L’alieno

L’alieno

di

L’alieno è il titolo più noto e celebrato della carriera di Jack Sholder, e a distanza di oltre trent’anni dalla sua realizzazione è facile comprenderne i motivi. Uno sci-fi d’azione che non manca di lirismo e lascia senza fiato, con protagonista uno splendido Kyle MacLachlan.

L’alieno è dentro di me, sotto la pelle mia

Un alieno si insinua nei corpi dei moribondi, riportandoli in vita per poi seminare panico e terrore. Due poliziotti sono incaricati di scoprire chi si cela dietro a tutto questo. [sinossi]

Meritorio fu nel 2019 l’omaggio che il capitolino Fantafestival allestì nei confronti di Jack Sholder, regista statunitense il cui nome poco risuona nelle conversazioni cinefile, perfino quelle più attente di solito al materiale cinematografico semplificabile sotto la denominazione di “genere”. Sholder, sette lungometraggi diretti per il grande schermo nell’arco di un ventennio (tra il 1982 e l’inizio del Terzo millennio), e una corposa per quanto in ogni caso poco riconosciuta carriera televisiva, non ebbe in sorte durante gli anni Ottanta di emergere dal magma indistinto delle produzioni dedite alla fantascienza e all’horror che imperversavano nel decennio, e fu dunque digerito ed espulso dal sistema, relegato a uno spazio liminare, in qualche modo – come tutti coloro che non si fermarono all’immaginario di prammatica, cercando invece vie personali – reso inoffensivo. Non che la sua assenza dai set sia stata vissuta come un trauma da chi di cinema si occupava scrivendo, recensendo, elaborando riflessioni: considerato un regista a suo modo industriale, il nome di Sholder venne derubricato da subito a “carneade”. La verità, e L’alieno lo afferma esteticamente e narrativamente, si muove però sottopelle. Già Nel buio da soli (Alone in the Dark, 1982) segnala l’irrequietezza del regista, che prende uno spunto degno perfino di una barzelletta – e non così dissimile in fin dei conti dalla trama attorno alla quale alcuni anni più tardi si articolerà lo spassoso Quattro pazzi in libertà di Howard Zieff – e lo tramuta in un thriller ansiogeno, claustrofobico, profondamente malsano. Il vero “problema” di Sholder fu probabilmente quello di assumere la regia di Nightmare 2 – La rivincita per farne un capitolo del tutto personale, paranoide, dove l’elemento onirico si muove nei campi della possessione, e dunque del concetto di ereditarietà del Male; il mito è intoccabile, si sa, e questo piccolo gesto eversivo in qualche misura lo dannò. Eppure appena un paio di anni più tardi The Hidden, vale a dire il succitato L’alieno, avrebbe dovuto ridisegnare i contorni del rapporto tra l’allora quarantenne regista e il mondo cinefilo. Non andò così.

Chissà, magari non aiutò la distribuzione del film (affidata negli Stati Unti alla rampante New Line) il fatto di ritrovarsi in sala a pochi giorni di distanza dal traumatico “Lunedì nero” che paralizzò l’economia mondiale suggerendo che si sarebbe andati incontro a una nuova Grande Depressione; o forse fu la rappresentazione del concetto di alieno a risultare poco convincente per il pubblico. Com’è come non è L’alieno scomparve ben presto dai radar internazionali, e non valse a una sua riscoperta neanche il successo ottenuto pochi anni dopo da Kyle MacLachlan nei panni dell’agente Cooper in Twin Peaks: l’aspetto e l’indole del personaggio centrale del capolavoro televisivo firmato da David Lynch e Mark Frost ha molto in comune con l’agente Lloyd Gallagher interpretato da MacLachlan nel film di Sholder, in una certa misura andando a chiudere un ideale cerchio visto che la scelta dell’attore come protagonista di The Hidden fu sicuramente suggerita dal successo di pubblico e critica che arrise a Velluto blu. Sholder non è però Lynch, e così il suo L’alieno si muove su territori molto più muscolari, come testimonia la sequenza iniziale del film – una sanguinosa rapina in banca – che lascia senza fiato nella sua capacità di confrontarsi con il neo-noir metropolitano, tra un Friedkin e un Mann ante-litteram. Un incipit sontuoso, che lancia lo spettatore a velocità folle e ancora lo tiene nell’ignoranza (ma non per molto) rispetto al carattere soprannaturale, e fantascientifico, della vicenda. Tra le qualità più evidenti di Sholder c’è quella di sapersi muovere con estrema naturalezza tra i codici del genere, così esattamente come esalta le virtù dell’action metropolitano l’inizio del film, la prima dimostrazione delle capacità dell’alieno in fuga – passare da un corpo morente a un altro attraverso la sua disgustosa forma “reale” – tracima nel campo dell’orrore, mentre la figura serafica e imperturbabile di Gallagher, a sua volta alieno, si scontra con quella ben più materica del collega Tom Beck, nella riscrittura in scena del buddy-movie, ma anche nella dicotomica scelta del poliziotto buono/poliziotto cattivo.

L’alieno, che spinge a una velocità folle lo spettatore riuscendo a chiudere senza sbavature l’intera narrazione in poco più di un’ora e mezza di durata – e quanto avrebbero da imparare le produzioni contemporanee dall’asciuttezza espressiva dell’epoca, che pure non si negavano nulla sotto il profilo dello spettacolo, dell’intrattenimento, e perfino dello svolgersi delle sottotrame –, non è però privo di ambizioni, e ispessisce il proprio costrutto senza mai appesantirlo di divagazioni che potrebbero sviare l’attenzione dello spettatore. Ecco dunque che c’è modo di fare un po’ di satira sulla situazione politica statunitense (quale ruolo migliore per un alieno che spinge i corpi che controlla alla follia omicida e all’autodistruzione se non quello di partecipante alla corsa per la conquista della Casa Bianca?), ma anche e forse soprattutto di aprirsi a visioni liriche, a passaggi poetici come quello che sottolinea il finale. La stasi e la furia, l’occhio strizzato e la tensione cinefila, il gran senso del ritmo ma anche la capacità di estraniarsi, di farsi alieno nei confronti dell’ovvietà del genere, del suo essere predigeribile, del suo muoversi in standard fin troppo usurati. L’alieno sembra un parente stretto di Essi vivono, la meraviglia che John Carpenter realizzerà di lì a pochi mesi, sempre muovendosi nel campo del budget ridotto, che Hollywood già chiudeva i condotti d’aria per tutto ciò che fosse estraneo alla prassi. La situazione non farà che peggiorare, e oggi a un emulo di Jack Sholder (e di Carpenter, Joe Dante, e via discorrendo) non sarebbe neanche concesso tentare il passo di danza libero e personale che ancora oggi è possibile ammirare ne L’alieno. Ma questa è un’altra storia.

Info
L’alieno, un trailer.

  • lalieno-1987-the-hidden-jack-sholder-recensione-07.jpg
  • lalieno-1987-the-hidden-jack-sholder-recensione-06.jpg
  • lalieno-1987-the-hidden-jack-sholder-recensione-05.jpg
  • lalieno-1987-the-hidden-jack-sholder-recensione-04.jpg
  • lalieno-1987-the-hidden-jack-sholder-recensione-03.jpg
  • lalieno-1987-the-hidden-jack-sholder-recensione-02.jpg
  • lalieno-1987-the-hidden-jack-sholder-recensione-01.jpg

Articoli correlati

Array
  • Festival

    Fantafestival 2019

    Dal 10 al 16 giugno a Roma, il Fantafestival 2019: dall'omaggio a Pupi Avati al cinema di Jack Sholder, passando per l'horror radicale tedesco, le anteprime e i cortometraggi...
  • Festival

    Fantafestival 2019Fantafestival 2019 – Presentazione

    Si svolgerà a Roma dal 10 al 16 giugno la trentanovesima edizione del Fantafestival, storico appuntamento per gli appassionati del fantastico. Un'edizione che segna anche un nuovo punto di svolta per la kermesse, da quest'anno affidata alle cure di Michele De Angelis e Simone Starace.
  • Cult

    Essi vivono

    di A metà tra science fiction e pamphlet politico, Essi vivono rimane a distanza di ventisette anni tra i capolavori di John Carpenter uno dei meno citati. È giunto il tempo di rimediare...
  • Cult

    Nightmare RecensioneNightmare – Dal profondo della notte

    di Il capostipite della saga Nightmare, diretto da Wes Craven e punto di svolta nelle dinamiche visionarie dell'horror anni Ottanta.