E Johnny prese il fucile

E Johnny prese il fucile

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Premiato col Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes nel 1971, E Johnny prese il fucile è il primo e unico film diretto dallo sceneggiatore statunitense Dalton Trumbo, uno dei nomi più noti dei dieci di Hollywood, riemerso pubblicamente solo nel 1960 con Exodus di Otto Preminger. Il film torna sulla Croisette nella caleidoscopica sezione Cannes Classics di Cannes 2024.

Lutzkendorf & Nibelunghen Are Dead

L’ultimo giorno della prima guerra mondiale, Joe Bonham, un volontario, viene fatto a pezzi da una bomba. Non ha più braccia, gambe e viso. Privato di tutti gli organi di senso, non gli resta che il suo cervello che pensa e sogna. Cerca di comunicare con l’infermiera ma, quando riesce a farlo usando il codice Morse con la testa, i medici militari respingono le sue suppliche e lo tengono in vita contro la sua volontà… [sinossi – festival-cannes.com]
I don’t know whether I am alive and dreaming
or dead and remembering
How can you tell what’s a dream
and what’s real when you can’t even tell
when you’re awake and when you’re asleep?
Where am I?
One, Metallica.
Mi iscrissi al Partito comunista nel 1944 e ne uscii nel 1948 sotto il pretesto di avere troppo da fare per partecipare alle riunioni: in ogni caso erano noiosissime e rivoluzionarie quanto una funzione del mercoledì sera alla chiesa del Christian Scientist. Quando nel 1954 tornai dal Messico, sebbene convinto che il Partito comunista americano non avesse un gran futuro, mi risentii talmente per i processi dello Smith Act e le condanne di quattordici funzionari del Partito comunista della California che immediatamente feci domanda per essere riammesso nel partito e fui accettato due mesi dopo. I processi dello Smith Act erano così di cattivo gusto e la pazzia del maccartismo così corrosiva, la vigliaccheria dei liberali della CIA così odiosa che, con tutte le mie forze, volevo essere il più vicino possibile alle loro vittime. Sotto la spinta di questo sentimento scrissi The Devil in the Book. Quando le condanne della California vennero annullate e gli imputati liberati, uscii di nuovo dal partito, ma con la stessa discrezione con cui ero entrato.
– Dalton Trumbo1

«Emotività» e «umanitarismo»2. Forse si dovrebbe partire proprio da questi due termini, utilizzati da Giuliana Muscio a proposito di Dalton Trumbo e dei suoi ideali, per accostarsi a E Johnny prese il fucile (Johnny Got His Gun, 1971), per cercare di dargli una collocazione politica, estetica, umana. Prima e unica regia di Trumbo, premiato a Cannes con il Grand Prix Speciale della Giuria, questo film è sì intriso di pacifismo, ma è anche attraversato dalla chiara consapevolezza di essere un’opera destinata a restare unica, altra, lontanissima dalle logiche commerciali e da possibili prospettive future. In fin dei conti, Trumbo conosceva benissimo le regole del gioco, le dinamiche della lotta:

A Hollywood la lotta per la libertà di espressione è inestricabilmente collegata alla lotta per la sicurezza economica. Questa duplice battaglia prende la forma dell’esigenza, da parte dello scrittore, della proprietà delle sue idee, del libero sviluppo dei suoi copioni e del controllo maggiore del suo materiale. È la battaglia comune a tutte le organizzazioni progressiste e operaie, come la lotta di queste ultime per la pace e la sicurezza è la stessa di tutti gli scrittori cinematografici.3

Tratto dall’omonimo romanzo pubblicato dallo stesso Trumbo nel 1939, E Johnny prese il fucile è l’opera della vita, un’opera mondo capace di attraversare il tempo: dalla Prima guerra mondiale (il tempo del romanzo) alla Seconda (il momento della pubblicazione del libro), fino al conflitto in Vietnam (l’uscita del film coincise con il lento ma inesorabile ritiro dell’esercito statunitense). Attuale e lancinante ancora oggi, e sicuramente anche in futuro, il film plasma sul grande schermo la modalità del monologo interiore dello sventurato protagonista messa su carta da Trumbo, scavando non solo nella coscienza del singolo ma soprattutto nella cattiva coscienza del sistema, del capitale, del macrocosmo militare.

Antifascista, antimilitarista, teso ad accumulare suggestioni anche brutali, mettendo lo spettatore di fronte a tutto quello che si è gettato al vento e alla dimensione impensabile e indicibile che ingabbia il disperato protagonista, E Johnny prese il fucile non lavora in punta di piedi come altre opere tematicamente accostabili – pensiamo a Una tomba per le lucciole – ma sceglie invece di imboccare un triplo rischiosissimo sentiero che si intreccia continuamente: i flashback della vita prima della trincea di Joe Bonham, anche bambino; le fasi più oniriche, religiose, surreali, impreziosite dalla presenza di Donald Sutherland nei panni improbabili eppure perfettamente calzanti di Gesù Cristo e da Jason Robards, il padre, gigioneggiante e grandioso nell’emblematica sequenza dei girovaghi circensi; la prigionia ospedaliera, col ventenne Joe ridotto a un pezzo di carne, quasi a un esperimento, sacrificato ancora una volta dall’ipocrisia della guerra e delle logiche militari.

Cieco, sordomuto, privo degli arti, prodotto mostruoso di una «giusta e santa guerra per la lunga e durevole pace», Joe è immerso in quel nero che apre la pellicola dopo le immagini d’archivio che accompagnano i titoli di testa. Un buio senza via d’uscita. L’unica possibile fuga, l’eutanasia, gli è ovviamente negata, ennesimo atto ipocrita di un sistema guerrafondaio. Lui, che vorrebbe essere portato per strade e piazze come i mostri di Freaks, è invece condannato al buio, alla vergogna del sistema, alla negazione della pietà umana. Per raccontarci sogni, incubi e pensieri del protagonista, Trumbo usa il bianco e nero nelle sequenze ospedaliere, il colore per i ricordi, per le divagazioni della mente. La luce del sole come segno di speranza.
Non ha gli slittamenti spazio-temporali di Mattatoio 5 (Slaughterhouse-Five, 1972), nemmeno il suo montaggio (che sarà la base di partenza per il cinema di Satoshi Kon), ma E Johnny prese il fucile si muove tra presente e passato cercando sempre, sul piano estetico e narrativo, di assecondare una certa fluidità, amplificando così l’empatia spettatoriale. Dissolvenze in nero, balzi temporali, split screen, il suono della locomotiva come l’urlo dei morti. Trumbo non è Malick, ma la sua unica regia si lega idealmente a La sottile linea rossa, al potere della riflessione, della parola, dei piani narrativi. La guerra come folle capolinea di un’intera generazione. «When the Country needs you, you’ve gotta go. You should go».

Note
1 Giuliana Muscio, Lista nera a Hollywood. La caccia alle streghe negli anni ’50, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 31-32.
2 Idem, p. 32.
3 Idem, p. 34.
Info
La scheda di E Johnny prese il fucile sul sito del Festival di Cannes.

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