Wish

A oscurare ulteriormente il centenario della Disney ci pensa il modesto Wish, favola che vorrebbe porsi come una sorta di celebrativa origin story, appiccicandosi addosso persino delle posticce suggestioni dell’animazione tradizionale, ma che finisce per rendere ancor più evidente l’impasse creativa della Casa del Topo. Un classico tramontato ancor prima di uscire nelle sale.

C’era una volta…

Asha, una brillante sognatrice, esprime un desiderio così potente da invocare una forza cosmica: una piccola sfera di sconfinata energia chiamata Star. Insieme, Asha e Star affrontano un formidabile avversario – il sovrano di Rosas, Re Magnifico – per salvare la sua comunità e dimostrare che, quando la volontà di un essere umano coraggioso si unisce alla magia delle stelle, possono accadere cose meravigliose… [sinossi]

Arriva da lontano la crisi creativa della Disney. Non dai primi vagiti della mal gestita questione contenuti & woke, nemmeno dalla promettente gestione Lasseter e dalla coesistenza Pixar\Disney o dal tragico spartiacque dell’incresciosa chiusura del reparto dell’animazione tradizionale. Prima, decisamente prima. Prima del fantomatico Rinascimento Disney, prima dell’abisso degli anni Ottanta, prima dei balbettii strategici di Taron e la pentola magica. Persino prima de Le avventure di Bianca e Bernie, che allora poteva sembrare un classico minore ma amabilissimo, mentre oggi sembra quasi risplendere, rendendo ancor più chiaro il divario tra quello che era e che forse mai più sarà. La crisi che oggi divampa in ogni direzione, scoperchiata fin dalla prima proiezione di Wish, arriva da un lutto mai superato, dal disfacimento di un’idea, una filosofia produttiva, creativa, artistica. La Disney di (Walt) Disney era Biancaneve e la sua mirabolante profondità di campo, era la perfezione e la sperimentazione di Fantasia, era l’innovazione grafica de La bella addormentata nel bosco. Erano pienamente, totalmente, visceralmente disneyani La spada nella roccia e Robin Hood, come fedelmente disneyano era ancora Canto di Natale di Topolino, una delle poche parentesi davvero felici di un lunghissimo periodo contrassegnato da un’agonia lenta e inesorabile. Giova ricordarlo: mentre a Hollywood e dintorni ci si esaltava fuori misura per La sirenetta, dal Giappone (non) arrivavano opere straordinarie come Akira, Una tomba per le lucciole e Il mio vicino Totoro – senza contare tutta l’animazione a stelle e strisce indipendente o alternativa alla Disney. Insomma, a farla breve, in maniera del tutto involontaria, Wish ci racconta proprio questa storia.

Sì, certo, Wish è pensato, scritto e animato per festeggiare i 100 anni della Casa del Topo, per riunire in un caldo abbraccio passato e presente, per recuperare un po’ la magia dell’animazione tradizionale. Sulla carta, tutto giusto. Poi però qualsiasi aspetto, narrativo e grafico, resta in superficie, tirato via, sbrigativo, quasi a volerci strappare per forza un parallelo con l’omonimo marketplace a basso costo. Wish & Wish. Sembra di assistere a un film sbiadito, come il cattivo Re Magnifico, un villain dalla parabola decisamente incerta e zoppicante, al pari della divergente traiettoria della Regina Amaya, dei vari personaggi secondari, persino della protagonista e della spalla Star, debolissima.
Il film parte da una suggestione narrativa potenzialmente fertile, ma lì si ferma, traducendosi in una soggetto e in una sceneggiatura esile e scontata, non risollevata da un comparto musicale apprezzabile ma non memorabile e soprattutto accompagnata da un’animazione priva di personalità, standardizzata, vista e rivista, lontana anni luce dalle sperimentazioni degli anni d’oro.

L’ibridazione tra i paletti invalicabili della computer grafica e le suggestioni d’antan dell’animazione tradizionale è però il vero tallone d’Achille di Wish, una sorta di goffo autogoal, nonché riflesso di un’idea liofilizzata di animazione, cinema, arte. Nella ricerca spasmodica di riallacciarsi al glorioso passato e a un tempo che era caratterizzato da innovazioni e cambiamenti (pensiamo, ad esempio, all’utilizzo e poi abbandono del rotoscopio), il film smaschera se stesso, i propri limiti, la meccanicità delle scelte estetiche, la finzione del 2D, degli arazzi, dei toni pastellosi.Il confronto è impietoso, intristisce, la china della attuale Disney sembra puntare sempre più verso il basso, la banalizzazione, la reiterazione (in arrivo una fiumana di già annunciati sequel). Nel giro di pochi anni, anche sul fronte estetico, l’intera produzione statunitense è diventata un blob quasi indistinguibile, Pixar e Disney si sono zavorrate e vicendevolmente tirate verso il basso, andando nella direzione opposta indicata dal frettolosamente defenestrato Lasseter.
Wish è un film irrilevante. Nel centenario della Disney. Irrilevante nonostante Peter Pan. Irrilevante nonostante nel calderone abbiamo infilato di tutto. Irrilevante nonostante il farlocco occhieggiare all’animazione tradizionale. Impossibile non ripensare alla cura, agli sforzi, alla follia creativa della sequenza della fuga del bosco di Biancaneve e i sette nani e all’incombente versione live action. Ecco, il vero problema di Wish e della Disney è tutto qui, nel tradimento di quella follia creativa, magmatica, fagocitante.

Info
Il trailer di Wish.

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