée britannica che nel 1965 vide protagonista Bob Dylan, o forse Monterey Pop, che immortalava il festival svoltosi nel 1967. Ma Ziggy Stardust and the Spiders from Mars si muove in tutt’altra direzione, e non solo per il fatto che lo stesso regista ignorasse che quello che stava riprendendo – responsabile diretto tra l’altro di una delle cineprese – sarebbe stato l’ultimo concerto della band di Bowie; se il ritratto di Dylan aveva dato l’opportunità di mostrare al pubblico il volto più intimo del geniale cantautore, in questa occasione il discorso si ribaltava completamente. Le parti di backstage del film, con Bowie ripreso in camerino, risultano quasi spiazzanti, come se si stesse svelando il trucco. In scena va Ziggy, non Bowie, ma esiste forse uno Ziggy senza Bowie? E così non fosse, come si può pensare di ucciderlo? Nel cuore dell’epopea glam Bowie mette fine alla vita del personaggio alieno che ha creato in uno spettacolo che nella sua forma ascetica, quasi pauperistica, sembra già preconizzare l’incedere tonitruante del punk. Pennebaker allora lascia fuori ogni orpello e asciuga la ripresa affidandosi al primo piano di Bowie, alle sue espressioni che sanno raccontare meglio di ogni altro dettaglio il mondo che sta gettando via dopo averlo esperito fino in fondo, vissuto nel pieno della carne.

Rispetto ad altri lavori di Pennebaker, fine fotografo – il padre lo era di professione – Ziggy Stardust and the Spiders from Mars può apparire meno luccicante, forse a tratti persino povero o addirittura puntellato di “errori”, tanto sotto il profilo fotografico quanto sotto quello della ripresa dell’audio, eppure è proprio in tale dimensione che si esplica in tutta la sua possanza l’attitudine dialettica del cinema del documentarista, teso a scavare al di sotto della coltre dell’immagine per scovare una verità a volte nascosta, a volte dimenticata. A distanza di cinquant’anni da quegli eventi ciò che emerge, nella piena consapevolezza di quel che accadde all’epoca, non può non essere intriso di melanconia. Un riflesso inevitabile, quasi pavloviano, come quando Bowie attacca Oh! You Pretty Things, o si lancia nella rutilante Suffragette City, o ancora omaggia i seminali Velvet Underground di John Cale e Lou Reed con una reinterpretazione della monodica White Light/White Heat. C’è il velo della morte a sovrastare ogni inquadratura montata da Pennebaker, ma è la morte in scena e della scena, è la morte replicabile, è la morte da cui si risorge come un’araba fenice: per questo il sorriso di Bowie sembra così splendente, così eterno, così immutabile. Anche per questo Ziggy Stardust and the Spiders from Mars – Il film,riportato sul grande schermo finalmente nella sua versione integrale (con tanto di intervento di Jeff Beck, sempre tagliato nelle precedenti edizioni del montaggio),continua a risultare il più vitale dei canti funebri, il più messianico degli sguardi laici, e a ricordare la grandezza del genio di Bowie e di quello di Pennebaker, sommo autore di rockumentary.

Info
Ziggy Stardust and the Spiders from Mars – Il film, il trailer.

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