The Order

The Order

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Poliziesco incentrato sui crimini della setta ariana che funestò il nord ovest degli USA negli anni ‘80, The Order di Justin Kurzel è un solido prodotto e un efficace monito per una nazione prossima alle elezioni. In concorso a Venezia 81.

L’ariano della porta accanto

Nel 1983 una serie sempre più violenta di rapine in banca, operazioni di contraffazione e rapine a mezzi blindati sta instillando il terrore nel nordovest degli Stati Uniti. Tra la confusione delle forze dell’ordine che si affannano per trovare risposte, un solitario agente dell’FBI di stanza nella pittoresca e sonnolenta cittadina di Coeur d’Alene, in Idaho, giunge alla conclusione che non si tratta di criminali comuni assetati di denaro, ma di un gruppo di pericolosi terroristi interni al seguito di un leader radicale e carismatico, che stanno tramando una devastante guerra contro il governo degli Stati Uniti. [sinossi]

Prosegue la sua riflessione sulle radici della violenza, il regista australiano Justin Kurzel, che dopo  il poco riuscito Macbeth e l’anodino Assassin’s Creed, (mentre il più recente Nitram è rimasto inedito da noi) con The Order sembra voler tornare ai temi caratterizzanti il suo esordio, Snowtown (2011), che analizzava il percorso di fascinazione per il crimine da parte di un adolescente “difficile”, facile preda di un diabolico cattivo maestro. Presentato in concorso a Venezia 81 e tratto dal libro The Silent Brotherhood di Kevin Flynn e Gary Gerhardt, il nuovo lavoro di Kurzel, The Order, innesta  su un poliziesco avvincente e ben strutturato la vicenda reale del suprematista bianco Robert Matthews e della sua setta (chiamata, appunto, The Order), che negli anni ‘80 imperversò nei territori del Nord Ovest statunitense, compiendo omicidi, rapide, attentati dinamitardi, allo scopo di destabilizzare e in prospettiva annientare lo stato democratico.  Pellicola di ampio respiro e con un notevole cast, The Order si apre, un po’ à là Quei bravi ragazzi, con un viaggio in macchina notturno e successivo omicidio, per poi proseguire penetrando nella quotidianità di una comunità rurale dell’Idaho, dove si muove, organizzando rapine, oscillando tra la moglie e l’amante incinta, governando i suoi sgherri e la sua comunità ariana il ruspante e carismatico Robert Matthews (Nicholas Hoult). L’arrivo in loco dell’agente  dell’FBI Terry (uno stropicciato Jude Law) dà il via a una complessa indagine per stanare e fermare i pericolosi sediziosi e il relativo leader, la cui faccia d’angelo non contribuisce affatto alla causa, la popolazione locale, poi, sembra indifferente, quando non esplicitamente dalla sua parte. Solitario, corrucciato, sempre intento a ruminare la mandibola e a tirare su con il naso, da cui ha frequenti perdite ematiche, e con una vistosa cicatrice in mezzo al petto, il personaggio del detective Terry, che porta una vistosa cicatrice sul petto e lascia messaggi in segreteria a una famiglia evidentemente restia a corrispondergli alcun interesse, rappresenta il viatico perfetto per farci penetrare all’interno di una realtà rurale ostile e senza prospettive dove, come viene detto a un certo punto del film, “puoi essere solo o sbirro o criminale”. Al suo arrivo poi, e a causa dei suoi metodi rudi e diretti, incassa subito le antipatie dello sceriffo locale, mentre si guadagna la complicità del suo giovane vice (Tye Sheridan). Ogni tanto poi, Terry si incontra con la collega e superiore Joanne (Jurnee Smollett), un personaggio purtroppo appiattito sul ruolo di rimbrottante grillo parlante, dato che è sempre pronto a rimproverare il povero Terry. Non va meglio, d’altronde, con gli altri due personaggi femminili del film, ovvero la moglie e l’amante di Matthews, i cui ruoli, oltre che marginali, appaiono equipollenti.

Se nel complesso lo script, appoggiandosi al libro di partenza e ai fatti reali, appare ben strutturato – l’indagine è snocciolata con cura quasi reportistica, complici le didascalie -, qualche mancanza The Order la rivela nella stesura dei dialoghi, che anziché dar corpo e anima ai personaggi, appaiono poco ficcanti e affetti da un cantilenante turpiloquio, utile sì alla resa di un ambiente ostile e chiuso in se stesso, ma che alla fine dei giochi toglie solo tempo all’azione e genera un eccessivo dilungarsi delle scene. Un protagonista dolente e ferito, una caccia all’uomo che nella sua folle determinazione conduce, inevitabilmente, a un’identificazione tra cacciatore e preda (e il duello finale allude esplicitamente a questo rispecchiamento), una Nazione bella e perduta il cui sfondo paesaggistico si fa sempre pià distorto e sfocato (molto efficace, in tal senso, l’utilizzo di obiettivi a focale lunga), è chiaro che con The Order Justin Kurzel mira a firmare un nuovo grande classico della cinematografia statunitense. I suoi modelli d’altronde sono nobili e dichiarati, e vanno dal poliziesco di William Friedkin (Il braccio violento della legge, Vivere e morire a Los Angeles) al dramma umano e violento di Michael Cimino, con espliciti riferimenti a Il cacciatore. Ma al di là del livello produttivo e della riuscita del film in sé, l’interesse maggiore di The Order risiede nel suo tempismo storico dato che, con le elezioni americane alle porte e la crescente paura dell’estremismo nazionalista e delle sue cospirazioni, il film rappresenta a pari grado un monito e un buon prodotto intrattenimento, con esiti piuttosto convincenti in entrambi i versanti.

Info:
La scheda di The Order sul sito della Biennale.

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