Explanation for Everything
di Gábor Reisz
Al terzo lungometraggio, Gábor Reisz dà forma in Explanation for Everything a un racconto fluviale e composito, la cui iniziale parvenza da teen movie viene via via abbandonata per un insieme di storie e personaggi teso ad affrontare questioni più direttamente politiche, a partire dall’aspro contrasto tra l’Ungheria più moderna e conservatrice e quella che coltiva ancora princìpi liberali, in un film solo in apparenza randomico e divagante. In concorso nella sezione Orizzonti a Venezia 2023.
Gli esami non finiscono mai
Budapest, estate. Abel, studente liceale, cerca di concentrarsi sugli esami finali, mentre si sta rendendo conto di essere perdutamente innamorato di Janka, la sua migliore amica. A sua volta, Janka è innamorata, non corrisposta, di Jakab, professore di storia, sposato, che ha avuto in passato un diverbio con il padre conservatore di Abel. Le tensioni di una società polarizzata vengono inaspettatamente a galla quando l’esame di storia di Abel diventa un caso nazionale. [sinossi]
Un film come Explanation for Everything, titolo internazionale del magiaro Magyarázat mindenre, presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, può costituire una piccola sorpresa per chi conosce le opere precedenti del giovane (classe 1980) Gábor Reisz. Entrambi passati per il festival di Torino, sia For Some Inexplicable Reason (2014) che Bad Poems (2018), nella forma di commedie survoltate che guardavano, sia pure con occhio personale, al cinema indipendente americano, raccontavano di delusioni amorose, perdita di prospettive, amari bilanci esistenziali di una generazione di thirtysomething simile in Ungheria come nel resto dell’Europa globalizzata (nel primo film il protagonista sceglieva Lisbona come luogo dove dare una svolta alla propria vita). Non che questo approccio giovanilistico e sentimentale venga abbandonato in quest’ultimo lavoro: ma funge da punto di partenza per poi allargare il campo su una più ampia dimensione sociale e politica che coinvolge diverse generazioni a confronto, impossibilitate di fatto a comprendersi. Il teen movie sembra essere il nucleo portante della prima parte del film: Abèl ha 18 anni e deve sostenere l’esame di maturità prima di poter pensare alle vacanze con gli amici, programmate sul lago Balatòn (dove sognavano di andare nel 1982 anche i ragazzi protagonisti del bellissimo Il tempo sospeso di Peter Gòthar). Sebbene riesca in quasi tutte le materie, il ragazzo è un disastro in storia, non riuscendo a memorizzare date e avvenimenti. È innamorato della sua migliore amica, Janka, che però è concentrata su Jakab, il loro giovane professore, sposato con figli e dunque impossibilitato a ricambiarne l’interesse. Questa struttura basata su un incrocio di attrazioni non corrisposte deflagra quando si arriva al momento cruciale dell’esame. Abèl è gravemente impreparato ma parlando con i genitori attribuisce la propria bocciatura a un particolare: una coccarda con i colori della bandiera ungherese faceva bella mostra di sé sulla sua giacca al momento dell’esame e, presa per un simbolo politico nazionalista, potrebbe non essere stata gradita dal professore, di simpatie liberali, apertamente anti-orbàniane. Se ne convince il padre Gyorgy, architetto affermato che vede nella bocciatura del figlio un’onta insopportabile per la famiglia e che aveva già avuto in passato dei contrasti col docente in quanto elettore di Fidesz, il partito civico ungherese di tendenze nazionaliste e ultra conservatrici.
È a questo punto che Explanation for everything diventa un film apertamente dialettico in cui è il confronto verbale ad assumere un ruolo preponderante, come è evidente, in modo fin didascalico, nella scena dell’incontro/scontro tra i due uomini, che finiscono col rinfacciarsi le rispettive posizioni politiche. Ma dialettico anche perché vi entra da protagonista un ennesimo personaggio, quello di Erika, una giovane giornalista che, venuta a sapere in modo casuale dell’esame incriminato, vi costruisce sopra un pezzo che porta la vicenda all’attenzione nazionale. Come nella tradizione del miglior cinema ungherese, la storia degli individui si intreccia così alla storia della nazione, tanto che per uno spettatore straniero può sembrare dispersivo e addirittura sproporzionato tanto spazio concesso alla controversia sorta tra le aule scolastiche. Eppure, come chiarisce lo stesso Reisz, in occasione dell’anniversario della Guerra d’Indipendenza del 1848, una delle celebrazioni più importanti in Ungheria, è consuetudine indossare una spilla con i colori della bandiera, che esprime l’appartenenza alla nazione. Ma questo gesto è diventato, nel 2023, evidentemente anche una questione politica spinosa. L’esibizione delle spille da parte dei nazionalisti durante gli eventi e le manifestazioni di partito ha cambiato sensibilmente il significato di questo simbolo negli ultimi vent’anni. Mentre un tempo rappresentava l’indipendenza ungherese e il legame con la madrepatria, oggi chi la indossa è considerato un sostenitore della nazione e chi non la indossa invece un oppositore. Il film dunque, una volta entrato nel vivo del suo interesse tematico, si stabilizza come un mosaico con quattro personaggi principali (Abèl, Gyorgy, Jakab ed Erika) di cui vengono seguiti, a mo’ di pedinamento, i movimenti quando non intere giornate e le rispettive interrelazioni. Il dispositivo filmico lavora allora sulla durata e la dilatazione temporale delle scene con una macchina da presa vivace, mai rigida, sempre pronta a raccogliere, con impertinenza documentaristica, qualche dettaglio eccedente il rapporto di causa-effetto della narrazione tradizionale.
Viene in mente, per la struttura del racconto e l’ambizione corale, il cinema di Cristi Puiu e in particolare un film come Sieranevada, sebbene Reisz non abbia, a differenza del rumeno, la fissazione del piano-sequenza e preferisca un girato molto più frammentario e ritmato, con un utilizzo assai consapevole e controllato del formato 1:33, in grado di far risaltare maggiormente i personaggi, che è poi l’obiettivo che un cinema così manifestamente umanista si propone di raggiungere. Lasciano semmai perplessi certi cascami letterari tutto sommato superflui come le didascalie e le marche cronologiche tese a suddividere la narrazione per giorni della settimana le quali danno l’impressione che Reisz e la co-sceneggiatrice Eva Schulze non siano riusciti a compattare ulteriormente la narrazione in senso ancor più unitario. Ma sono minimi appunti incapaci di intaccare la sostanza di un film lucido, coinvolgente per tutte le sue due ore e mezzo (a patto di accettarne la logica di accumulo) e che dà la sensazione confortante perché istruttiva di descrivere una porzione di società, facendosi carico delle sue ferite insanate di ieri e di oggi.
Info
Explanation for Everything sul sito della Biennale.
- Genere: drammatico, teen movie
- Titolo originale: Magyarázat mindenre
- Paese/Anno: Slovacchia, Ungheria | 2023
- Regia: Gábor Reisz
- Sceneggiatura: Éva Schulze, Gábor Reisz
- Fotografia: Kristóf Becsey
- Montaggio: Gábor Reisz, Vanda Gorácz
- Interpreti: András Rusznák, Eliza Sodró, Gáspár Adonyi-Walsh, István Znamenák, Krisztina Urbanovits, Lilla Kizlinger, Rebeka Hatházi
- Colonna sonora: András Kálmán, Gábor Reisz
- Produzione: MPhilms, Proton Cinema
- Durata: 152'