Intervista a Murat Fıratoğlu
Murat Fıratoğlu è nato a Siverek e vive a Istanbul dove continua a esercitare la professione di avvocato, accanto all’attività di filmmaker. È autore di alcuni cortometraggi: Straw Dust, del 2007, The Edge of All Possibilities, del 2008, Albatros Dreams, del 2008, e The Photo of Kholoud Ahmed, del 2016, che è stato selezionato per la piattaforma di cortometraggi della Fondazione Sabancı. One of Those Days When Hemme Dies è il suo primo lungometraggio, con il quale ha vinto il Premio Speciale della Giuria Orizzonti a Venezia 81.
Abbiamo incontrato Murat Fıratoğlu durante la Mostra di Venezia.
One of Those Days When Hemme Dies è praticamente un film di paesaggi, quasi senza primi piani, di long shot, pieno di tempi vuoti, di scene in real time. Come mai hai deciso di adottare questo stile?
Murat Fıratoğlu: Nel sistema cinematografico, se vuoi fare un cinema d’autore, devi pensarci molto. Bisogna realizzare qualcosa di dettagliato e che sia unico. L’originalità è molto importante. Ho riflettuto a lungo in merito. Quello stile, usare il tempo reale, rappresenta un’ipotesi remota rispetto al modo di fare film che va per la maggiore. Ed è così originale e comunque così coerente con l’idea stessa di cinema: per questo adotto questo stile.
Rispetto al film, alla storia e ai luoghi in cui si svolge, questo stile è a maggior ragione importante?
Murat Fıratoğlu: Intanto bisogna considerare che la narrazione comprende un arco di tempo abbastanza breve. Se vuoi raccontare una storia d’omicidio, se hai un’idea su come far uccidere qualcuno, puoi mettere altre cose. Per esempio, qualche combattimento o altro. Ma tutti questi elementi aggiuntivi alla fine mi interessavano di più dell’omicidio stesso.
Per quale motivo era importante per te raccontare una storia in questo contesto rurale, in questa cittadina e non, per esempio, a Istanbul?
Murat Fıratoğlu: Il film è ambientato nella Turchia orientale, nell’area curda. Perché è così lontano dal mare, quel mare che sogna il protagonista che desidera andare a Smirne. Perché è un film sulla solitudine. E perché vuole essere come un western, come quelli classici di Hollywood, con quei grandi spazi, quelle distese, quei vuoti.
Ed era importante anche che il film si svolgesse durante l’estate, con questo senso di calore che si percepisce prima di tutto nei pomodori messi a seccare?
Murat Fıratoğlu: Per il sole, ovviamente. E anche per le emozioni. In realtà, ogni volta volevo che tutti, tutti i membri del cast, fossero così accaldati, così bagnati, con tanto sudore in faccia, perché esprimessero in quel modo le emozioni. È come un vulcano. Stiamo parlando di emozioni. Come un’emozione vulcanica. Emozioni che sgorgano da quel grande calore, l’interno di qualcosa che viene da fuori.
Lo zio che rimane seduto fuori casa con la sua anguria è l’esempio di una vita tranquilla, di campagna, senza i tempi forsennati della vita moderna. Perché hai voluto rappresentare questo stile di vita?
Murat Fıratoğlu: Ho lavorato in tal senso sia con il direttore della fotografia che con il colorista in post-produzione per valorizzare quei blu dei cieli, quei verdi dei campi. Il tutto perché volevo creare un paradiso, ma quel paradiso ha dentro di sé un inferno.
C’è poi anche un problema sociale di cui il film si occupa. Ovvero il problema dello sfruttamento dei lavoratori addetti alla lavorazione dei pomodori secchi che non vengono pagati. Perché hai voluto rappresentare anche questa condizione?
Murat Fıratoğlu: La mia opinione è che la narrazione di buona parte del cinema moderno riguardi la vita moderna, la vita intellettuale, la vita cittadina. Ma nel mondo, la maggior parte degli 8 miliardi di persone che lo popolano, vivono al di fuori di questa dimensione moderna, urbana, occidentale. Il cinema del passato, quello degli anni ’50 o ’60, aveva un gusto più umano, rappresentava la vita umana. Se vedo un film del 2024, vedo un gusto moderno, pieno di elementi urbani. Io volevo dare una rappresentazione più complessa della modernità, che comprendesse anche quelle situazioni marginali che di solito non si vedono.
A un certo punto fai vedere, in una televisione, un pezzo della serie animata Heidi. C’è un motivo particolare?
Murat Fıratoğlu: Eyüp vive in un inferno interiore. Forse la zona non è un inferno, ma lo è dentro di lui. Ma a volte riesce a trovare piccoli momenti paradisiaci. Come Heidi. Dove vive Heidi, sulle Alpi, c’è anche un po’ di paradiso.