Intervista a Radu Jude e Christian Ferencz-Flatz
Nome cardine del nuovo cinema rumeno, Radu Jude ha realizzato opere come Aferim!, I Do Not Care If We Go Down in History as Barbarians, Uppercase Print, che hanno avuto riconoscimenti in tutto il mondo. Nel 2021 Bad Luck Banging or Loony Porn ha vinto l’Orso d’oro alla Berlinale mentre Do Not Expect Too Much from the End of the World si è aggiudicato il Premio Speciale della Giuria a Locarno 76.
Abbiamo incontrato Radu Jude durante Locarno 77, dove ha presentato due opere, Sleep #2, una selezione di immagini della webcam sulla tomba di Andy Warhol, e Eight Postcards from Utopia, cofirmato con Christian Ferencz-Flatz (presente anche lui all’intervista), un assemblaggio di spot pubblicitari trasmessi in Romania nel decennio successivo alla fine dell’era socialista. Ferencz-Flatz è un filosofo affiliato all’Istituto per la Filosofia Alexandru Dragomir di Bucarest che fa ricerca su fenomenologia, teoria critica, filosofia della storia e filosofia del cinema e dei media. Ha pubblicato diversi saggi e articoli scientifici e ha tradotto in rumeno opere teoriche fondamentali di Edmund Husserl, Martin Heidegger, Walter Benjamin, Theodor W. Adorno e Siegfried Kracauer.
I due film presentati qui a Locarno potrebbero avere una connessione nella figura di Andy Warhol che è stato un grande interprete di quel mondo commerciale che è incentrato sulla pubblicità, basta pensare alle sue lattine di Campbell’s. Che ne pensate?
Christian Ferencz-Flatz: Metterli insieme è stata semplicemente una decisione curatoriale da parte del festival. Sono due film diversi, non è un dittico o qualcosa del genere. Ci sono alcune sovrapposizioni e ovviamente Radu entra in uno stato d’animo specifico quando sta realizzando un progetto e i due film si intrecciano, ma in realtà non sono due parti di uno stesso progetto, quindi sono film diversi.
Radu Jude: Ovviamente ci sono dei collegamenti e puoi trovarli perché questo è nel principio del montaggio. Metti insieme due scene e poi appare qualcosa. Ma non puoi farlo sempre. In questo caso si tratta innanzitutto di materiali che non sono immaginati inizialmente per cinema. E sono immagini dal budget basso, anche se gli spot pubblicitari in genere sono costosi. Ma in questo caso si tratta di pubblicità scadenti e quindi di immagini scadenti. Le immagini sono scadenti in entrambi i film, e qui potremmo speculare ma forse dovremmo lasciare questo compito ai critici cinematografici.
Parliamo di Sleep #2. Sleep era il titolo del film di Andy Warhol su un uomo che dorme, con questo film parli del sonno eterno di Andy Warhol. Si può dire che sia una specie di tributo ad Andy Warhol o cosa?
Radu Jude: È un omaggio, un dialogo ma allo stesso tempo spero che sia un’opera che funzioni da sola senza bisogno necessariamente della conoscenza dell’altro film. Se guardi attentamente Sleep di Warhol, percepisci un aspetto funebre. Leggendo la storia del making di Sleep, si scopre che Warhol diede istruzioni a un assistente di selezionare il più possibile le immagini in cui John Giorno non si muoveva. E spesso hai la sensazione che sia una persona morta. Con tutta modestia, se guardassimo insieme i due Sleep, il mio renderebbe molto più evidente l’aspetto funebre di Sleep di Warhol. D’altra parte penso che il film che ho fatto sia completamente opposto perché parla di un cimitero, ma un cimitero è in realtà un luogo pieno di vita, pieno di piante, pieno di animali di ogni tipo. E, almeno in alcune stagioni, affollato di gente. Quindi è in un certo senso il contrario. Allo stesso tempo il film è un’osservazione di lui senza essere me. Lui è il decisore. Non dovevo decidere io dove mettere la camera, come inquadrare, cosa registrare. C’è una sorta di casualità già dall’inizio quando appare questa camera. Come nel film Der Riese (The Giant) di Michael Klear. Erano gli anni ’80, l’inizio delle telecamere di sorveglianza. Quindi non so, potrei andare avanti all’infinito.
Sleep #2 mi ricorda il tuo film Scarred Hearts, per la staticità delle immagini in riferimento a una personalità artistica che è morta e anche per il soggetto stesso della morte. Confermi questa affinità?
Radu Jude: Non mi è mai passato per la mente. Ma posso vedere delle somiglianze. Il concetto, l’idea della morte, l’interesse per la morte, il morire, l’evanescenza delle cose, sia qualcosa che immagino preoccupi tutti. Sicuramente mi preoccupa a livello personale e nella mia vita. Quindi si riflette per forza. Penso a tutti i film che ho fatto. Molti di loro hanno un legame, indiretto o più diretto, con la morte. Ho fatto alcuni film sui massacri compiuto dalle autorità militari rumene contro gli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. C’è una connessione con la morte, con questa idea, in molti dei miei film.
Nei titoli di testa definisci Sleep #2 quale un desktop film. Cosa intendi?
Radu Jude: Un genere in cui realizzi un film registrando il desktop del tuo computer. Questo è quello che ho fatto. Non avevo accesso alle registrazioni di quella webcam, quindi le ho messe nella registrazione live sul mio portatile e ho registrato io stesso. Questo è il processo di produzione, come genere puoi chiamarlo film desktop.
E perché hai usato gli haiku?
Radu Jude: Innanzitutto perché ho un interesse profondo, quello che può avere un europeo che non ha accesso alla cultura e alla lingua giapponese, per gli haiku e la cultura zen in senso lato. E anche perché l’evanescenza, lo scorrere della vita è il tema principale degli haiku. E per l’attenzione ai dettagli, ai piccoli dettagli, alle piccole storie degli haiku. Anche questo si può trovare nel film. Ed era anche un modo per rendere più evidente il cambio delle stagioni.
Lo sguardo di Andy Warhol è ancora perfettamente attuale nell’era di internet. Quando nel film si vede la gente che si fa il selfie con la lapide sullo sfondo penso che stiano inseguendo i loro 15 minuti di popolarità. Che dici?
Radu Jude: Assolutamente. Warhol già all’epoca era incredibilmente aperto a tutti i tipi di nuovi media. Ma anche l’idea di popolarità è diventata popolare ora con Internet, con i social, come Donald Trump.
Potete dirmi qualcosa sui principi che avete seguito per il montaggio di entrambi i film? E cosa puoi dire del potere del montaggio?
Christian Ferencz-Flatz: Abbiamo cercato di raccogliere quanto più possibile di queste pubblicità degli anni ’90, cosa già di per sé ardua perché non sono reperibili in nessun archivio istituzionale né presso le televisioni, né presso le agenzie, alcune delle quali nemmeno esistono più. In alcuni casi i clienti stessi o le aziende pubblicizzate non esistono più. Quindi la maggior parte del lavoro consisteva nell’assemblare questi materiali e non necessariamente sceglievamo quelli più kitsch. Penso che molti di loro non siano del tutto kitsch, ma molto amatoriali e anche ingenui. Alcuni anche kitsch e volgari. Per il processo di montaggio avevamo queste, non so, forse 100 ore di pubblicità. Le abbiamo esaminate un paio di volte. Abbiamo provato a taggarli e raggrupparli per temi. Poi li abbiamo riguardati e abbiamo cercato di costruire attorno a essi una sorta di struttura di significato. O un arco narrativo o un arco discorsivo o qualche argomento attorno ad essi. Il processo di montaggio è stato un po’ lungo perché lo abbiamo fatto alla vecchia maniera e abbiamo dovuto esaminare tutte queste ore di materiale. Ma alla fine, una volta ottenuta la struttura, tutto si è sistemato.
Di quale periodo sono esattamente questi spot?
Christian Ferencz-Flatz: Principalmente risalgono al periodo di transizione. Quindi dal 1990, dopo la fine del regime di Ceaușescu. Ci siamo fermati intorno al 2007 o al 2008. Che è considerata in generale la fine della transizione. Ed è il periodo in cui le pubblicità cominciano ad essere sempre più professionali e sempre più tra loro simili. Queste nuove pubblicità molto brillanti non hanno tutti questi livelli che ci interessavano.
Quanto è durato il lavoro di montaggio?
Christian Ferencz-Flatz: Ci sono voluti un paio di mesi o tre. Il lavoro principale è stato effettivamente ottenere i materiali e contattare le persone che avrebbero potuto avere ancora qualche briciola dell’archivio.
Radu Jude: Molto tempo anche per visionare, separatamente, tutto il materiale.
Conoscete il programma televisivo italiano Blob, ideato da enrico ghezzi e Marco Giusti, che per certi versi può ricordare la vostra operazione?
Radu Jude: Ce l’hanno detto anche altri. Io conosco enrico ghezzi come programmatore, era leggendario. Lo seguivo di notte quando ero adolescente, a 16, 17 anni, con le cassette pronte per registrare i film. Era davvero un programmatore punk.
Christian Ferencz-Flatz: Operazioni simili le ha fatte anche Harun Farocki.
Radu Jude: E il film di Fred Mogubgub Great Society, come un inno americato fatto di prodotti commerciali, un film brevissimo, un pacchetto di immagini.