Le ravissement – Rapita

Le ravissement – Rapita

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La trentacinquenne francese Iris Kaltenbäck esordisce alla regia con Le ravissement, letteralmente “il rapimento”, elaborando un racconto di fragilità umana, solitudine, dispersione urbana, che assume contorni angosciosi e criminali. Con un’ottima Hafsia Herzi nel ruolo della protagonista.

La mamma non è sempre la mamma

Lydia è un’ostetrica, che ama il suo lavoro e vi si dedica con grande passione. La donna purtroppo, però, perde il controllo della sua vita quando subisce una delusione amorosa, a seguito di una rottura… [sinossi]

Ci sono una serie di inquadrature in parte occultate nel prefinale de Le ravissement, il film con cui esordisce alla regia di un lungometraggio la trentacinquenne francese – di padre austriaco – Iris Kaltenbäck; è il fingimento della visione dallo spioncino che giustifica una tale scelta espressiva, ma è anche il modo con cui la giovane cineasta dichiara la propria visione dell’universo umano, femminile o meno che sia. Non tutto è conoscibile, nei meandri della mente umana, e non tutto è davvero comprensibile fino in fondo. Come si può d’altronde arrivare davvero a capire la scelta di Lydia, appassionata ostetrica che ama il suo lavoro e ama far nascere bambini che quando la sua migliore amica Salomé partorisce – una nascita per di più complicata per la piccola Esmée – finge con l’uomo che ha iniziato a frequentare che Esmée sia proprio sua figlia? Un rapimento in piena regola, come sottolinea il titolo del film lasciato in originale anche per l’uscita italiana. Si può arrivare a capire un gesto come quello di Lydia, che va incontro a un destino inevitabilmente drammatico solo per potersi immaginare, per un lasso di tempo pur breve, al centro di una famiglia “normale”? L’interrogativo che pone Kaltenbäck è tutt’altro che peregrino, e rappresenta il centro nevralgico di una narrazione ricostruita a pezzi, con il passato traumatico di Lydia, abbandonata e tradita dall’uomo con cui condivideva la vita, che di nuovo non serve a puntellare motivazioni ma a fornire un quadro della desolazione umana all’interno di una metropoli come Parigi che la regista, coadiuvata in questo dalla fotografia di Marine Atlan, mostra bagnata, con colori accesi che illuminano notti a loro modo angosciose, e soprattutto solinghe. Se l’atto di Lydia è estremo, la sua condizione di vita non è così diversa da quella di altre migliaia, forse milioni di persone, passeggeri inesausti e tormentati della notte.

C’è un senso di profonda pietas che si respira durante la visione de Le ravissement, come se la regista volesse riuscire a coccolare e consolare i suoi protagonisti, tutti a loro modo soli e sperduti – vale anche per Salomé e ancor più per Milos, l’autista di autobus che ha trascorso una notte con Lydia senza voler continuare la relazione e che avendola incontrata di nuovo per caso si vede addossata una paternità con cui non ha in realtà nulla a che vedere –, e tutti alla ricerca di un’oncia di affetto, di amore, di cura. Esmée, e non è certo un caso, vuol dire “colei che è amata”, perché questo – pare sottolineare Le ravissement – è davvero l’unica cosa che conta. Così, nel cuore di una città dura e soprattutto priva di interesse verso i piccoli e grandi drammi di chi l’abita, Kaltenbäck innalza una fragile e delicata elegia al diritto di essere amati, consapevole che tutto si edifichi su una menzogna così evidente e grave che non potrà che condurre verso prospettive altamente drammatiche, ma anche certa che perfino da quel comportamento criminale e schizoide si possa generare un sentimento così profondo da travalicare le sbarre di una prigione, o il distacco dalla propria stessa bambina. Con un legame davvero residuale nella trama – ma non nel tentativo di sentire i propri personaggi – a Le Ravissement de Lol V. Stein di Marguerite Duras, Kaltenbäck con coraggio mette in scena un personaggio come quello di Lydia con cui è davvero difficile riuscire a empatizzare fino in fondo, amplificandone la portata attraverso un occhio esterno, quello di Milos, che alla medesima stregua dello spettatore funge da osservatore a cui è però concesso il diritto di narrare, e dunque di interpretare i fatti. Una scelta che sgrava il film dei cascami retorici cui sarebbero andati incontro molti altri registi, e permette per di più una stratificazione nella visione di Lydia e delle sue azioni che costringe il pubblico a modificare angolazione dello sguardo nel rapporto con un gesto folle e ingiustificabile. E nel finale, dove la dialettica tra gli spiriti solitari si rinnova non necessariamente con le parole, è difficile non provare un moto di commozione, che sgorga sincero e non mediato. Un’opera prima senza dubbio promettente, che trova le sue radici nelle ottime interpretazioni dell’intero cast – Alexis Manenti, Nina Meurisse, e soprattutto una splendida Hafsia Herzi nei panni di Lydia.

Info
Le ravissement, il trailer.

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