Maria
di Pablo Larraín
Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2024, Maria chiude la trilogia di Pablo Larraín dedicata a tre figure femminili che hanno segnato profondamente l’immaginario novecentesco. Jacqueline Kennedy (Jackie), Lady Diana (Spencer) e adesso l’inarrivabile Maria Callas: tre ritratti, tre prigionie, la conferma di uno sguardo focalizzato sulla Storia e sul Potere, in attesa delle fiamme liberatorie di Valparaíso.
Μαρία Άννα Καικιλία Σοφία Καλογεροπούλου
Parigi, 1977. A quattro anni dal suo ritiro, Maria Callas riceve un giornalista per ripercorrere la storia della sua vita tumultuosa, tragica, bellissima. Gli ultimi giorni della vita della più grande cantante lirica del mondo, tra ricordi, rimpianti, fantasmi… [sinossi]
Vivi ancora, io son la vita
ne’ miei occhi e il tuo cielo
tu non sei sola
le lacrime tue io le raccolgo
io sto sul mio cammino e ti sorreggo
sorridi e spera, io son l’amore…
– Maria Callas, La mamma morta.
Un po’ come la Marvel e il suo MCU, anche Pablo Larraín sta (ri)costruendo, pezzo dopo pezzo, un immaginario di eroi ed eroine, con tanto di villain. Più che sulle origin story o sugli assemble (anche se qui il desiderio spettatoriale di un crossover si è fatto palpitante), Larraín si concentra però su alcuni frammenti, su periodi brevi ma intensissimi, tragici, cadenzati dalla morte, dalla fine di tutto – non solo della vita, ma anche dei sogni, delle illusioni, di Camelot. Nuovo capitolo del Larraín Cinematic Universe, Maria si specchia letteralmente in Jackie, ne evoca i fondamentali primi piani (qui, lungo e abbacinante, a ricordarci del talento poco sfruttato di Angelina Jolie), le scelte narrative, le dorate prigionie, la solitudine delle divinità. Imperfetto, ovviamente divisivo, straziante e lucidissimo nella sua programmatica rilettura delle icone novecentesche, orrori compresi.
Musicale e un po’ musical, sospeso tra una realtà ampiamente romanzata e squarci onirici che sempre più prendono il sopravvento, Maria è un biopic immaginifico, solo apparentemente libero, legato a scelte narrative, estetiche e contenutistiche tese a creare non solo una trilogia ma un corpus unico, una teoria, una sovrapposizione e una presa di posizione. I temi e le suggestioni formali ricorrenti di Jackie, Spencer e Maria sono a loro volta la conferma di un progetto più ampio, storicamente e politicamente indirizzato fin dalle prime battute: i film sulla dittatura, le donne del Ventesimo secolo, gli uomini. E il fil rouge, ancora una volta, è la dicotomia prigionia\libertà.
Icone, ritratti, corpi. Il volto e il corpo di Maria Callas, della Divina, ci raccontano storie differenti: da un lato, in primis col già citato primo piano, questa comunione quasi sovrannaturale di talento ed eleganza; dall’altra, la lenta resa alla sofferenza, al dolore e ai ricordi, un corpo sempre più debole, sopraffatto dall’arte, dall’amore, dal potere.
Se l’idea del giornalista immaginario è suggestiva e assolutamente funzionale alla scelta narrativa portante, a Maria sembra però mancare sempre l’ultimo passo, o forse qualcosa di più. Una sorta di Millennium Singer mancata, forse troppo ligia alla forma complessiva della trilogia. Non c’è, in sostanza, quel turbinio visionario che elevava Neruda e, ovviamente, manca la compattezza straordinariamente stratificata del capolavoro koniano Millennium Actress, quel fertilissimo intreccio di arte, vita e Storia.
Nel gestire questa narrazione frammentaria, questa decostruzione programmatica, Larraín riempie di senso non solo visioni e flashback, ma anche il fuori campo: esemplare, in tal senso, l’incontro mancato con Jacqueline Kennedy Onassis, in un rimando alla dissolta e ingannevole fiaba di Camelot che si completa con l’incontro-scontro con JFK, uno dei villain più gustosi del Larraín Cinematic Universe. Perché, a ben guardare, dietro a un’icona femminile del Novecento c’è sempre un grande uomo. Onassis, JFK, Carlo III, declinazioni più o meno imbastardite del potere maschile, del Potere.
Fortunatamente distante dall’idea di replicare pedissequamente la realtà e di confezionare biopic cronachistici, Larraín offre chiavi di lettura individuali e collettive, decostruisce e interpreta, osa e suggerisce, servendosi ad ampio raggio delle potenzialità del cinema. Come in Jackie e Spencer, ma anche nel notevole Neruda, il biopic non è un taccuino su cui appuntare date e avvenimenti, è piuttosto una tela, un ritratto astratto, un omaggio all’immortalità di un simbolo, alla sua arte e al cinema stesso. E quindi, ovviamente, Angelina Jolie (non) è Maria Callas.
Info
Una clip tratta da Maria.
La scheda di Maria sul sito della Biennale.
- Genere: biopic, drammatico, musicale
- Titolo originale: Maria
- Paese/Anno: Germania, Italia, USA | 2024
- Regia: Pablo Larraín
- Sceneggiatura: Steven Knight
- Fotografia: Ed Lachman
- Montaggio: Sofía Subercaseaux
- Interpreti: Alba Rohrwacher, Alessandro Bressanello, Angelina Jolie, Botond Bartus, Haluk Bilginer, Jeremy Wheeler, Kay Madsen, Kodi Smit-McPhee, Luca Gréta Felhalmi, Marcell Lengyel, Philipp Droste, Pierfrancesco Favino, Rebecka Sternberg, Stephen Ashfield, Toma Hrisztov, Valeria Golino, Zora Gerda Fejes
- Produzione: Fabula, Fremantle Productions, Komplizen Film, The Apartment
- Distribuzione: 01 Distribution
- Durata: 124'
- Data di uscita: 01/01/2025