Jouer avec le feu
di Delphine Coulin, Muriel Coulin
Jouer avec le feu di Delphine e Muriel Coulin è un tenebroso dramma familiare ambientato nella provincia francese, a Metz, che proprio da questo decentramento prende spunto per ragionare sulle dinamiche profonde dei rapporti familiari e sulle tentazioni xenofobe e reazionarie che si annidano nella società contemporanea. Qualche schematismo forse nel disegno complessivo ma anche la solita prova maiuscola di Vincent Lindon e un’interessante costruzione narrativa ellittica che espunge la retorica dal dramma.
Un padre, due figli
Pierre, cinquantenne, cresce i suoi figli da solo, dopo la morte della moglie. I tre sono molto uniti. Louis, il più giovane, sta per lasciare casa per andare all’università a Parigi. Fus, un po’ più grande, sta diventando sempre più schivo. Affascinato dalla violenza, milita in gruppi estremisti di destra, l’esatto opposto dei valori del padre. Tra loro ci sono sia amore che odio, finché non giunge la tragedia. [sinossi]
Ci pare di poter affermare che, a prescindere da quale sia la firma registica dei film che interpreta, esista ormai un cinema di Vincent Lindon, tanto la presenza di questo attore riesce a connotare in senso immediatamente riconoscibile un certo cinema francese dai tratti militanti. È stata decisiva in questo senso la trilogia sul mondo del lavoro di Stéphane Brizè, composta da La legge del mercato, In guerra e Un altro mondo a far assurgere Lindon ad emblema di eroe proletario e onesto, messo di fronte alla necessità di compiere scelte marcanti in ambito professionale e familiare. È quel che accade anche in Jouer avec le feu delle sorelle Coulin, registe e sceneggiatrici di cui in Italia è transitato, ormai diversi anni fa, l’interessante 17 ragazze. In un ambito come quello del concorso veneziano, un film come questo rischia di passare inosservato per la sua apparente ordinarietà se confrontato con opere più appariscenti o rischiose sul piano della forma e dei contenuti narrativi, eppure Jouer avec le feu non manca di spunti interessanti. A cominciare proprio dalla recitazione di Lindon (Pierre, nel film), come di consueto di prorompente corporeità, di subitanea occupazione dello spazio scenico, alla quale devono per forza accordarsi quelle dei due ragazzi, Benjamin Voisin e Stefan Crepon, che interpretano rispettivamente Fus e Louis, i suoi figli. Il loro è un rapporto contraddistinto dagli slanci fisici, dagli abbracci, da un legame quasi cameratesco che il terzetto ha evidentemente sviluppato in reazione all’assenza della figura femminile, quella moglie/madre scomparsa e appena evocata dalla sceneggiatura.
Il contrasto caratteriale tra i due ragazzi segna in profondità la dinamica drammaturgica del film. Louis è la proiezione degli ideali e delle volontà paterne: è il minore, è il figlio capace e studioso che ha ottenuto l’ingresso alla Sorbona e si prepara ad emanciparsi dall’angusta vita provinciale per confrontarsi con la realtà parigina. E che rappresenta probabilmente per Pierre, operaio sulle linee ferroviarie, l’incarnazione di una promessa di rispettabilità e di vita piccolo-borghese cui lui non ha avuto accesso. Fus è invece quello rimasto indietro, che non può o non sa soddisfare le aspettative di Pierre: cerca invano di prendere un diploma da metalmeccanico e resta ancorato alla cittadina natìa trovando nell’adesione ai suoi riti tribali (il tifo calcistico in particolar modo) l’occasione per definire la propria personalità. Il padre, dal canto suo, si barcamena tra questi due estremi cercando di bilanciare il rapporto con i figli assecondando entrambe le inclinazioni; così aiutare Louis a sistemarsi nel nuovo appartamento da universitario o andare allo stadio a tifare il Metz rappresentano per lui preziose occasioni di condivisione familiare. Ma non appena Fus inizia a frequentare un gruppo di ragazzi di estrema destra, antitesi totale dei valori da lui predicati, e a condividerne gli spazi d’azione, come le palestre in cui si praticano gli sport da combattimento, il rapporto di fiducia col genitore si incrina fino al punto di rottura. Sebbene i due fratelli non entrino mai in cattivi rapporti tra loro, manifestando una reciproca solidarietà, appare chiaro come, a livello sotterraneo, si profili un contenzioso per ottenere l’amore paterno che vede Fus perdente rispetto all’ottemperanza alle regole di Louis.
La sceneggiatura, seppur con qualche schematismo relativo soprattutto alla superficiale correlazione tra culto del corpo (il kickboxing, i tatuaggi) e cultura neofascista, cesella con giusto tocco il triangolo familiare lasciando emergere a poco a poco le ragioni e i dilemmi di ciascun carattere: il senso di responsabilità avvertito da Pierre in quanto unico genitore rimasto e che lo porta a sentire una iperprotettività verso i figli, il profondo senso di solitudine di Fus che lo spinge a sfidare i valori civili in senso anti-sociale sposando il fanatismo degli estremisti, il conflitto interno di Louis che vorrebbe stare vicino al fratello e al tempo stesso garantirsi un futuro separandosi dal nido familiare. Il racconto si gioca su queste tre direttive evitando accuratamente, per quanto possibile, le scene madri. E procedendo anzi in modo ellittico, con cesure temporali vistose in particolare in prossimità del terzo atto, quello dove Fus, macchiatosi di omicidio per vendicare un pestaggio subìto, mette in discussione ogni certezza del padre che a quel punto durante il processo deve, come ulteriore atto di responsabilità, dichiararsi colpevole anch’egli per non aver saputo evitare, tramite una giusta educazione, l’atto irreparabile. Un ulteriore motivo di riuscita del film è precipuamente di messa in scena, con un utilizzo molto accorto del formato largo 2:35:1. Le tensioni positive e negative che attraversano i personaggi nei loro rapporti reciproci sono suggerite efficacemente dalla disposizione dei corpi all’interno dell’inquadratura, mai casuale, con la fotografia dai tratti molto netti di Frederic Noirhomme che si incarica di caricare gli ambienti (quelli domestici in particolare, caratterizzati da un persistente chiaroscuro) di ulteriori implicazioni simboliche. Ne risulta un dramma che ricalca in modo vistoso gli stilemi della tragedia classica e in cui la componente sociale, pur puntuale nell’alludere alle derive xenofobe e reazionarie che si annidano non solo in Francia ma nell’Europa tutta, è in fondo sopravanzata dalla dimensione mitica e pulsionale dell’incontro/scontro tra il Padre e il Figlio.
Info
Jouer avec le feu sul sito della Biennale.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Jouer avec le feu
- Paese/Anno: Francia | 2024
- Regia: Delphine Coulin, Muriel Coulin
- Sceneggiatura: Delphine Coulin, Muriel Coulin
- Fotografia: Frédéric Noirhomme
- Montaggio: Béatrice Herminie, Pierre Deschamps
- Interpreti: Benjamin Voisin, Stefan Crepon, Vincent Lindon
- Colonna sonora: Pawel Mykietyn
- Produzione: Curiosa Films, Felicita, France 3 Cinéma, Umedia
- Durata: 110'