Youth (Hard Times)
di Wang Bing
A Locarno 77 il secondo capitolo del trittico di Wang Bing sui lavoratori del settore tessile di Zhili, Youth (Hard Times), ancora una fotografia impietosa di tante ragazze e ragazzi impiegati a cucire pantaloni in un contesto di capitalismo selvaggio e senza alcuna tutela. Wang li segue, uno per uno, e registra al contempo la nascita spontanea e naturale delle proteste, delle rivendicazioni sindacali elementari. Un’opera che, nel suo complesso, registra lo sviluppo e l’andamento di un sistema capitalistico.
Cottimo e abbondante
Storie individuali e collettive si snodano nei laboratori tessili di Zhili, diventando sempre più drammatiche con il passare delle stagioni. Fu Yun continua a commettere errori e viene deriso dai suoi colleghi. Xu Wanxiang non riesce a trovare il suo taccuino, senza il quale il suo capo si rifiuta di pagargli il salario. Dall’alto di un corridoio, un gruppo di operai osserva il proprio capo indebitato picchiare un fornitore. In un’altra officina, il capo si è dileguato con tutti i soldi. Gli operai si ritrovano soli, derubati dei frutti del loro lavoro. Hu Siwen racconta la storia delle rivolte di Zhili del 2011: la brutalità della polizia, le carcerazioni. Dopo aspre trattative, gli operai tornano a casa per festeggiare il nuovo anno. [sinossi]
Secondo capitolo della trilogia di Youth di Wang Bing, dopo Youth (Spring), che fu presentato a Cannes 2023, e prima di Youth – Homecoming, previsto nella prossima Venezia. Si tratta di Youth (Hard Times), Qing Chun: Ku in originale, film di oltre tre ore e mezzo in concorso al Locarno Film Festival 2024. Tornano quei ballatoi intasati di rifiuti, dei palazzoni che ospitano i dormitori, spartani, dei lavoratori del settore tessile di Zhili, vicino a Shangai. Tornano quei laboratori spogli ed essenziali, con gli operai seduti al tavolo da cucito, comandati da un capo, di solito giovane come i suoi dipendenti, imperniati sulla massimizzazione della produttività e del profitto, sullo sfornare blue jeans il più velocemente possibile, con un semplice pagamento a cottimo che premia chi è più veloce nel cucire, ma senza alcuna tutela. Wang Bing, armato di macchina a mano, segue questi personaggi, li racconta durante e fuori il lavoro. Ogni lavoratore è presentato con una didascalia, che indica. Oltre al nome, il laboratorio dove opera, la sua età e la sua provenienza che può essere da ogni angolo della Cina. Una pillola delle loro vite, che comprende anche le chiacchiere al lavoro, la vita sociale e sentimentale che si snoda tra i tavoli da cucito, i dormitori e i relativi ballatoi o spazi esterni adiacenti. Proprio il desiderio di rendere le vite individuali, nel massimo numero possibile, come se ognuno di questi individui meritasse una uguale attenzione, e la stessa dignità, come se la coralità non possa che passare dall’indugiare sui singoli, giustifica questa struttura che si snoda nella durata fiume dell’opera di Wang Bing, che vuole contemplare, abbracciare, una per una, le vite dei suoi personaggi.
Ancora una volta Wang Bing è parte di questo mondo, vi entra partecipandone, non si nasconde come un qualsiasi documentarista televisivo farebbe, non cerca di diventare invisibile, entra nella loro sfera intima. Spesso si vede l’ombra della macchina a mano e dell’operatore che insegue i personaggi, ci possono essere degli sguardi in camera. Un personaggio si rivolge a qualcuno fuori campo, chiedendo: «Quando sarà finito il vostro film?», anche una domanda teorica per un’opera la cui lavorazione potrebbe durare per sempre, almeno finché ci saranno lavoratori del tessile in quelle condizioni. E durante una situazione concitata, una discussione con il capo che non si vede, coperto dalle figure dei lavoratori asserragliati, il quadro diventa nero perché uno di questi mette la mano sull’obiettivo per ostruirlo. Il fuori campo, la situazione in cui Wang Bing non riesce, o non vuole, entrare, riguarda ancora una lite e, in quel caso, la mdp rimane sulle scale.
Senza nessun approccio didascalico, dalle vite dei lavoratori, Wang Bing filma e registra l’evoluzione di un sistema capitalistico neonato, come fosse un organismo vivente. La giovinezza del titolo può essere riferita anche a quello. I ventenni che sono protagonisti del film sono nati poco dopo l’handover di Hong Kong, il ritorno in patria della ex-colonia britannica, avamposto capitalista luccicante e rampante, sistema che sarebbe stato fatto proprio dalla Cina tutta. Un organismo che nasce senza regole che non siano il raggiungimento puro del profitto. E un sistema in cui le forze dell’ordine proteggono il capitale, arrestando brutalmente chi protesta o sciopera, come emerge da tanti racconti. Ma Wang Bing registra anche le prime rudimentali proteste, che sorgono spontanee, il nascere di un proto-sindacato, senza nessuna consapevolezza storica, come un atto di pura necessità, come le prime trade union nell’Ottocento inglese. «Stiamo diventando vecchi», canta un ragazzo strimpellando stonato con la chitarra, su un pullman di lunga percorrenza. «Il mio futuro è semplice, silenzio e tristezza»: sarebbe la colonna sonora di un film tradizionale, l’inno di una gioventù bruciata che Wang Bing racconta e omaggia.
Info
Youth (Hard Times) sul sito di Locarno.
- Genere: documentario
- Titolo originale: Qingchun (Ku)
- Paese/Anno: Francia, Lussemburgo, Olanda | 2024
- Regia: Wang Bing
- Fotografia: Ding Bihan, Liu Xianhui, Shan Xiaohui, Song Yang, Wang Bing, Yoshitaka Maeda
- Montaggio: Dominique Auvray, Xu Bingyuan
- Produzione: Arte France Cinéma, Eastern-Lion Pictures and Culture Media, Le Fresnoy, Les Films Fauves, Volya Films
- Durata: 227'